Enrico Mentana, Vanity Fair 13/2/2013, 13 febbraio 2013
SANTO SUBITO? NO MIRACOLO? FORSE
Non è normale che anche un Papa possa decidere di ritirarsi, di passare la mano, di cedere al peso della stanchezza? La risposta sarebbe sì, se considerassimo la Santa Sede come un qualsiasi ministero. La risposta è no, assolutamente, se ci rendiamo conto di quel che è successo.
Poche sono le occasioni in cui ci rendiamo conto di vivere un evento di portata storica, e questo lo è. Storico e rivoluzionario. Non tanto perché da sempre si ritiene pacifico che un Pontefice debba portare avanti la sua opera fino all’ultimo giorno, come il cinismo del senso comune fissa in tanti modi di dire (Morto un Papa se ne fa un altro, A ogni morte di Papa). Ma perché la straordinaria modernità
umile di Joseph Ratzinger spoglia, col gesto delle dimissioni, la figura del Vescovo di Roma dall’immedesimazione totale col disegno divino, quello per cui un Papa viene investito dal sacro mandato che lo fa appellare come Sua Santità.
Non solo l’uomo chiamato dal disegno della Provvidenza a svolgere la missione di apostolato cattolico terreno, ma anche un uomo come tutti gli altri: perché mortale e, ancor più, perché esercita il libero arbitrio di rinunciare alle sue funzioni. Benedetto XVI che va in pensione è l’esatto opposto di Giovanni Paolo II che ostenta al mondo il suo inabissarsi nella malattia, immolandosi fin sull’orlo della morte terrena in diretta. Un opposto per nulla eroico e per ciò stesso molto più rivoluzionario
e contemporaneo. Il Papa che rinuncia alla sua santità di Scelto da Dio, perché soggetto come ogni altro uomo alla legge dell’età, e che si spoglia del mandato divino a favore di un successore, per concludere la sua vita nel ritiro di un convento.
Ci voleva una figura tormentata e controversa come quella di Papa Ratzinger, apparentemente abbarbicato alla conservazione, per restituire alle stanze vaticane una scelta di intransigente umanità, di rottura totale con la tradizione, di sintonia col sentire dei tempi. Anche a rischio di portare nella Chiesa un’inedita e inaudita situazione, della compresenza di due Santità, il futuro Papa e l’ormai ex, o Papa emerito, o come lo si dovrà chiamare, perché non esiste locuzione per riferirsi a una figura mai considerata possibile dal 1400 a oggi.
Si citerà fatalmente – come si è cominciato a fare da subito dopo l’annuncio davanti al Concistoro – il precedente del «gran rifiuto» di Celestino V, che lasciò il papato tra minacce di morte e giochi di potere cui era estraneo, e certo non lo fece «per viltade», come da indelebile marchio dantesco. Ma quel che ha fatto Ratzinger, nel pieno della sua volontà, senza spinte esterne, con la coscienza di compiere un gesto inimmaginabile per i suoi predecessori, può aprire dall’alto la via del ritorno della Chiesa al rapporto col suo tempo, senza doverne inseguire a tutti i costi lo spirito, ma senza negarne aprioristicamente il battito vitale.
«Siamo indietro di 200 anni», diceva l’uomo che molti progressisti volevano al suo posto nel conclave del 2005, Carlo Maria Martini. La scelta di Benedetto XVI non solo riduce la portata di quell’anacronismo, ma pone forse le basi per ulteriori gesti innovativi. Quel che davvero è senza precedenti è il fatto che un anziano monaco bavarese potrà seguirli da vicino all’interno delle Mura Vaticane. Quando sarà, forse pochi diranno di lui «Santo subito». Ma Joseph Ratzinger può aver comunque fatto per il futuro della Chiesa qualcosa di miracoloso.