Carlo Bonini e Walter Galbiati, c.b., la Repubblica 13/2/2013, 13 febbraio 2013
LE TANGENTI DI FINMECCANICA “ERA PRASSI PAGARE MAZZETTE” UN MANAGER ACCUSA LA LEGA
[Elicotteri venduti all’India, in manette l’ad Orsi] –
ROMA
— Buonanotte Finmeccanica. Inghiottita dall’Affaire India - una tangente da 51 milioni di euro agli stati maggiori di Nuova Dehli su una commessa da 556 per 12 elicotteri Aw Vip 101 a uso civile - la holding, in sole 12 ore, mentre il titolo sprofonda in Borsa (-7,3%), perde il suo amministratore delegato Giuseppe Orsi e Bruno Spagnolini, Ceo di Agusta, la più pregiata delle sue controllate. Il primo finisce in una cella come i “facilitatori” Guido Ralph Haschke e Carlo Gerosa. Il secondo, agli arresti domiciliari nella sua casa di Fara Novarese. Tutti accusati da un’ordinanza di 64 pagine, che accogliendo le richieste del Procuratore di Busto Arsizio Eugenio Fusco, non solo e non tanto contesta i reati di «corruzione internazionale» e «false fatturazioni». Ma consegna alla storia il management della holding con un epitaffio mortificante: «Agusta e la sua dirigenza sembrano essere consueti al pagamento di tangenti e vi è il motivo di credere che tale filosofia aziendale si ripeta anche in futuro».
LA CONFESSIONE DI HASCHKE
E’ il facilitatore italo-svizzero Guido Ralph Haschke a trascinare nell’abisso Orsi e Spagnolini. Il 13 e 14 novembre dello scorso anno (dopo essere stato arrestato e rapidamente rilasciato dalla magistratura svizzera), l’uomo si presenta in Procura a Busto Arsizio e decide di raccontare come, quando, perché, con la complicità di chi, è stata messa insieme la tangente a sei zeri di cui, per primo, un anno prima, ha parlato ai magistrati di Napoli Lorenzo Borgogni, l’ex direttore delle relazioni istituzionali di Finmeccanica. La sua è, insieme, una «ammissione di responsabilità piena e attendibile » e una «chiamata di correo». Ed è una storia che comincia nel 2005, quando Orsi è Ceo di Agusta.
L’India cerca sul mercato internazionale 12 elicotteri per il trasporto Vip. E Haschke ha un socio - Carlo Gerosa - che è amico dei Tyagi, la famiglia del Capo di stato Maggiore indiano, l’uomo da cui la scelta in buona parte dipende. Haschke, dunque, non perde tempo e si muove per agganciare Giorgio Zappa, allora direttore generale di Finmeccanica. «Tramite Zappa - spiega a verbale - ho avuto l’opportunità di incontrare nel 2005 a Cascina Costa l’ingegner Giuseppe Orsi. Tale incontro è successivo alla visita di Ciampi in India, nel corso della quale, grazie ai fratelli Tyagi, era stata propiziata la riunione tra Zappa e il Capo di Stato maggiore, il maresciallo Tyagi ». L’incontro con Orsi avviene a dicembre e, a febbraio 2006, Haschke ha già in mano un primo contratto di consulenza.
«Spiegai - dice ai pm - che tramite le mie importanti conoscenze in India mi sarei adoperato per fare aggiudicare la commessa ad Augusta». E ha ragione. Perché, grazie ai fratelli Tyagi, il bando di gara viene modificato per favorire Finmeccanica. «Furono abbassate le quote di volo degli elicotteri da 18 a 15mila piedi e venne introdotta una prova comparativa di volo con motore in avaria, grazie alla quale Augusta avrebbe sbaragliato la consulenza dei rivali americani e francesi». L’iter di gara non è esattamente fulmineo, ma l’8 febbraio 2010, il governo indiano firma il contratto da 556 milioni di euro per l’acquisto di 12 elicotteri Agusta.
L’INGLESE MITCHELL
Orsi e Spagnolini ci mettono del loro. Decidono di affiancare ad Haschke e Gerosa, un terzo “facilitatore” di fiducia, Christian Mitchell, cittadino inglese con villa a Dubai e quarti di nobiltà laburista alle spalle, che per il disturbo incassa, secondo l’accusa, circa 30 milioni di euro.
«Orsi - racconta Haschke - mi impose di collaborare con Mitchell. Feci buon visa a cattivo gioco, perché mi resi conto che uno scontro avrebbe compromesso l’affare India. Io avevo già chiesto una percentuale complessiva tra il 5 e il 10%, ma non avevo avuto risposta definitiva». E ancora: «Durante un incontro a Cascina Costa, si negoziava una percentuale complessiva tra me Orsi e Mitchell pari al 7% complessivo». Alla fine Haschke
strappa un 5%: «60% alla famiglia Tyagi, 40% a me e Gerosa».
