Eugenio Bruno e Marco Mobili, Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore 13/2/2013, 13 febbraio 2013
L’IMU CHIEDE 6,3 MILIARDI ALLE IMPRESE [
Gettito totale di 23,7 miliardi - Sulla prima casa prelievo da 4 miliardi: 225 euro a testa] –
ROMA
In piena campagna elettorale "Imucentrica" arrivano i numeri ufficiali sull’Imu. A diffonderli è stato ieri il dipartimento delle Finanze. Nel 2012 dall’imposta municipale sugli immobili sono arrivati 23,7 miliardi di euro (9,9 miliardi in acconto e 13,8 a saldo), di cui 3,8 imputabili alla leva fiscale dei Comuni. Dal prelievo sulla prima casa – che tutte le forze politiche promettono di ritoccare al ribasso se non addirittura di eliminare – sono giunti 4 miliardi, più o meno 225 euro a testa. Il resto lo si deve agli altri beni. In primis quelli adibiti ad attività d’impresa che hanno subito una vera e propria stangata.
La fuga dall’Imu paventata a suo tempo dell’Ifel-Anci dunque non c’è stata. Come ha fatto notare il sottosegretario all’Economia, Vieri Ceriani: «Il grado di evasione è stato pari a quella sull’Ici. La grande massa dei contribuenti – ha aggiunto – ha capito che era un sacrificio che andava fatto». Nel salva-Italia il Governo Monti aveva stimato introiti per 21,8 miliardi. Portandoli poi a 22,5 nel conto 2012 delle amministrazioni pubbliche. E invece nelle casse di Stato e Comuni sono entrati 1,2 miliardi in più. Una somma che potrebbe aiutare l’Esecutivo a rivedere al ribasso di quasi lo 0,1% il rapporto deficit/Pil per l’anno appena trascorso. Al tempo stesso, ha spiegato Ceriani, è stato sanato lo squilibrio con gli altri Paesi Ocse quanto a tassazione immobiliare. Il nostro Paese dovrebbe passare dallo 0,6% sul Pil del 2011 all’1,2 per cento. Più o meno in linea con l’1,1 di media.
Tornando agli incassi, dei 4 miliardi di prelievo sull’abitazione principale, 3,4 sono dovuti all’applicazione dell’aliquota statale standard del 4 per mille; i restanti 600 milioni derivano invece dagli aggravi d’imposta decisi dai sindaci: il 17,8% dei Comuni ha portato l’asticella al 5 per mille mentre un altro 7,5% ha toccato il tetto massimo del 6 per mille. Non tutti i primi cittadini però l’hanno fatto. Anzi, i 2/3 dei municipi hanno preferito confermare l’aliquota del 4 per mille mentre un altro 6,4% l’ha ridotta dello 0,1 o dello 0,2 per mille.
Nel complesso sono 17,8 milioni gli italiani che hanno pagato l’Imu sulla prima casa. Versando in media 225 euro a testa. A tal proposito, le tabelle dell’Economia sottolineano come la nuova imposta municipale, pur in presenza di un gettito analogo alla vecchia Ici prima casa (3,3 miliardi nel 2008), abbia una maggiore progressività rispetto alla sua antenata. E ciò grazie alle detrazioni più pesanti (200 euro contro 103). L’analisi dei pagamenti per classi di reddito fa emergere come il valore medio cresca all’aumentare del reddito dichiarato: fino a 10mila euro l’imposta media è stata di 187 euro, per poi salire a a 267 euro tra i 26mila e i 55mila euro e a 629 euro per chi dichiara oltre 120mila euro.
Dai dati dell’Economia viene fuori un’Italia a macchia di leopardo. A pagare di più sono i contribuenti delle grandi città. Da Roma, Milano, Torino, Genova e Napoli è arrivato un quarto del gettito complessivo. Con importi medi che vanno dai 917 della capitale ai 585 del capoluogo partenopeo.
E anche le imprese non se la passano bene. Dagli immobili diversi dall’abitazione principale sono arrivati 17,9 miliardi. Una piccola parte dei quali (1,6 miliardi) tornerà in tasca sotto forma di riduzione Irpef ai contribuenti che hanno immobili non locati. Il dato aggregato tuttavia non dice tutto. Il peso del tributo si è abbattuto soprattutto su capannoni, opifici o studi professionali. Ai 15,3 milioni di contribuenti che hanno corrisposto un’imposta media di 736 euro si aggiungono i 700mila soggetti diversi dalle persone fisiche che hanno staccato un assegno medio di 9.313 euro. Cioè 6,3 miliardi di euro complessivi.
Per arrivare ai 23,7 miliardi di gettito totale vanno sommati infine il miliardo incassato dall’Imu sulle aree fabbricabili, i 64 milioni sui fabbricati rurali e i 628 milioni del prelievo sui terreni. Ben al di sotto però – ha evidenziato ancora Ceriani – dei 2 miliardi attesi dalle organizzazioni degli agricoltori.
