Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 13/2/2013, 13 febbraio 2013
TELECOM, IL DEBITO PREOCCUPA MOODY’S [
Il presidente Bernabè: la solidità finanziaria del gruppo resta immutata, liquidità oltre i 16 miliardi] –
Franco Bernabè prova a stemperare. All’indomani del declassamento operato da Moody’s – che ha abbassato il rating da Baa2 a Baa3 – il presidente esecutivo di Telecom Italia rassicura che il gruppo è solido e in grado di rifinanziarsi a capacità immutata. «La solidità finanziaria di Telecom rimane intatta, indipendentemente dal livello di rating ad essa associato e le nostre capacità di rifinanziamento restano immutate», ha sottolineato Bernabè, impegnato ieri a Boston nel road-show per la presentazione del bond ibrido di prossima emissione, della durata di 60 anni e dell’importo fino a 3 miliardi. «Non bisogna dimenticare – ha aggiunto – che abbiamo già oggi disponibile un margine di liquidità superiore a 16 miliardi, fra cassa e linee bancarie irrevocabili non utilizzate». «Continuiamo perciò a lavorare con determinazione, certi di poter superare indenni questa complessa congiuntura», ha concluso. Anche se sul merito di credito si è allungata l’ombra dell’outlook negativo che potrebbe portare a un ulteriore declassamento, marchiando i 40 miliardi di debito (che diventeranno 43 con l’ibrido) del giudizio "non investment grade", con le complicazioni del caso perchè sotto Baa3 (equivalente a BBB- nella metrica delle altre agenzie di rating) non tutti gli investitori istituzionali potrebbero mantenere i titoli in portafoglio.
«Sapevamo che il nostro rating era sotto pressione da ottobre 2011, quando era stato messo in outlook negativo, anche a causa delle difficoltà che stavano vivendo i mercati finanziari europei così come gli Stati sovrani, difficoltà che purtroppo permangono nonostante il superamento della fase acuta – ha spiegato ancora il presidente Telecom – Anche per questo motivo abbiamo deciso di introdurre un nuovo livello di capitale nella nostra struttura finanziaria, in modo da poter affrontare con ancora maggiore serenità ogni tipo di situazione».
Moodys’s però non ha ritenuto sufficienti per la conferma del rating nè il dimezzamento delle cedole (da 900 a 450 milioni), nè l’emissione dell’ibrido (computabile per la metà, dunque per 1,5 miliardi, come capitale di rischio). Il problema? «L’incremento del rischio derivante dallo sfidante contesto operativo sul mercato domestico», ha spiegato l’analista di Moody’s Carlos Winzer. Nonostante Telecom sia riuscita in parte a contrastare il contesto difficile, argomenta l’agenzia di rating Usa, «i risultati 2012 della società evidenziano un deterioramento di ricavi ed Ebitda sul mercato nazionale, così come il mancato obiettivo sull’indebitamento finanziario netto di 27,5 miliardi a fine anno». Tra le cause Moody’s cita la recessione economica e il quadro regolamentare e competitivo. Inoltre, pur riconoscendo che il management è riuscito a tagliare il debito di circa 2 miliardi lo scorso anno, tuttavia sottolinea come il mancato rispetto del target del debito sia dovuto a un free cash-flow più debole delle attese e al mancato completamento della vendita di Ti-Media (che, nel budget iniziale della società avrebbe dovuto portare un beneficio di almeno 450 milioni). E ancora, rileva Moody’s, il management ha rivisto il target di indebitamento netto per quest’anno, portandolo a meno di 27 miliardi rispetto ai 25 miliardi dell’obiettivo precedente. «Tutto ciò, insieme con la previsione della società di un calo a una cifra dell’Ebitda 2013 – sottolinea la nota dell’agenzia – rappresenta una sostanziale deviazione dal trend di graduale miglioramento in precedenza atteso da Moody’s». «Di conseguenza Moody’s ritiene che il rischio finanziario connesso a Telecom Italia sia aumentato». Un rischio che «potrebbe non essere completamente compensato dalla proposta di tagliare i dividendi ed emettere i bond ibridi nell’arco dei prossimi 18-24 mesi».
Non è tutto nero perchè il voto attuale riflette in senso positivo, secondo Moody’s, le dimensioni di scala, l’integrazione fisso-mobile, la diversificazione geografica con la presenza in Brasile e Argentina, il continuo impegno alla riduzione del debito e la disciplina finanziaria, gli elevati margini operativi, il controllo dei costi e la forte posizione di liquidità. Però resta l’avvertimento: se Telecom non rispetterà i target del piano, il declassamento a junk diventerà inevitabile.
AL PETTINE IL NODO DELL’AZIONARIATO –
L’epoca dei compromessi al ribasso è finita. Il campanello d’allarme suonato da Moody’s, che ieri ha declassato il debito Telecom, dimostra che è ormai necessario un intervento "strutturale" sul patrimonio. Il prestito ibrido, classificabile per la metà dei 3 miliardi di importo come capitale di rischio, non è stato sufficiente a evitare il downgrading all’ultimo gradino prima del livello junk, "spazzatura". Un marchio che Telecom – con 40 miliardi di debiti, che diventeranno 43 con il bond a sessant’anni – non può permettersi, perchè significherebbe non solo subire l’impennata degli oneri, ma anche incontrare maggiori difficoltà nel piazzare le obbligazioni presso gli investitori istituzionali.
Telecom non recederà dal l’operazione ibrido – che, con l’avvio del road-show, è già sulla rampa di lancio – ma dovrà pensare a qualcos’altro per evitare l’ulteriore declassamento minacciato dall’outlook negativo, che non solo Moody’s, ma anche Fitch, pur confermando la tripla B, ha emesso. Con il rating sul filo del rasoio, lo scorporo della rete con la cessione di una fetta della newco a un terzo soggetto diventa un azzardo: la rete è l’unico asset "fisico" di valore a garanzia dell’ingente debito di Telecom. Cedere le province d’oltremare – ormai sono rimaste solo Brasile e Argentina – significherebbe rinunciare al l’area che negli ultimi anni è stata il motore della crescita del gruppo e che ora, con il rallentamento del contesto macroeconomico del Sudamerica, ha bisogno di sostegno per continuare a marciare a pieni giri. Altrettanto, cedere Tim, per concentrarsi sulla rete fissa, avrebbe poco senso: come si potrebbe pensare di sostenere il marchio dall’altra parte del mondo senza averlo più in casa? D’altra parte – le agenzie di rating sono state chiare a riguardo – neppure si può contare più su consistenti tagli di costi per abbattere il debito, tant’è che il target di indebitamento netto sotto i 25 miliardi è slittato al 2015.
È invece sulla struttura dell’azionariato che si dovrebbe cominciare a ragionare. Non si può chiedere a Telco di svenarsi ancora per mantenere il vessillo tricolore sull’ex monopolista delle tlc nazionali. Telco è una compagine finanziaria, quindi a termine, il cui interesse è il guadagno: e invece finora ha dovuto sopportare minusvalenze per 3,6 miliardi. Se si vuole evitare lo spezzatino e preservare l’italianità della quarta azienda del Paese, l’interlocutore naturale non potrebbe che essere la Cdp. Già disposta a mettere 3 miliardi sul piatto della rete: perchè non dirottare l’investimento dove servirebbe a risolvere un problema, anzichè a crearne di nuovi?