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 2013  febbraio 12 Martedì calendario

GESTO D’AMORE MA ANCHE ATTO DI ACCUSA

Le dimissioni di Benedetto XVI non sono soltanto una notizia esplosiva, ma un evento epocale, senza precedenti moderni (si può citare il caso di Celestino V, settecento anni fa, ma fu una vicenda diversissima in tutt’altro contesto). Quello che accade davanti ai nostri occhi è un avvenimento che, per la sua stessa natura planetaria e spirituale, fa impallidire tutte le altre notizie di cronaca di questi giorni e certamente non ha alcun legame con esse (a cominciare dalle elezioni italiane). Ieri Ezio Mauro, nella riunione di redazione di Repubblica trasmessa sul sito e che ovviamente è stata dedicata al pontefice, ha rivelato che Benedetto XVI è arrivato a questa decisione «dopo una lunga riflessione. Stamattina», ha aggiunto Mauro, «ci hanno detto che la decisione l’ha presa da tempo e comunque l’ha tenuta segreta ».
In effetti la decisione risale almeno all’estate 2011 e non è più una notizia segreta dal 25 settembre 2011, quando, su questo giornale, io la portai alla luce, avendola saputa da diverse fonti, tutte credibili e indipendenti l’una dalle altre. In quell’occasione scrissi che il passaggio di mano era stato pensato, da Ratzinger, per il compimento dei suoi 85 anni, cioè nella primavera del 2012.
Sennonché due mesi dopo il mio articolo, nell’autunno del 2011, cominciò a scoppiare il caso Vatileaks e fu subito evidente che - finché non si fosse chiusa quella vicenda - il Santo Padre non avrebbe dato corso alla sua decisione. Infatti nel libro intervista di qualche anno fa, Luce del mondo, con Peter Seewald, analizzando la cosa in via teorica, aveva spiegato che quando la Chiesa si trova nel mezzo ad una tempesta un Papa non può dimettersi.
Per questo l’11 marzo 2012, a un mese dall’85° compleanno del Pontefice (che è il 16 aprile), io scrissi su queste colonne: «Va detto che la tempesta che ha travolto in questi mesi la Curia vaticana, in particolare la Segreteria di stato, allontana l’ipotesi di dimissioni del Papa, il quale ha sempre precisato che esse sono da escludere quando la Chiesa è in grandi difficoltà e perciò potrebbero sembrare una fuga dalle responsabilità».
Lo svolgimento dei fatti successivi conferma questa ricostruzione. Perché infine le dimissioni del Papa arrivano puntualmente un mese dopo la definitiva chiusura della vicenda Vatileaks, con la grazia concessa al maggiordomo Paolo Gabriele.
Segno che tali dimissioni effettivamente erano già state decise nell’estate 2011. Ecco le ragioni addotte ieri dal Papa: «Sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino».
Con la sua abituale limpidezza il Papa ha detto la semplice verità e ha fatto la scelta che ritiene migliore per il bene della Chiesa, fra l’altro una scelta di umiltà, che è un tratto importante della sua umanità e della sua fede. Noi tuttavia possiamo e dobbiamo osservare che quasi tutti i papi precedenti sono invecchiati e sono rimasti in carica con forze ridotte, governando attraverso i loro collaboratori. Si può dunque ipotizzare che Benedetto XVI non abbia ritenuto di fare questa scelta perché non giudica di avere collaboratori all’altezza di un tale compito (con le sue dimissioni tutte le cariche di Curia sono azzerate).
Di certo si può dire che Benedetto XVI è stato un grande pontefice e che il suo pontificato è stato - almeno in parte - azzoppato da una Curia non all’altezza, ma anche dalla scarsa rispondenza al Papa di parte dell’episcopato. Joseph Ratzinger, che si conferma un Papa straordinario anche con questa uscita di scena, ha portato la croce del ministero petrino certamente soffrendo molto e dando tutto se stesso (non gli sono mancate né le incomprensioni né il dileggio). È stata una pena vedere come il suo splendido magistero è rimasto spesso inascoltato.
Quando pubblicai il mio scoop scrissi che mi auguravo di essere smentito dai fatti e auspicavo che noi cattolici pregassimo perché Dio ci conservasse a lungo questo grande Papa. Purtroppo molti credenti invece di ascoltare questo mio appello alla preghiera si scatenarono ad attaccare me, come se dare la notizia del Papa che stava pensando alle dimissioni fosse lesa maestà. Una reazione bigotta che segnalava un certo diffuso clericalismo.