LA PROVVISTA
Per la tangente agli indiani è necessaria una provvista e un canale di pagamento. Orsi e Spagnolini - nella ricostruzione della Procura - provvedono all’una e all’altra. Dopo aver infatti consegnato in due tranche (100 mila e 400 mila euro) contanti ad Haschke e Gerosa, Agusta firma contratti per commesse commerciali con due società, la “Ids India” e la “Ids Tunisia”. Tra cui un contratto di ingegneria tuttora in corso con la Ids indiana e la Ids tunisina. Questo consente, tra il 2007 e il 2011, versamenti per circa 21 milioni di euro, per i quali il pm Fusco ha contestato il reato di evasione di imposte sui redditi, in quanto sarebbero state appostati nei bilanci di Augusta costi operativi inesistenti, in quanto prodotti con false fatturazioni.
LA LEGA E IL SOSPETTO DI TANGENTE
Se in questa faccenda la corruzione è internazionale, il sospetto, tuttavia, si fa domestico. Perché è la Lega ad aver voluto Orsi al vertice di Finmeccanica. E perché nei verbali dei pm finisce la testimonianza dell’ad della controllata “Ansaldo Energia”, Giuseppe Zampini, il manager che, senza successo, ha conteso ad Orsi la poltrona di Guarguaglini.
Dice Zampini: «Mi è stato riferito da Guarguaglini e Borgogni che all’incontro che aveva preceduto la nomina di Orsi avevano partecipato Maroni, Giorgietti, Calderoli e Letta. I leghisti avevano fatto prevalere...il nome di Orsi». «Guarguaglini - aggiunge - mi aveva detto che Letta e Berlusconi erano per la mia nomina, Tremonti non era in disaccordo, solo la Lega spingeva per Orsi». Ma non basta. Il giorno dopo la nomina di Orsi, Zampini incontra Haschke alla stazione di Varese. «Hasckhe mi disse che Orsi e Spagnolini gli avevano chiesto la retrocessione di una parte rilevante del compenso per la “mediazione” Indiana che pure era stato pattuito in base a un accordo e fece anche un’illazione: ’La retrocessione che mi è stata richiesta magari serviva a Orsi per ricompensare la Lega’». Parole, quelle Zampini, che incrociano e confermano quelle messe a verbale da Lorenzo Borgogni, e danno un contesto a una serie di favori indicati proprio dall’ex responsabile delle relazioni esterne della holding, come «l’assunzione del figlio di Giorgetti e della figlia di Ponzellini (Massimo ex presidente della Bpm)».
LA “MANO” DI MONTI
Di fronte all’agonia di Orsi, sotto inchiesta dal 2011, la Politica balbetta. Anche e soprattutto quando non ce ne sarebbe apparente motivo, perché a palazzo Chigi siedono i tecnici di Mario Monti. Scrive il gip: «I fatti oggetto dell’inchiesta sembrerebbero aver determinato non solo una situazione di difficoltà all’interno della struttura aziendale, ma anche un palese e conosciuto imbarazzo da parte dei più importanti esponenti governativi ». Accade infatti che, il 4 gennaio scorso, all’interno della sala riunioni della Fata, una controllata di Finmecannica, venga intercettato un colloquio tra Ignazio Moncada, presidente della Fata e l’ex ministro delle Finanze Domenico Siniscalco, in cui il primo sembra riportare le parole scambiate col premier Mario Monti su Orsi: «Io (verosimilmente Monti ndr) vado ad Abu Dhabi non gli (a Orsi ndr) stringo la mano. Capirà che si deve dimettere ... poi non gli ho risposto alla lettera, quindi ha capito che ...».
ORSI, IL CSM E GLI EX GIUDICI
L’indagine cammina e Orsi non se ne sta con le mani in mano. «Mente agli organi di vigilanza interni di Finmeccanica» perché non affiori nel guaio indiano l’anomalia dei contratti di consulenza firmati da Haschke. Ma non solo. «Gli indagati - scrive il gip - si adoperano per sviare le indagini attraverso magistrati in pensione. A costoro sono affidati i ruoli di presidente e di componente dell’organo di vigilanza interno e di addetti alle questioni riguardanti la legge 231. Ci si riferisce al dottor Giuseppe Grenchi, già presidente della Corte d’Appello di Milano e alla dottoressa Manuela Romei Pasetti, già presidente della Corte d’appello di Venezia ».
Orsi, del resto, è generoso. Intercede con Siniscalco, attualmente presidente di Assogestioni e vice presidente di Morgan Stanley, per la Pasetti, chiedendogli di «ricordarsi della signora magistrato per qualche posto in qualche cda con le quote rosa». In cambio, secondo i pm, i due ex giudici si spendono prima per capire quale magistrato si sarebbe occupato della pratica Agusta arrivata a Busto Arsizio nell’estate del 2012. Quindi per impedire che ad occuparsene fosse il Procuratore Fusco, applicato come Procuratore pro-tempore. E questo, attraverso misteriosi contatti al Csm. Cui condurrebbero due utenze telefoniche svizzere.
