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 2013  febbraio 12 Martedì calendario

VATICANLEAKS E LA PAURA DI BENEDETTO XVI

Le dimissioni di Benedetto XVI mi arrivano al telefono. È uno choc per me e sono convinto per tutti quelli che vedono in questo pontefice un pastore rivoluzionario. Ratzinger non ce l’ha fatta, questo è il messaggio che percepisco da questa scelta. Non ce l’ha fatta ad assicurare per i prossimi anni del suo papato quella coerenza tra il suo messaggio di trasparenza, di cambiamento e il «fare» della Curia romana. Così con forza ha deciso di sparigliare i giochi, di anticipare le mosse, di mettere in difficoltà chi mina di veleno e sabota il cammino del cambiamento.
Lo scandalo detto Vaticanleaks (o del Corvo), del quale con il mio libro sono stato uno dei protagonisti, avrà certamente addolorato il Pontefice per il fatto che quei documenti siano diventati pubblici. Ma il dolore più grande Benedetto XVI l’ha provato per i fatti in sé, non per la loro pubblicazione. E certamente sono anche quegli scandali ad averlo indotto al gesto clamoroso.
Certo, la malattia, smentita dal Vaticano e ripetuta invece a più voci tra chi frequenta l’appartamento di Ratzinger, avrà giocato un ruolo, avrà accelerato le scelte, ma credo che dietro questa mossa così radicale ci sia di più. C’è l’incapacità di Ratzinger di dare continuità ai suoi messaggi, certo, ma c’è anche la scollatura tra lui e il segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
La misura di tutto l’ho ricevuta solo qualche mese fa quando Benedetto XVI venne a Milano per le giornate dedicate ai giovani. Lo incontrò il sindaco Giuliano Pisapia, dal quale potranno separarci le idee politiche ma che tutti sono d’accordo a indicare come persona perbene. Non me ne voglia Pisapia se racconto questa sua confidenza. Il tempo e la situazione lo impongono. Il sindaco incontrò Ratzinger in un colloquio a quattr’occhi. Qualche giorno dopo ci vedemmo per caso, confrontandoci. Pisapia è uomo laico: «Mi sono rimasti impressi - mi disse - i suoi occhi. Occhi buoni e pieni di amore».
Mi sorprese, sorrisi. Ecco immaginavo Pisapia, figlio della sinistra radicale commuoversi di fronte alla grandezza religiosa di Benedetto XVI. Ma la sorpresa doveva ancora arrivare. E mi dice: «Ma sono rimasto colpito dagli occhi sì perché Ratzinger è un uomo che ha paura ». Pisapia ha visto decine di uomini dietro le sbarre. Sa conoscere e riconoscere le sensazioni, le paure...
Perché Benedetto XVI ha paura? Di cosa, per quale motivo? Da quel giorno questa domanda si arricchisce di altri crucci. Mai sapremo la verità se non sapremo rispondere in maniera esaustiva, definitiva a un’altra questione: cosa lega Ratzinger a Bertone? Perché se lascia il pontificato oggi Benedetto XVI è per evitare di passare negli ultimi anni di vita il timone pieno al suo segretario di Stato, uomo così lontano dal teologo fine e sensibile che ha paura.


BLITZ PER GESTIRE IL CONCLAVE DOPO LA RIVOLTA DEI CARDINALI –
L’incontro è avvenuto sabato scorso, ed è possibile che abbia dato una spinta forte a una decisione che Benedetto XVI stava maturando già da molti mesi. Nello studio del Papa è arrivato il cardinale Angelo Sodano, decano del collegio. Con toni accesi e concitati il porporato ha fatto presente al Papa lo smarrimento, e forse qualcosa di più (c’è chi la chiama “protesta”) di gran parte dei cardinali su quello che era da pochi giorni avvenuto nella arcidiocesi di Los Angeles. Lì il primo di febbraio scorso il nuovo arcivescovo della metropoli americana, Josè Gomez, ha comunicato ufficialmente di avere sollevato da tutti gli impegni pubblici il suo predecessore, il cardinale Roger Mahony, che è stato arcivescovo di Los Angeles dal 1985 al 2011. Un gesto senza precedenti, adottato dopo la pubblicazione sul sito Internet della diocesi (imposta dal tribunale) di decine di migliaia di documenti che riguardavano lo scandalo pedofilia e l’atteggiamento che i vertici della Chiesa avevano tenuto nei confronti dei 122 sacerdoti accusati di molestie sessuali. Carte impressionanti, che erano direttamente o indirettamente un atto di accusa all’arcivescovo di quegli anni, il cardinale Mahony. Il suo successore ha voluto scusarsi con i fedeli per quello che avrebbero letto, giudicando «terribilmente odioso e diabolico» quel comportamento della diocesi, e aggiungendo «non ci sono scuse per quel che accadde a questi bambini».

