Stefano Lorenzetto, il Giornale 10/2/2013, 10 febbraio 2013
LORENZETTO INTERVISTA GIAN PIERO ABBATE
(fisico e teologo) -
Il Giornale, domenica 10 febbraio 2013
È un fisico che ha progettato un pezzetto del sincrotrone utilizzato dal suo collega Carlo Rubbia al Cern di Ginevra per gli studi sulle particelle elementari, ripagati col premio Nobel nel 1984. È per anzianità di servizio il più vecchio esperto della Commissione europea incaricato di revisionare i progetti di ricerca tecnologica su energie alternative, informatica e domotica, inserito già 30 anni fa nel primo Esprit (European strategic program on research in information technology). È un teologo, con tanto di diploma (110 e lode) conseguito presso l’Istituto di formazione teologica e promozione umana della diocesi di Pordenone, persuaso che nel genoma un giorno si rintraccerà il collegamento fra l’uomo e il Creatore. È uno studioso della cabala, l’antica tradizione mistico-esoterica dell’ebraismo che, partendo dalla data di nascita di un individuo, è in grado di stabilire i Nomi di Dio, cioè le manifestazioni dell’Altissimo nell’uomo. È un musicista e compositore che a Genova, dov’è cresciuto, frequentava i cantautori Fabrizio De André e Ivano Fossati.
È molte cose - o forse molte personalità - fuse insieme, Gian Piero Abbate, nato a Udine il 2 agosto 1949, residente a Pordenone, divorziato, due figli. Capitano di lungo corso, diventò dottore in fisica nel 1974 all’Università di Padova. Discusse la sua tesi applicativa nell’ultima sessione di laurea presieduta dal professor Antonio Rostagni: sua madre, insegnante di matematica e fisica che morì quando lui aveva 18 anni, s’era laureata nella prima sessione con lo stesso docente. Già insegnante di tecnologie per l’edilizia presso la facoltà di architettura del Politecnico di Milano, Abbate esordì in Friuli nel 1975 come responsabile di laboratorio alla Zanussi elettronica, dove si producevano televisori ed elettrodomestici con i marchi Seleco, Rex e Naonis. Oggi è direttore generale di Link, oltre che socio fondatore di Eidon Lab, uno dei primi organismi di ricerca privati italiani non profit, nato da una costola della Eidon Kaires, azienda specializzata nell’intelligenza artificiale applicata all’automazione industriale.
Abbate viene spesso invitato a tenere conferenze in giro per l’Italia, talvolta in case private. È anche un grande studioso di profezie. Che sono innumerevoli e una più angosciosa dell’altra. C’è il vescovo irlandese Malachia che intorno al 1140 compila la sequela dei pontefici, fino a De gloria olivae, il penultimo successore di Cristo (collegato al nome di Benedetto XVI, essendovi una congregazione di monaci benedettini olivetani), seguito da Petrus romanus, l’ultimo papa prima della fine del mondo. C’è l’Angelo della chiesa di Efeso, eremita vissuto intorno al XIV secolo, che descrive «la gangrena della Terra», cioè il degrado ambientale, nel quale si muoverà agevolmente l’Anticristo «quando il Mille si aggiungerà al Mille» (dovremmo esserci) e «sarà comandato al sole di piangere, e le lacrime del sole cadranno sulla terra, e la terra diventerà come una graticola sul fuoco». C’è il Monaco Nero, o Ragno Nero, che nel XVI secolo azzeccò alcune date fatidiche, da «1789 turbine di sangue» (la rivoluzione francese) a «1914 pianura di croci» (prima guerra mondiale). C’è la beata Anna Maria Taigi (1837) che annuncia: «Verrà sopra la terra l’oscurità immensa, durerà tre giorni e tre notti». C’è suor Maria di Gesù Crocifisso, carmelitana di Pau, che nel 1878 indica il numero degli scampati: «Durante i tre giorni di tenebra, coloro che cammineranno per i loro sentieri di depravazione periranno, di modo che sopravviverà soltanto la quarta parte dell’umanità».