Benedetto XVI - con la sua continua apologia della coscienza e della ragione - è fra i pochi con una mentalità non clericale. Basti ricordare che non ha esitato a chiamare col loro nome tutte le piaghe della Chiesa e a denunciarle come mai prima era stato fatto.
Nella sua ammirevole libertà morale non esitò nemmeno a smentire qualche suo stretto collaboratore sul «segreto di Fatima». Accadde nel 2010, quando decise un repentino pellegrinaggio al santuario portoghese e là dichiarò: «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa... Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima [...] Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità».
Un’espressione che certamente fa pensare (il centenario delle apparizioni di Fatima è il 2017), anche in riferimento ai famosi «dieci segreti» di Medjugorje. D’altra parte lo stesso annuncio delle dimissioni è arrivato in una data gloriosamente mariana, l’11 febbraio, ricorrenza (e festa liturgica) delle apparizioni della Vergine a Lourdes.
È facile prevedere che ora si scateneranno anche dietrologie fantasiose, si evocheranno i detti di Malachia, la monaca di Dresda e quant’altro. Ma resta il fatto che il Papa, con la pesantezza epocale della decisione che ha assunto, pone tutta la Chiesa davanti alla gravità dei tempi che viviamo.
Gravità che la Madonna ha dolorosamente sottolineato in tutte le sue apparizioni moderne, da La Salette, a Lourdes, da Fatima a Medjugorje (passando per la misteriosa e miracolosa lacrimazione della Madonnina di Civitavecchia).
C’è solo da augurarsi che invece non si riferisca a questo nostro amato Papa ciò che è stato attribuito a un suo predecessore, Pio X, che la Chiesa ha proclamato santo. È un episodio che da qualche mese viene diffuso fra alcuni ambienti cattolici e anche in Curia.
Risulterebbe che Pio X, nel 1909, abbia avuto durante un’udienza una visione che lo sconvolse: «Ciò che ho veduto è terribile! Sarò io o un mio successore? Ho visto il Papa fuggire dal Vaticano camminando tra i cadaveri dei suoi preti. Si rifugerà da qualche parte, in incognito, e dopo una breve pausa morrà di morte violenta».
Sembra che sia tornato su quella visione nel 1914, in punto di morte. Ancora lucido riferì di nuovo il contenuto di quella visione e commentò: «Il rispetto di Dio è scomparso dai cuori. Si cerca di cancellare perfino il suo ricordo». Da tempo circola questa «profezia » anche perché si dice che Pio X avrebbe altresì dichiarato che si trattava di «uno dei miei successori con il mio stesso nome».
Il nome di Pio X era Giuseppe Sarto. Giuseppe dunque. Joseph. Mi auguro vivamente che non sia una profezia autentica o da riferirsi ad oggi. Ma la sua diffusione segnala quanto il pontificato di Benedetto XVI - come quello del predecessore - sia circondato da inquietudini.
Del resto fu lui stesso a inaugurarlo chiedendo le preghiere dei fedeli per non fuggire davanti ai lupi. Il Papa non è fuggito. Ha sofferto e ha svolto la sua missione finché ha potuto e oggi chiede alla Chiesa un successore che abbia le forze per assumere questo pesante ministero.
D’altra parte è evidente a tutti che da trecento anni il papato è tornato ad essere un luogo di martirio bianco, come nei primi secoli esponeva al sicuro martirio di sangue.
Infatti i tempi moderni si sono aperti con un altro evento mistico accaduto a papa Leone XIII, il papa della «questione sociale» e della «Rerum novarum ». Il 13 ottobre 1884 (il 13 ottobre peraltro è il giorno del miracolo del sole a Fatima) il pontefice ebbe una visione durante la celebrazione eucaristica.
Ne fu scioccato e sconvolto. Il pontefice spiegò che riguardava il futuro della Chiesa. Rivelò che Satana nei cento anni successivi avrebbe raggiunto l’apice del suo potere e che avrebbe fatto di tutto per distruggere la Chiesa. Pare che abbia visto anche la Basilica di San Pietro assalita dai demoni che la facevano tremare.
Fatto sta che papa Leone si raccolse subito in preghiera e scrisse quella meravigliosa preghiera a San Michele Arcangelo, vincitore di Satana e protettore della Chiesa, che da allora fu recitata in tutte le chiese, alla fine di ogni Messa.
Quella preghiera fu abolita con la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, la riforma liturgica che Benedetto XVI ha tanto cercato di ridisegnare. Mai come oggi la Chiesa avrebbe bisogno di quella preghiera di protezione a San Michele Arcangelo.