Caterina Soffici, il Fatto Quotidiano 12/2/2013, 12 febbraio 2013
AL BAZAR DEL CATTIVO CIBO ECCO COSA C’È NEI SUPERMARKET
[Dalla carne di cavallo al basilico giordano, gli alimenti venduti nella catena inglese della Tesco sotto accusa] –
Londra
Prima la carne di cavallo di provenienza oscura negli hamburger, ora nelle lasagne. Lo scandalo di Tesco, tra le maggiori catene di distribuzione, ha messo i sudditi britannici di fronte a un problema che non si erano mai posti: che cosa mangiamo? Da sempre, e chi ha soggiornato nell’isola anche per poco lo sa bene, questo popolo ingurgita qualsiasi schifezza senza farsi domande. Per loro il cibo non ha il significato sacrale che gli attribuiscono gli italiani. Mangiare è più o meno un sinonimo di sfamarsi. Ma a tutto c’è un limite. E infatti da giorni non si parla d’altro. I tabloid sono scatenati. Le tv anche. Un Crozza locale è entrato in una filiale di Tesco travestito da cavallo che piangeva e cercava la mamma. Un libro fa discutere e ha conquistato le vetrine della catena Waterstones (le locali Feltrinelli): si intitola Fat Chance, svela l’amara verità sullo zucchero, aggiunto ovunque per mascherare la cattiva qualità delle materie prime. Il governo Cameron annuncia ispezioni nelle scuole, negli ospedali e controlli nei cibi per neonati e agli investigatori dell’agenzia anti frodi alimentari sono arrivate segnalazioni di animali interi venduti per 10 sterline (12 euro e mezzo).
ECCOCI ALLORA a fare una prova carrello da Tesco. Partiamo dal reparto frutta e verdura, dove se uno volesse capire dalla merce sui banconi se è estate o inverno non ci riuscirebbe. Ieri c’erano i mandarini e le arance (provenienza Egitto e Israele) ma anche le susine (Sudafrica), le pesche (Argentina) l’uva rossa (Perù), le fragole (Marocco), i meloni gialli (Honduras), i meloni bianchi e il cocomero (Brasile), l’Ananas (Costa Rica), la Papaya (Ecuador) e le banane (Repubblica Dominicana), i mirtilli giganti (Nicaragua). Tutto costa uguale, carissimo. E tutto è mediamente insapore. I “farmer market” ossia le bancarelle dei contadini, sono una rarità un po’ da radical chic con tendenze macrobiotiche e alta consapevolezza alimentare.
Da Tesco invece sono talmente fieri delle poche cose cresciute sul suolo britannico che le confezionano in pacchetti con la bandiera Union Jack e la scritta: proudly british (fieramente inglesi). Sono carote, patate, cipolle, porri e cavolfiore, mele e pere. Le patate dolci invece arrivano direttamente dagli Usa, i fagiolini dall’Egitto, i fagioli, i broccoli e i piselli dal Kenya, le punte di asparagi dal Nicaragua e gli asparagi dal Messico, la zucca dal Senegal e dal Sudafrica. Poi ci sono prodotti in crisi d’identità, tipo il basilico, venduto come “really italian product” ma cresciuto in Giordania. Tonnellate di merce che percorre migliaia di chilometri (qui il Km Zero non esiste): non è dato sapere come la conservano e quante tonnellate di anidride carbonica si produce nel movimentarle.
Sui 14 corridoi del supermercato, il fresco ne occupa 2. Tutto il resto sono prodotti industriali e confezionati. Il bello viene nei ben due corridoi di cibi precotti, per i quali i britannici hanno una vera passione e li preferiscono di gran lunga ai surgelati. Una manna di orrori per famiglie dove nessuno cucina. Dal petto di pollo già affettato, alla pasta alla carbonara già cotta (scaldare 2 minuti). Dai panini con l’hamburger per microonde a polpette non ben identificate, fatte di merluzzo, mozzarella e cheddar (il formaggio nazionale). È il trionfo di contenitori di plastica pieni di pollo e riso, in varie gradazioni: almeno una ventina di salse e gusti diversi. E poi il pie, il tradizionale pasticcio. I gamberetti, con relative maionesi, vengono dalla Thailandia e dall’Ecuador. Prodotti che potrebbero far venire un colpo a quelli di Eataly e che gli infarti veri li fanno venire alla gente (le malattie cardiache sono una piaga sociale in aumento).
E finiamo con i dolci. Non basterebbe un’enciclopedia per registrare la miriade di confezioni, creme, farciture, glasse, cupcake e trionfi di butter. Un indizio vi basti: nello scaffale della “healthy choice” (“la scelta salutare”) i biscotti variano dalle 55 alle 95 calorie l’uno.