Ma prima, durante e dopo questi profeti di sventura vi sono Rodolfo Gekner d’Augusta («Il Papa sarà fatto prigioniero dai suoi e la Chiesa di Dio sarà spogliata del suo potere temporale»), Elena Walraff («Un Papa fuggitivo, seguito solamente da quattro cardinali verrà a rifugiarsi a Colonia»), e poi Caterina Emmerich, suor Faustina Kowalska, don Giovanni Bosco, i tre pastorelli di Fatima, Maria Valtorta, Costanza Callegari, Margherita Sampair, Giovanna Le Royer, Veronica Lueken, Pino Casagrande, i sei veggenti di Medjugorje, per arrivare a don Stefano Gobbi che nel 1989 vaticinò una «massoneria ecclesiastica» legata al 666, il numero della Bestia citato nell’Apocalisse di Giovanni, che «sollecita gli ambiziosi con la prospettiva di facili carriere; ricolma di beni gli affamati di denaro; aiuta i suoi membri a primeggiare e a occupare i posti più importanti». «In generale non credo alle profezie, se non in termini probabilistici, mai in termini deterministici», dice Abbate. «Ho delle profezie la stessa concezione che i meridionali hanno dei semafori, assai più evoluta rispetto a quella che ne abbiamo noi settentrionali».
Vale a dire?
«Per la gente del Nord il verde significa che puoi passare e il rosso che devi fermarti. Per la gente del Sud si può passare in entrambi i casi: il verde indica una bassa probabilità di incidente, il rosso una alta. Le profezie sono ipotesi di lavoro, non è detto che si realizzino sempre. Ne sono ben consci persino coloro che le enunciano. Padre Pio da Pietrelcina, per esempio, aveva fissato delle date precise entro cui alcune delle sue premonizioni dovevano essere distrutte qualora non si fossero avverate. Solo che i suoi seguaci non l’hanno fatto. Pare che Pio X, prima di morire, abbia sussurrato: “Vedo i russi arrivare a Genova”. Non è accaduto».
Con i Maya l’abbiamo scampata bella.
«Avevo smentito la loro presunta profezia già qualche anno fa. Per me i segni non possono mai essere disgiunti da dati misurabili fisicamente. Il calendario dei Maya ha cicli minori legati alla Luna e al Sole, ma il ciclo lungo di 5.125 anni non è legato a nulla dal punto di vista astronomico. Per giustificare la fine del mondo si parlava di allineamenti fra pianeti che sarebbero avvenuti il 21 dicembre 2012. Sono andato a controllare: non erano in programma né gli uni né gli altri. Idem la profezia dei Maya: l’ho cercata, ma non esiste. Vi era solo un insieme di tavolette i cui disegni potevano essere interpretati da 100 esperti in 100 modi diversi. Se qualcuno mi dice che l’asse della Terra si sta spostando, gli rispondo che non è vero: l’ho verificato. Se invece mi dice che il campo magnetico terrestre si sta comportando in modo imprevisto, gli rispondo che ha ragione».
Che sta combinando di strano il campo magnetico terrestre?
«Diminuisce d’intensità, talvolta fino ad azzerarsi del tutto, facendo smarrire la rotta agli uccelli migratori e alle balene, i quali non possiedono la girobussola: hanno solo una bussola magnetica che sta dentro la loro testa. Questo smonta qualsiasi ipotesi sull’origine del campo magnetico terrestre. Oggi un fisico onesto deve riconoscere di non sapere che cosa esso sia».
Perché un fisico sente il bisogno di diplomarsi in teologia?
«È la naturale evoluzione di una ricerca sulle religioni che ho cominciato fin da bambino. Mi sono reso conto che stavo procedendo in modo un po’ naïf. Avevo bisogno di basi più solide».
E perché da bambino si è dedicato allo studio delle religioni?
«Le do una risposta da cabalista: perché sono un 33, il che designa un ponte fra la terra e il cielo. E il mio Nome di Dio è “Ordine dal caos”».
Che cosa sono i Nomi di Dio?
«Una tradizione cabalistica antecedente alla nascita di Gesù Cristo, quindi legata al calendario ebraico, non al nostro. Intendendo per cabala un insieme di conoscenze, originarie della Mesopotamia, poi diffusesi fra gli ebrei e nel resto del mondo, che hanno generato un insieme di regole matematiche».
Sì, ma continuo a non capire che cosa siano i Nomi di Dio.
«Sono 72 archetipi del genere umano stabiliti in base alla data di nascita. Tecnologia, non religione. Una tecnologia dell’anima. L’ho provata su migliaia di persone e mai ne ho trovata una che mi dicesse: “Io non c’entro nulla con questo Nome”».
Vedo dal suo curriculum che ha ricoperto cariche importanti in associazione cattoliche europee e italiane.
«Ero cattolico. Ora sono cristiano».
Allora rammenterà che Cristo affida la Chiesa cattolica a Pietro.