NEL 2013 IL CONTO RISCHIA DI ESSERE ANCORA PIÙ ALTO –
MILANO
Il colpo presentato dall’Imu alle imprese nel 2012 è destinato con tutta probabilità a ripresentarsi quest’anno: c’è anzi il rischio di qualche ulteriore rincaro. Le vecchie regole consentivano infatti ai Comuni di alleggerire un po’ il carico sugli immobili dei soggetti extra-Irpef, sulla base del fatto che questi contribuenti non beneficiavano della cancellazione dell’imposta sui redditi fondiari (1,6 miliardi all’anno pagati fino al 2011 dai proprietari di case sfitte), e alcuni sindaci avevano sfruttato questa chance: come conferma la nota inviata dalle Finanze al Comune di Ferrara, però, questi sconti sono oggi vietati per legge (si veda Il Sole 24 Ore del 6 febbraio), perché il gettito ad aliquota standard del 7,6 per mille sulle imprese andrà tutto allo Stato. I sindaci, dal canto loro, possono introdurre una maggiorazione del 3 per mille, e in molti saranno costretti a farlo per due ordini di ragioni. La nuova divisione dei frutti fiscali sull’Imu, che dà ai sindaci l’intero gettito su abitazioni e negozi e allo Stato quello ad aliquota standard sulle imprese, rischia di penalizzare molti enti medio-piccoli, soprattutto nel Centro-Nord, in cui i capannoni rappresentano una quota consistente della base imponibile; senza aumenti, in questo caso si rischia una perdita di gettito.
Ma è anche lo stato complessivo della finanza locale a produrre il rischio di ulteriori aumenti fiscali. Rispondendo al sottosegretario all’Economia, Vieri Ceriani, il presidente dell’Anci, Graziano Delrio, sostiene che dai numeri diffusi dall’Economia emerge che «con l’Imu i cittadini sono più tassati ma i Comuni sono più poveri, perché ai nostri calcoli continua a mancare quasi un miliardo di euro di gettito».
Polemiche sulle cifre a parte, l’ottica dei sindaci tiene in considerazione naturalmente i tagli 2012 ai fondi di riequilibrio (calcolati sulle vecchie stime di gettito dell’Economia), e quelli ancora più consistenti che il decreto di luglio sulla revisione di spesa ha messo sul piatto per il 2013 (2,25 miliardi di euro) e che dovrebbero essere distribuiti entro venerdì sulla base dei «consumi intermedi» rilevati nel 2011. «Un taglio così profondo - sostiene Delrio - è inaccettabile e impraticabile in sé», a prescindere dal metodo per distribuirlo, e ha portato i sindaci insieme alle Regioni a chiedere a Monti di «sospendere queste scelte sbagliate».
Proprio l’Imu rischia di essere la valvola di sfogo principale della tensione che si registra sui bilanci locali: nel 2012, come mostrano i dati dell’Ifel (la Fondazione per la finanza e l’economia locale dell’Anci), i Comuni hanno portato al 9,33 per mille l’aliquota media «ordinaria», cioè quella applicata sugli immobili diversi dall’abitazione principale, con un aumento del 22,8% rispetto allo standard del 7,6 per mille. L’imposta, quindi, ha ancora spazio per ulteriori aumenti medi del 13,6%, con una tendenza che può investire anche il mattone interamente "lasciato" ai sindaci. Insieme ai negozi, a rischiare sono le case date in affitto (che ora hanno anche visto scendere dal 15% al 5% la deduzione Irpef del canone imponibile), mentre non sono all’orizzonte correttivi che permettano di ridare spazio ai canoni concordati. Agli affitti di mercato il passaggio dall’Ici all’Imu ha portato in dote aumenti fino al 240%, mentre per quelli "calmierati" l’addio alle agevolazioni ha portato rincari anche del 900 per cento.
A gonfiare le aliquote lo scorso anno è stata poi la guerra di cifre fra sindaci ed Economia sulle stime di gettito, che rappresentavano la base per i tagli ai fondi locali e hanno spinto molte amministrazioni a decidere aumenti anche per evitare sorprese a consuntivo. Uno scenario che rischia di ripetersi quest’anno: per essere efficaci, infatti, le aliquote Imu vanno decise entro il 23 aprile e pubblicate sul sito delle Finanze entro il 30 (nonostante il rinvio a giugno dei bilanci preventivi), con il rischio fondato che le decisioni vengano prese prima che si conosca la distribuzione del fondo di perequazione con cui i Comuni "ricchi" di Imu dovranno aiutare gli enti più poveri. E quando si sceglie al buio, ovviamente, è difficile essere leggeri con le richieste.