Antonio Quaglio, Il Sole 24 Ore 12/2/2013, 12 febbraio 2013
UN’ECONOMIA «BENEDETTINA» [
Fra mercato e sussidiarietà: le radici europee della «dottrina Ratzinger»] –
La «Caritas in veritate» è da ieri formalmente l’ultima enciclica del pontificato di Benedetto XVI: non un caso per il magistero di un papa che ha visto gran parte del suo regno avvolto dalla più grave crisi economico-finanziaria conosciuta dalla "sua" Europa. Nel giugno 2009, quando il pontefice licenziò il suo testo di magistero sociale, il collasso dei mercati e le sue ricadute recessive avevano già scosso anzitutto le certezze culturali che avevano retto il trentennio del boom liberista: una stagione coincisa quasi per intero con il lungo papato di Giovanni Paolo II. Il pontefice-crociato, che con il comunismo aveva ingaggiato una lotta senza quartiere, teneva ovviamente su piani ben differenti l’Occidente del libero mercato capitalista e le vaste porzioni del mondo ancora sovietiche nell’economia prima che nelle strutture politiche.
Il tedesco Ratzinger - intellettuale-capo del papato di Wojtyla - ha sempre avuto posizioni più articolate: certamente tutt’altro che distaccate dal "canone occidentale", ma più sottilmente pensose verso il turbocapitalismo affermatosi sulla rovine del muro di Berlino. La stessa enciclica non contiene condanne «apocalittiche» per la crisi e i suoi attori, offrendo anzi una accettazione più strutturata del mercato come piattaforma di promozione umana. Il magistero di Benedetto XVI è però chiaramente preoccupato di offrire un’orizzonte più largo e avanzato a un’economia globale diversa da quella del XX secolo, che la crisi sta mettendo alla prova. Gli eccessi della finanza sono pericolosamente distruttivi, ma non mettono in discussione qualcosa che la dottrina sociale della Chiesa ha acquisito fin dal Concilio: la sana competizione fra imprese è un luogo di realizzazione della persona, anzitutto nella valorizzazione del lavoro. È ovvio, tuttavia, che senza la prospettiva del «bene comune» l’economia perde ogni direzione. Anche per questo l’enciclica – oltre a sguardi davvero nuovi sulla tutela ambientale – propone il superamento del rigido dualismo, teorico e operativo, fra imprese profit-oriented e soggetti votati all’attività sociale: il «terzo settore», nel magistero di Benedetto XVI, non è quindi un segmento dell’economia, ma diventa quindi affermazione della «sussidiarietà» in un’economia in cui tutti creano valore, non solo i produttori.
La vera «dottrina Ratzinger» resta in realtà iscritta soprattutto nel suo "dna" bavarese, nel suo essere prodotto perfetto della cultura dell’Europa continentale. «Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia»: il giorno dopo l’elezione di Joseph Ratzinger a papa, Il Sole 24 Ore pubblicò come column l’ultimo discorso pubblico del cardinale, pronunciato quando Giovanni Paolo II era già in agonia. «L’Europa nella crisi delle culture», che Ratzinger lesse all’Abbazia di Montecassino, anticipò le motivazioni della scelta del futuro nome pontificale, ma soprattutto fissò molti spunti di dottrina sociale, politica ed economica: in modo più sintetico ma forse più nitido di quanto fece poi la «Caritas in veritate».
Nella primavera 2005, abbastanza controcorrente rispetto al sentiment politico-economico dominante, Ratzinger vedeva la sua Europa - il suo Occidente - attraversare un «tempo di dissipazione e decadenza». Per il successore bavarese del polacco Karol Wojtyla - entrambi figli della Mittelleuropa - era quindi sostanziale il richiamo al santo che era stato poi consacrato patrono del continente: quel San Benedetto che - costruendo abbazie e monasteri - era stato traghettatore anche e soprattutto per l’economia attraverso il Medioevo. In una fase di "scontro fra civiltà" (anche fra pensiero cristiano e secolarizzazione neo-liberista) Ratzinger rivendicava dunque con forza la primogenitura intellettuale benedettina su ciò che oggi chiamiamo «economia sociale di mercato» e resta una cifra forte nell’approccio europeo nella globalità: presentissimo nel vivo del dibattito politico-culturale del dopo-crisi, dentro l’Europa germanocentrica e verso Stati Uniti e Asia.
È l’ora et labora di San Benedetto a stabilire primi equilibri moderni fra fede e ragione; fra tradizione umanistica e tecnico-scientifica; fra servizio ecclesiale, imprenditorialità, impegno civile; fra competizione, merito e solidarietà. Solo così, scriveva Ratzinger, «la civiltà europea mise assieme le forze per costruire un mondo nuovo». È «nella città costruita sul Monte, su tante macerie», è in un’abbazia solida ed efficiente - capace di produrre ricchezza prima di distribuirla, destinandone sempre un po’ alle biblioteche - che l’Europa riscopre la sua forza dopo una delle ricorrenti invasioni di barbari. E il Vecchio Continente «intorno alla sua nuova forma politica, non si gioca una qualche nostalgica battaglia "di retroguardia" della storia, ma piuttosto una grande responsabilità per l’umanità di oggi». I leader della «Ue 3.0» non potranno fare a meno di questo lascito culturale di un papa cui non è affatto escluso succeda un extra-europeo.