Gianluigi Nuzzi, Vanity Fair 13/2/2013, 13 febbraio 2013
L’OMBRA DEL SEGRETARIO
«E adesso, chi faranno Papa?», mi chiede il monsignore che mi chiama da uno degli ultimi telefoni pubblici a scheda rimasti nella zona Prati di Roma. È lui che mi annuncia le dimissioni di Ratzinger, con 24 ore di anticipo. Era lui che mi aveva anticipato anche l’arresto di Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa, accusato di aver fotocopiato alcuni documenti – poi finiti nel mio libro Sua Santità – sulle cordate e i veleni che tormentano questo pontificato. Il monsignore è inquieto, perché anche quei veleni hanno portato il Papa alle dimissioni.
IL VIRUS DELL’AMBIZIONE
La malattia avrà giocato un suo peso, ma non c’è solo quella. C’è la consapevolezza di non poter arginare una deriva, quella che lui stesso definisce «l’ambizione umana del potere», virus che affligge l’anima e il portafoglio di troppi vescovi e cardinali.
L’ultimo dossier sulla sua scrivania, fermo da settimane, riguarda l’ennesimo scontro, così lontano dal Vangelo: la partita per la nomina del nuovo presidente dello Ior, la banca del Vaticano. Il consiglio di amministrazione non ha ancora neppure ufficializzato le dimissioni dell’ex presidente Ettore Gotti
Tedeschi – che in cassaforte ha lasciato un memoriale destinato a un amico, un professore e un giornalista del Corriere della Sera, dicendo alla segretaria: «Ho paura di morire; se mi uccidono, mandi questi tre plichi» – ma quelle dimissioni hanno già creato una frattura tra chi le aveva invocate e sollecitate, a cominciare dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone, e chi invece difendeva l’opera di pulizia e trasparenza avviata da Gotti Tedeschi, come il cardinale Nicora, persona forse troppo perbene per maneggiare questioni finanziarie tanto delicate. E così al Papa era arrivato, in questi giorni, il dossier sulla successione.
CHI, DOPO GOTTI TEDESCHI?
Il nome del nuovo presidente è una tessera fondamentale nella geometria di potere di Bertone, il cardinale salito da Vercelli all’ombra del Santo Padre, forte di un inossidabile (e per molti osservatori incomprensibile) legame con lui. E così si era ultimamente rafforzata la cordata che vuole le dimissioni di Nicora e di un altro cardinale dal consiglio di amministrazione, in modo da assicurare ai fedelissimi del Segretario di Stato i numeri giusti per scaricare definitivamente Gotti Tedeschi e nominare un nuovo presidente di suo gradimento: suo di Bertone, ovviamente, non del Papa. Questa la lettura dei porporati vicini all’ex Segretario di Stato Sodano, ma anche di quelli irritati per la cacciata dal Governatorato di Monsignor Viganò, convinti che abbia pagato per aver fatto luce sui conti, gli appalti, gli interessi. Bertone, insomma, è riuscito a unire le tante anime della Santa Sede: tutte – o quasi – contro di lui. E anche questo conflitto, moltiplicato all’infinito nei vari dicasteri vaticani (sanità, finanze, musei, onlus…), ha indebolito l’azione del Santo Padre.
TWITTARE NON BASTA
C’è poi stata la storia del trafugamento dei documenti del Papa. Diranno ora che le sue dimissioni sono frutto di quel brutto episodio. Ma ad affaticarlo è stato il tradimento del maggiordomo, o piuttosto il dolore di veder rese pubbliche certe storie? Il Pontefice si è trovato di fronte al dilemma: se non sono in grado di governare, che cosa posso fare? Cambiare il Segretario di Stato voleva dire ipotecare la credibilità del pontificato stesso. Ecco perché Benedetto XVI spiega di aver «ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio». L’ingovernabilità dentro i Sacri Palazzi, lo strapotere di Bertone entrato in rotta di collisione con altre anime della Santa Sede, la difficoltà di gestire la Chiesa nel mondo, la percezione che non basta twittare per stare al passo con i tempi, la malattia: ecco le motivazioni reali. Giornalisticamente sono più golosi i retroscena, gli scontri che di certo hanno fiaccato Ratzinger, ma che non possono essere considerati decisivi.
ATTENTI AL CONCLAVE
Gli strascichi velenosi li troveremo al prossimo conclave. Perché chi osteggia l’opera di trasparenza cercherà i numeri giusti anche lì. Con una battaglia tra chi punta su un Papa italiano figlio della continuità della Curia e chi invece crede in un Papa straniero che dia voce ai cattolici di ogni angolo del pianeta, a costo di ridurre le sedi cardinalizie italiane, come proprio Benedetto XVI voleva.
Anche perché dal passato possono levarsi brutti fantasmi. Quelli, per esempio, che mi descrisse una volta un alto dirigente dello Ior: il problema non sono i conti correnti intestati a civili – tra gli altri, Giulio Andreotti – che attraverso fondazioni inesistenti godevano, durante il pontificato di Wojtyla, di interessi fino al 9%; il problema sono i conti intestati a sacerdoti che fanno da prestanomi. Conti che possono far scoppiare veri scandali, e che è difficile individuare e chiudere senza che nessuno sappia.
Messo di fronte al bivio – o «noi» o «loro» – Ratzinger ha alla fine scelto la strada più difficile.