Filippo Ceccarelli, la Repubblica 13/2/2013, 13 febbraio 2013
DA MALACHIA A NOSTRADAMUS SUL WEB SI SCATENA L’APOCALISSE
[Così spopolano in rete vaticini e taroccamenti esoterici] –
EPOI ci sarebbe anche questa notizia: che presto ci sarà la fine del mondo.
Come dire che scampata alla profezia dei Maja, con il pretesto o sulla spinta del Papa dimissionario, l’umanità si è immediatamente rivolta alle predizioni di San Malachia, fermo restando che a rallegrare la vigilia del Giudizio universale sono pure disponibili i simpatici preavvisi di Nostradamus, di Rasputin, del Ragno Nero, della Monaca di Dresda e del Monaco di Padova, che a sua volta ripropone le divinazioni dell’Eremita Teolosforo.
La rete trabocca infatti di vaticini e così fra suggestioni paranoiche, divertissement millenaristici e taroccamenti esoterici il Medioevo si è collocato ufficialmente on line.
L’importante, anche stavolta, è che tutti abbiano paura, o meglio che si colga nell’aria ciò che l’antropologo Marc Augé ha definito una «matassa indistinta e confusa di paure».
Tra i compiti benemeriti della Chiesa, per non dire del Papa, ci sarebbe (anche) quello di provare a toglierle — e in questo senso un pensiero grato va a Giovanni Paolo II che non si stancava di ripetere: «Non abbiate paura!».
Appunto.
Eppure mai come in questo frangente il fascino dell’Apocalisse, che pure dal punto di vista etimologico non corrisponde alla fine dei tempi, s’impone comunque all’attenzione del pubblico insieme a tutto quanto non si arriva a capire con il raziocinio, in un vorticare di segni, presagi, coincidenze liturgiche e ricorrenze mariane come quella che ha visto la rinuncia di Benedetto proprio nel giorno dedicato alle apparizioni di Lourdes.
Si ricorderà del resto il vento che muoveva le pagine del Vangelo e scompigliava le vesti dei cardinali al funerale di Papa Wojtyla. Ed ecco che la novità sconvolgente s’imprime nell’immaginario post-moderno, così simile a quello antico, attraverso foto di folgori sul Cupolone, sequenze di duelli aerei tra gabbiani e colombe in piazza San Pietro, o il ricordo di anelli piscatori scivolati dalle dita pontificali. Tutto questo è misterioso e al tempo stesso forse anche spiegabile, né a causa di Dan Brown, o di Giacobbo, o di Casaleggio occorre autocensurarsi perché da sempre la stessa tradizione ecclesiastica rivolge il suo sguardo ai simboli per leggervi il futuro. Ieri su Libero Antonio Socci, che certo se ne intende, ha richiamato i segreti di Fatima e Medjugorje, oltre che le visioni di Pio X e di Leone XIII. In tutti i casi si tratta di profezie che lasciando, anzi mettendo piuttosto in ombra la misericordia divina, la lieta novella della redenzione e tutto ciò che apre il cuore all’amore e alla gioia, prospettano un avvenire spaventoso — e questo francamente autorizza qualche dubbio, e in fondo anche qualche domanda.
E in effetti se la posero anche pensatori non ortodossi come Pasolini («E passando davanti a San Pietro, all’inizio/ di una nuova primavera, che è la sua fine,/ (...) Ecco Pietro II che scende dalla sua piazza,/d’improvviso deserta») o Sergio Quinzio nel suo Mysterium iniquitatis.
Non che il male sia escluso dalla storia anche apostolica, figurarsi. Senza riandare ai Borgia, soggetto di recenti e veridiche serie tv di successo, sospetti avvelenamenti, sequestri di adolescenti, stragi di guardie svizzere, attentati e altri terribili eventi di cui magari non si sa, sono ben maturati in tempi recenti al di là del Portone di bronzo. Ma come se tutto ciò non bastasse, le ansiogene proiezioni comprendono per lo più papi trafitti o inseguiti da Satana, mucchi di cadaveri curiali, basiliche petrine in fiamme o tremanti. Incubi insomma molto «interni», domestici, vaticani, non importa se tali da richiamare analoghi terrificanti eventi che avvengono oggi in diverse parti del mondo.
Il più ricorrente di questi inferni venturi identifica nell’imminente pontefice, Pietro II o Pietro Romano che sia, l’ultimo uomo chiamato a svolgere quel ruolo e quindi preannuncia la fine della Chiesa, ergo di Roma e del mondo. In altre parole, come ai tempi del diluvio universale, o di Sodoma e Gomorra il Signore avrebbe perso la pazienza e deciso di farla finita. Ma per sempre. Tale scenario appare problematico nel suo sviluppo. Ma il fatto, o se si vuole l’ossessione della fine del mondo, si presta a un’interpretazione globale secondo cui la fine del mondo è in realtà la fine del «nostro» mondo, il declino storico dell’occidente che ha perso la sua posizione dominante. Da qui nasce l’attrazione per la decadenza, il crollo, la fine.
Dimesso un Papa, da quanto si capisce, se ne farà un altro. E siccome l’Italia è l’Italia, in attesa della fine dei tempi il comico Crozza non manca di affrontare la questione al festival di Sanremo.