Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 12 Martedì calendario

QUEI 12 MILIARDI SPESI IN ACQUISIZIONI

La crescita come un’ossessione. Coltivata all’ombra della politica. In meno di dieci anni, dal 1999 al 2008, Banca Mps ha speso oltre 12 miliardi di euro per raggiungere dimensioni nazionali e recitare un ruolo di primo piano nel sistema finanziario italiano.
Tra gli obiettivi c’era la normalizzazione del rapporto (troppo stretto) con la Fondazione Mps, ma questo traguardo sarà raggiunto solo più tardi, nel corso del 2012, come conseguenza dei guasti prodotti da uno sviluppo fortemente condizionato dagli interessi locali e da evidenti errori di percorso, sui quali sta indagando la magistratura (vedere altri servizi)
La prima svolta è del 1999: a giugno, il 28% della banca di Rocca Salimbeni, presieduta da Pier Luigi Fabrizi, viene collocato sul mercato; la partecipazione di controllo della Fondazione scende al 72% e l’Ente, al cui vertice siede Giovanni Grottanelli de’Santi, dichiara di voler appoggiare la strategia di crescita del gruppo bancario riducendo ulteriormente la quota in suo possesso, senza però mettere in discussione il limite del 51% nonostante la legge imponga di andare sotto al 40%; in estate, Siena lancia un’Opa sul capitale di Banca agricola mantovana (3mila miliardi di lire la spesa), subito dopo annuncia l’acquisto del 49% di Banca del Monte di Parma (pagato 300 miliardi di lire) e, a ridosso di Natale, si aggiudica la Banca del Salento per 2.500 miliardi di lire, battendo sul filo di lana la concorrenza di San Paolo-Imi.
Negli stessi mesi, Rocca Salimbeni rileva anche piccole partecipazioni regionali (il 20% della Popolare di Spoleto e della Cassa di Risparmio di San Miniato), ma soprattutto cuce una rete di rapporti azionari che va da Hopa (9,6%) a Finsoe (14%) a Bnl (4,4%), originati dalla partecipazione al finanziamento della scalata Telecom da parte della cordata d’imprenditori padani capitanati da Roberto Colaninno e messi al servizio di un progetto di aggregazione che, come fu scritto all’epoca, sotto l’egida del governo di centro-sinistra (guidato da Massimo D’Alema) avrebbe dovuto mettere insieme Mps, Unipol e Bnl.
Le seconda svolta è del 2001: Giuseppe Mussari (avvocato penalista con tessera Ds) arriva al vertice della Fondazione Mps; nel 2003 naufraga l’integrazione con Bnl per il «no» della Banca d’Italia (il governatore Antonio Fazio non voleva la Fondazione al 30%); Fabrizi denuncia in un’intervista al Sole 24 Ore le ingerenze della politica; nel 2005, è l’Ente senese che si rifiuta di partecipare alla scalata di Unipol a Bnl. L’anno dopo, Mussari approda al vertice di Banca Mps e Gabriello Mancini (Pd di area cattolica) a quello della Fondazione. La politica locale prende il pieno controllo del sistema Montepaschi.
Quando, nel 2007, Mussari annuncia l’intenzione di acquistare per 9,3 miliardi di euro Banca Antonveneta, ottiene l’appoggio sia della Fondazione (ancora al 56% di Rocca Salimbeni) che delle istituzioni di riferimento. Il mantenimento dell’autonomia resta il grande miraggio, insieme alla crescita. Siena ha speso 12 miliardi, ma ancora non sa se potrà consolidare uno dei due obiettivi.