«La creazione della figura del pontefice avvenne secondo i paradigmi dell’impero romano. Ma il primo papa non fu Pietro, bensì Giacomo, detto il Giusto, fratello di Gesù, posto a capo della Chiesa di Gerusalemme dopo la crocifissione del Nazareno. Fu lapidato nell’anno 62 fuori dalle mura della Città santa. Si parla di lui nei Vangeli di Marco e di Matteo, là dove gli ebrei, ascoltando Gesù che predica in sinagoga, s’interrogano sconcertati: “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone?”. Questo perché Giuseppe, il padre putativo di Gesù, prima di sposare Maria era rimasto vedovo: la prima moglie gli aveva dato sei figli, fra i quali appunto Giacomo. La cui tomba, trovata nel 2002 in Israele da André Lemaire, epigrafista della Sorbona di Parigi, reca l’iscrizione “Ya’akov bar Yosef akhui di Yeshua” cioè “Giacomo figlio di Giuseppe, fratello di Gesù”».
E come cristiano in che cosa crede?
«Il vero nemico della fede è la paura, perché chi ha paura non può fidarsi. Ho battagliato con me stesso, col mio scetticismo, e sono arrivato alla conclusione che la nascita e la morte sono soltanto una transizione. Noi non nasciamo e non moriamo mai. Siamo sempre vivi. Cambiamo soltanto il nostro stato di aggregazione della materia. È un processo fisico e Luc Montagnier lo ha dimostrato. Il premio Nobel che scoprì il virus dell’Aids ha captato a Parigi le onde elettromagnetiche di un Dna e le ha trasmesse via satellite in California, dove sono servite per irradiare alcune cellule staminali, quindi ancora prive di un codice genetico definito, che sono diventate identiche alle cellule di Parigi, hanno assunto il medesimo Dna. Questo apre la porta alla creazione dei cloni a distanza e alla teletrasmissione dell’uomo nello spazio. E anche alla possibilità di ricostituire un corpo privo di vita partendo dal contenuto informativo delle sue cellule».
Ma lei crede alla resurrezione della carne?
«Se studiassimo la Genesi in ebraico, capiremmo che traducendola in greco, in latino e nelle diverse lingue, è stata stravolta, adattando il contenuto delle frasi che apparivano prive di logica. Il primo versetto nell’originale afferma: “In principio creò Dio, il cielo e la terra”. Nella traduzione c’è Dio che crea il cielo e la terra. In realtà il soggetto di quella frase non è Dio. È un soggetto sottinteso: il Dio degli ebrei, il Dio innominabile, inconoscibile, che in principio generò il Dio creatore, in ebraico Elhoim, cioè El, colui, Hoim, che sono. Una parola singolare e anche plurale che ha fatto ammattire i teologi. Non si sono accorti che la soluzione del rebus è poche righe più avanti: “Dio creò l’uomo a suo modello”, non “a sua immagine” come si traduce erroneamente, “a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. Di nuovo un singolare che diventa plurale. Quindi Elhoim ci sta dicendo qual è il suo modello, com’è fatto Lui: un’unità, però maschio e femmina. E noi siamo un’unità, però maschio e femmina. Ci ha fatto uguali a Sé. Più semplice di così».
Sta rubando il mestiere ai preti.
«Be’, sono Abbate».
La scambieranno per un visionario.
«No, perché non ho visioni. A parte quella, nitida, che non stiamo andando verso la fine del mondo, ma stiamo costruendo un nuovo mondo, secondo la promessa di Gesù: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. Anche i più distratti si sono accorti che il modello di sviluppo del pianeta non regge più. Stiamo andando verso una nuova economia e una nuova organizzazione sociale, segnate da un maggiore libero arbitrio, con tutte le conseguenze positive e negative connesse. Tant’è vero che chi detiene il potere cerca di controllarci in tutti i modi: milioni di telecamere, tracciamento dei cellulari, controllo della Rete».
Strano che un teologo non si sia accorto del cambiamento più evidente: la rimozione di Dio dall’orizzonte dell’uomo.
«Da fuori è stato tolto. Ma dentro rimane. Il Dio che è in noi resta. Per molte persone è ancora così. Ma per tanta parte dell’umanità no, ha ragione lei».
Stefano Lorenzetto
LORENZETTO Stefano. 56 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimo libro: La versione di Tosi (Marsilio).
LORENZETTO Stefano. 56 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café su Raitre. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Dieci libri: Cuor di veneto, Il Vittorioso, Visti da lontano e La versione di Tosi. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.