Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 08 Venerdì calendario

L’ECONOMIA DEL GIORNO PRIMA


Dunque siamo passati indenni da Fukushima, Sandy e pestifere profezie centroamericane. No, non perché il protone si sia neutralizzato, l’uragano abbia frenato, i Maya mal calibrato. Tutt’altro. Eravamo pronti, prontissimi. Non tanto nella reazione (semmai anche nella reazione); il punto è che eravamo davvero già pronti. Preparati. Preparazione è il concetto chiave. Siamo preparati perché metodici, bilanciati e attenti. Perché siamo affascinati dalla valutazione del rischio infinitamente più che dalla conta del danno. E perché, alla fine di tutto, non sappiamo fare altro che sperare. È per questo che l’innegabile attrazione verso la catastrofe guadagna senso soltanto se prefigurata, valutata, contrastata. Su tutto questo, e cioè sulla natura umana e nient’altro, si fonda una delle poche industrie attualmente in crescita.
Il New York Times l’ha denominata "Mad Max Economy", dalla vecchia pellicola australiana tutta Mel Gibson e civiltà collassata-vendetta. È l’economia "del giorno prima", della vigilia permanente, della preparazione, appunto. E si fonda sul rischio: terremoti, uragani, attacchi terroristici, conflitti, paura.
Nel 2011 si è stimato intorno ai 380 miliardi di dollari il costo mondiale derivato da disastri di ogni natura e tipologia. L’industria "del giorno prima" cresce a ogni crollo del mercato, a ogni singolo terremoto. È un’industria event-driven: è in arrivo un uragano, aumentano le vendite di generatori di elettricità e stock di cibo disidratato. Si paventano pandemie e attacchi batteriologici, esplodono le richieste di bunker sotterranei e sistemi di aerazione industriali. Nascono nuove figure lavorative: professionisti del bicchiere-mezzo-vuoto e società di consulenza anti-disastro.
Sbocciata dalla mente di gruppi più che marginali, l’economia del giorno prima è oggi definitivamente mainstream. Durante le settimane precedenti all’uragano Sandy, l’azienda americana Eton ha visto impennarsi del 15 per cento gli ordini di radio d’emergenza (strumenti esteticamente antidiluviani funzionanti a pannelli solari e/o a manovella e collegati al servizio nazionale meteo attraverso allerte acustiche). Del 220 per cento la settimana dell’uragano stesso. Se esistesse una capitale mondiale del mercato dell’energia emergenziale, sarebbe senza dubbio lo Stato del Wisconsin. Generac, Briggs&Stratton, Kohler sono tra i più grandi produttori di generatori elettrici. Lo Stato tradisce parte di quella pragmaticità manifatturiera erede dell’immigrazione teutonica del suo passato nella fabbricazione di generatori industriali e residenziali ad alta resa. Dal 2000 a oggi la Generac è cresciuta costantemente di un 15 per cento annuo. Il comparto residenziale privato, quello di più stretta attinenza con la "Mad Max Economy", incide già per il 60 per cento delle entrate societarie. Le previsioni sono di un ulteriore 40 per cento di espansione: tutti da quelle parti sognano un generatore.
L’agognata autarchia elettrica è a portata di mano: con 5mila dollari ci si aggiudica una polizza anti-tenebre. La Halo Corporation, fondata dall’ex militare delle Special Operations Brad Barker, organizza training iper-realistici di situazioni di isteria collettiva. Sismi, attacchi biologici, eventi meteo, azioni terroristiche, è lo stesso: nella simulazione di Halo il disordine è incrementato da attori – alcuni travestiti addirittura da zombie – che attaccano fisicamente i malcapitati partecipanti.
La multinazionale britannica Aon (servizi assicurativi, brokeraggio, risk management) ha messo in piedi una struttura di broker riassicurativo chiamata Impact Forecasting che aiuta ad analizzare le implicazioni finanziarie di eventi catastrofici in modo che le società siano esattamente a conoscenza dei rischi presenti nelle aree dove operano. Vengono presentati modelli dettagliati area per area: terremoti, uragani, tornado, attacchi terroristici e disastri petroliferi per gli Stati Uniti; tifoni per il Sud-Est asiatico; ancora terremoti per Giappone, Australia e Nuova Zelanda: esondazioni per Europa centrale ed orientale. Viene pubblicato persino un bollettino mensile sul sito della società, intitolato Global Catastrophe Recap, summa assoluta di tutti gli avvenimenti apocalittici del mese.
È difficile fare stime precise di un fenomeno che è globale e totalmente multidisciplinare, ma è evidente che l’industria del giorno prima valga svariati miliardi di euro all’anno. È un fenomeno più americano che "restomondista": l’America d’altra parte sopporta da tempo più rischi ed è soggetta – anche quantitativamente – a un numero superiore di incidenti rispetto al resto del primo mondo. Ma non è solo questo, ci sono anche ragioni storico-culturali e radicamenti più che centenari.