PERDONO

Pochi giorni prima della pubblicazione di quei documenti, il 21 gennaio scorso, il cardinale Mahony aveva chiesto perdono ai fedeli di Los Angeles in una lettera in cui sosteneva di tenere sull’altare della propria piccola cappella una piccola targa per ciascuna delle vittime della pedofilia. Nulla quindi faceva presagire la clamorosa decisione di esautorarlo da ogni impegno pubblico presa dal suo successore, che è stata naturalmente comunicata alla segreteria di Stato e al Papa stesso prima di essere adottata.
Quella scelta ha provocato - naturalmente nei modi e nei toni che si usano in Vaticano -una sostanziale rivolta di una parte consistente dei cardinali nei confronti del Papa, ed è stato questo l’oggetto più che inatteso dell’incontro del cardinale Sodano con Benedetto XVI.
È stata davvero la goccia che ha fatto traboccare il vaso? L’amarezza che ha spinto Papa Ratzinger ad ufficializzare quelle dimissioni che in cuore suo aveva già deciso dopo gli ultimi viaggi all’estero? Una spinta può averla data, anche se il discorso letto ieri al Concistoro potrebbe essere stato preparato da tempo. Non è la rivolta dei cardinali il motivo di quelle dimissioni quasi senza precedenti (nessuno mai lo ha fatto se non in probabile costrizione). Lo stato di salute del Pontefice, la motivazione ufficiale «le forze che vengono meno» e che rendono troppo arduo proseguire in quegli impegni,è vero, reale. Secondo fonti attendibili nella città leonina, negli ultimi mesi il Papa avrebbe avuto numerose piccole ischemie. Episodi minori, ma che in alcuni casi hanno provocato nel Papa smarrimenti, perdite ripetute di memoria, vuoti di coscienza a cui non era mai stato abituato. Se ne è accorto, ad esempio, l’arcivescovo di Terni e guida della comunità di Sant’Egidio, monsignor Vincenzo Paglia, durante l’ultimo recentissimo incontro.
DEFAILLANCE
«Ho avuto l’impressione», ha raccontato l’arcivescovo ad alcuni amici, «che il Papa non fosse presente a se stesso, e a dire il vero che nemmeno sapesse chi ero». Un fatto assolutamente anomalo, perché anche in questi anni la principale dote di Papa Ratzinger è sempre stata una memoria di ferro, soprattutto visiva. Se il Papa incontrava una persona anche pochi minuti, era in grado di ricordarsela addirittura anni dopo.
Queste defaillance mentali secondo la ricostruzione di persone assai vicine e fedeli a Benedetto XVI, avrebbero iniziato a preoccupare il pontefice già da qualche mese. Il timore di perdere progressivamente le capacità fisiche e mentali stava tormentando il Papa e - stando alle tesi delle stesse persone - si accompagnava a una preoccupazione per le condizioni attuali della Chiesa nel mondo e dei suoi principali esponenti, a cominciare da quelli della Curia (e la rivolta dei cardinali per la vicenda di Los Angeles glielo ha confermato).
Non può dirlo nessuno espressamente, e chiunque ufficialmente lo negherà, ma nella scelta sulle dimissioni sembra avere pesato anche quella preoccupazione per il futuro della Chiesa mondiale e - non ultimo - per chi la dovrà guidare dopo Joseph Ratzinger. Il conclave che si aprirà probabilmente il prossimo 4 marzo (o nei giorni seguenti) sarà composto in buona parte da cardinali scelti dall’attuale Papa (la maggioranza dei 117 che hanno diritto di voto).

FEDELISSIMI
Pur lasciando il soglio pontificio alle ore 20 del 28 febbraio, Ratzinger avrà ancora una autorità morale che potrebbe essere decisiva negli orientamenti del conclave. Lì ci saranno i fedelissimi dell’attuale Papa, i cardinali ancora legati a Giovanni Paolo II, e non pochi avversari dell’attuale pontificato. Se l’autorità del vescovo emerito di Roma sarà ancora decisiva, sul soglio di Pietro potrebbe approdare il cardinale canadese Marc Ouellet, che è alla guida della congregazione dei vescovi (è il preferito dell’attuale Papa). Hanno buone chance anche il cardinale di Milano, Angelo Scola, il ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson e l’arcivescovo di New York Timothy Dolan. Questo se davvero l’autorità morale di Ratzinger potrà essere elemento forte del conclave. Quella rivolta dei cardinali capeggiati dal decano Sodano però lascia molte ombre su queste soluzioni, e il conclave rischia di essere molto più aperto di quanto non ci si attenda.