“COMPRARE LA STAMPA”
Orsi si convince anche di altro. Che l’immagine di Finmeccanica - scrive il gip - si può rimettere agli onori del mondo con «una campagna di stampa retribuita e compiacente». Che questo significhi spendere 1 milione di euro per il lavoro di una società di comunicazione (ne parla il 28 ottobre 2012 con il suo addetto stampa, Carlo Maria Fenu).
«Correggere e riscrivere» le risposte date in un’intervista a Osvaldo De Paolini del “ Messaggero”.
Pianificare un salto di immagine parlando con il
Financial Times e Sergio Rizzo del Corriere della Sera.
O che significhi sollecitare Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che promette di «intervenire subito» per «fermare il Sole 24 ore» (il 24 novembre 2012 Orsi gli dice al telefono: «Oggi mi sembra che abbia superato il limite»). Anche se l’intervento, ammesso ci sia stato, no avrebbe dato frutti come ha spiegato ieri il direttore Roberto Napoletano («Non abbiamo mai smesso di scavare»).
QUEL COLLOQUIO PRIMA DI FINIRE IN CARCERE “POCA POLITICA, NON CORROMPO PER VENDERE” –
ROMA
— «Perché non viene a prendersi un caffè?». La mattina dell’11 gennaio scorso, esattamente un mese prima che il gip di Busto Arsizio Luca Labianca gli aprisse le porte del carcere, Giuseppe Orsi era convinto di essere passato attraverso la cruna dell’ago. O, almeno, se non lo era, lo dava a intendere. Nell’ufficio d’angolo dalle grandi vetrate al settimo piano di piazza Montegrappa, la sede di Finmeccanica, si era acceso un toscano fatto a mano e, spalle al Tevere, dondolandosi morbido sulle rotelle di una poltrona di pelle da tavolo, posava ad Alice nel Paese delle Meraviglie. «Le chiederei di tenere questa chiacchierata tra noi... Ma mi fa piacere che lei sappia alcune cose del sottoscritto. La prima. Io sono un uomo onesto figlio di una famiglia onesta. La seconda: sono un uomo di fabbrica. La terza: io non corrompo per vendere. Piuttosto, rinuncio a vendere. La quarta: io nella mia vita non ho chiesto mai nulla. Tantomeno di essere seduto su questa sedia. Mi hanno chiamato. E ancora adesso, Roma, i palazzi della politica, le banche, sono qualcosa che fatico a maneggiare. Si figuri, in vita mia, sarò stato in tutto due volte a palazzo Chigi, ho incontrato Tremonti in una sola occasione e non frequento il ministero dell’Economia».
Di tanto candore e di altrettanto dichiarato stupore per le cose del mondo e dei palazzi, nelle intercettazioni della Procura di Busto non c’è traccia. Piuttosto, Orsi appare uomo spregiudicato. Ma come spesso accade a chi finisce per convincersi della storiella che ripete, quella mattina l’amministratore delegato di Finmeccanica sembrava persino a suo agio nel tratteggiarsi come il “cavaliere bianco”, anche a costo di sfidare l’evidenza con sprezzo della verità. «Vede, io sono l’uomo della discontinuità. Perché rispetto al modello delle vecchie Partecipazioni Statali, vale a dire allo schema contratti/lavoro/pace sociale, io ho scelto il Mercato. Anzi, i Mercati Internazionali. Io sfido da sempre la concorrenza internazionale». Sappiamo ora a che prezzo e con l’aiuto di quali “facilitatori”. E sappiamo anche che, delle Partecipazioni Statali, della cultura Iri di Finmeccanica, Orsi era ed è in realtà figlio legittimo. Tanto per dirne una, è la Lega di Roberto Maroni che lo issa al vertice della holding per il dopo Guarguaglini. Ma anche su questa circostanza - nota per altro alle pietre - l’uomo minimizzava, fino a dirsi «incredulo» che qualcuno potesse davvero credere che la politica avesse giocato un ruolo nella scelta della sua nomina ad amministratore delegato di Finmeccanica. «La Lega? Ma andiamo... Pensi che un giorno incontro qui in ascensore Calderoli e lui non mi riconosce. Per non parlare di Bossi, che non so neppure che faccia abbia. Solo Maroni l’ho conosciuto bene. Dai tempi in cui era ministro dell’Interno. E lo stimo». Insomma, «una conoscenza come altre che ho nella politica» e che, guarda caso, aveva tenuto a lasciar scivolare nella conversazione. «A me, per esempio, Pierluigi Bersani piace. E con Pierferdinando Casini siamo amici».
Già, per esempio. Come, “per esempio”, buoni - sosteneva - erano i suoi rapporti in Vaticano, le cui porte gli erano state aperte da Gotti Tedeschi, e dove - spiegava con una punta di civetteria - «conto sull’ascolto e l’amicizia del cardinal Bagnasco. Anche quando ho dovuto spiegargli che non potevo non vendere Ansaldo Energia».
Naturalmente, sull’affare indiano, aveva preferito pattinare. Anche qui, riproponendo un canovaccio che oggi appare per quello che è. «Haschke? L’ho conosciuto pochissimo. Me lo presentò Zappa e sull’uomo preferirei non dire. Mettiamola così: ha fatto il suo lavoro».