Il massacro di Haun’s Mill per esempio, data 1838, è l’incubo primigenio dei mormoni. Una milizia proveniente dalla Contea di Livingston, Missouri, attaccò un insediamento della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni durante la cosiddetta guerra dei mormoni, terminata con la resa del fondatore Joseph Smith. Diciassette mormoni vennero trucidati dagli uomini messi insieme dal colonnello William Jennings per dare seguito al decreto di espulsione della setta dall’intero Stato del Missouri. Oggi si vive nell’attesa di un nuovo Haun’s Mill, sorta di mille e non più mille in salsa mormonica. Per rassicurare gli adepti della Chiesa che attualmente conta il maggior tasso di proselitismo in America, sono disponibili due dettagliatissimi manuali di 500 pagine l’uno. In Lds Preparedness Manual agli excursus storico-confessionali vengono fatte seguire paginate di propedeutici avvertimenti al peggio. Preparazione all’emergenza. Perché? è il titolo della prima sezione. Sotto il capitolo Family Home Storage sono invece indicati i quantitativi di cibo steccato necessari al mantenimento famigliare per il tempo prescritto dal Verbo (un anno). Segue la One Year Supply Guide, la compilazione più circostanziata che mente umana abbia mai concepito. Tipologie di alimenti, quantitativi misurati al centesimo di libbra, modi di conservazione, tempi di vita dei cibi. Non esistono scusanti: i più disorganizzati possono fare riferimento al Monthly Food Storage Purchasing Calendar, un vero e proprio scadenzario settimanale, con indicazioni di che cosa – e quanto – comprare ogni singolo giorno dell’anno. Il risultato sarà un percorso netto in base al quale il bravo mormone potrà, dopo 365 diligenti visite al negozio di alimentari di fiducia, vantare la sua bella scorta regolamentare.
In realtà quella per il cibo è un’ossessione comune a tutti i tipi di preppers (o survivalists, coloro che vivono nell’attesa del disastro), siano essi di derivazione religiosa, laica, mistica o psichiatrica. Decine di siti internet garantiscono le scorte necessarie alla sopravvivenza qualsiasi-cosa-succeda. Si tratta di alimenti disidratati con tempi di conservazione ultradecennali. Su readymaderesources.com è attualmente in offerta una maxi-scorta onnivora (casse di pollo a cubetti, lasagne, cheesecake, beef stroganoff e molto altro) a 3.725 dollari invece degli originari 4.625. James Wesley Rawles, tenutario di survivalblog.com, il più importante blog del mondo survivalist si è invece spinto oltre. Potenza e atto: se la teoria dice via dalle corrotte metropoli destinate all’implosione, si deve quantomeno indicare un decoroso Eden. E infatti Rawles l’ha fatto: la sua strategia di ricollocazione abitativa di micro-inurbazioni a misura di individuo si chiama The American Redoubt: Idaho, Montana, Wyoming, e le porzioni orientali di Oregon e Stato di Washington.
In Missouri c’è invece un esperimento piuttosto unico, testimoniato nel reportage fotografico di queste pagine: una comunità, chiamata Factor e Farm, dove il senso sta tutto in quella "e" così estranea al vocabolario inglese. È la "e" di «ecologia, esperimento, esponente ed evoluzione alla libertà»; così afferma senza pudori Marcin Jakubowski, laurea a Princeton e dottorato in fisica nucleare, l’uomo che si è messo alla testa di questa utopia contemporanea, fondata su scienza e conoscenza, finalizzata a una specie di autarchia tecnologica – di tecniche e di strumenti – da offrire rigorosamente in open-source al resto del mondo. Per esempio, si fabbricano trattori pezzo per pezzo; si fabbricano gli strumenti per fabbricare i trattori; si estraggono le materie prime per fabbricare gli strumenti che fabbricheranno i trattori. Nel frattempo c’è la natura, il bosco e l’orto.
Il contraltare economico-finanziario del survivalism è rappresentato dalle teorie di Howard Ruff, autore di best-seller di genere come Famine and Survival in America (1974), e How to Prosper During the Coming Bad Years (1979). Ruff conseguì una certa notorietà grazie ai guadagni che riuscì a garantire ai seguaci attraverso i suoi cavalli di battaglia: investire solo in oro, argento e platino, evitando a tutti i costi azioni e obbligazioni (per la cronaca la cosa andò bene fino allo scoppio della bolla speculativa dell’oro e dell’argento del 1980, ma a quel tempo How to Prosper era al numero uno assoluto nelle classifiche di vendita e Ruff se ne fece certo una ragione). Comprare, accumulare, e stivare centinaia di casse e lattine di cibo in un certo senso richiama le teorie di investimento di Ruff. Pollo, fagioli e chili piccante come metalli preziosi: qualcosa di solido, tangibile, contro ogni volatilità del sistema. Il problema è il contesto. L’offerta di readymaderesources.com termina con un interessante inciso: «Non aspettate. La scarsità di cibo sta arrivando. Leggete le notizie: disastro e bancarotta incombono. Vorremmo dire che l’acquisto di scorte sia come denaro in banca, tuttavia nulla varrà più niente». Prepararsi è bene, sperare no.