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 2013  febbraio 12 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LE DIMISSIONI DEL PAPA


REPUBBLICA.IT
ROMA - Benedetto XVI ha annullato la processione penitenziale che avrebbe dovuto presiedere domani all’Aventino in occasione del mercoledì delle Ceneri. Ha deciso invece di celebrare il rito delle ceneri in San Pietro: dopo l’annuncio a sorpresa ieri delle dimissioni dal Pontificato, sarà quindi questa l’ultima celebrazione di Papa Ratzinger con il Collegio Cardinalizio, del quale non è più membro dall’elezione del 19 marzo 2005 e nel quale a norma del Diritto Canonico non rientrerà dopo il 28 febbraio, data nella quale diventa operativa la rinuncia al Pontificato annunciata ieri.
La decisione del Papa di lasciare il soglio pontificio, annunciata in latino davanti ai cardinali, ha lasciato tutti sconcertati. In realtà, Ratzinger avrebbe maturato il convincimento da mesi: voci di possibili dimissioni erano circolate, sempre smentite. E da tempo il fratello Georg era a conoscenza dei suoi dubbi. "Non ho più la forza, me ne vado per il bene della Chiesa" ha detto il Santo Padre.
Intervento al cuore "di routine". Oggi padre Federico Lombardi ha confermato la notizia riferita dal Sole 24 Ore di un’operazione al cuore subita dal Papa nella clinica Pio XI sull’Aurelia, a Roma, poco meno di tre mesi fa. Il quotidiano finanziario riportava che a Ratzinger è stato sostituito il pacemaker "nel riserbo più assoluto". E’ stata "una sostituzione di routine delle batterie", ha detto il portavoce della Santa Sede, di un pacemaker che risale a prima del Pontificato e non ha avuto alcun peso nella decisione del Papa. Ratzinger, ha ripetuto, "non ha malattie specifiche di rilievo se non un indebolimento legato all’avanzare dell’età".
Lombardi ha dato chiarimenti su diverse questioni sollevate dalla stampa, dall’ora esatta in cui terminerà in Pontificato all’alloggio futuro di Ratzinger, sottolineando che l’assoluta novità delle dimissioni sta portando a definire la procedura in queste ore. Ed ha chiarito subito che la decisione di spostare la processione dall’Aventino a San Pietro è motivata dalla volontà di permettere a più persone di assistere alla cerimonia: fedeli, cardinali e sacerdoti che vorranno essere presenti.
In servizio fino alle 20 del 28 febbraio. Il Papa sarà in servizio fino alle 20 del 28 febbraio, perché a quell’ora termina una normale giornata operativa del Santo Padre, ha spiegato ancora. Quanto all’enciclica cui Ratzinger stava lavorando, verosimilmente non verrà pubblicata entro la fine del mese, prima quindi che lasci l’incarico. LombaRdi ha anche risposto a chi chiedeva chiarimenti sul futuro alloggio: l’ex convento delle religiose all’interno delle Mura Leonine che ospiterà Benedetto XVI dopo aver lasciato il suo incarico sarà adibito solo ad ospitare il Pontefice e i suoi collaboratori senza, quindi, la presenza delle suore.
Ha poi smentito che dal cardinale Dziwisz siano giunti rilievi al Pontefice. "Ha detto parole molto precise e belle in questo senso. Non ho assolutamente nessuna ragione di dire che ci sia stata una manifestazione di non accordo e di non apprezzamento da parte del cardinale Dziwisz rispetto alla scelta di Benedetto XVI", ha chiarito.
La scelta di Benedetto XVI apre la via ad una serie di procedure inedite che vengono in queste ore studiate dalla Santa Sede. A partite dall’anello del Papa, che verrà "terminato", ha detto Lombardi, probabilmente spezzato, come gli altri oggetti strettamente connessi col ministero petrino.
"Non lo chiameremo cardinale". Ratzinger non parteciperà al conclave che dovrà eleggere il suo successore e non avrà su di esso alcuna influenza: "i cardinali saranno autonomi" aggiunge Lombardi. L’orientamento è quello di far iniziare il conclave intorno a metà marzo. C’è poi la questione di come chiamare il Papa dopo le dimissioni. "Difficilmente verrà chiamato cardinale", ha detto Lombardi: "Non so se verrà chiamato vescovo di Roma emerito od altro".
Udienza speciale per Napolitano. Il Santo Padre avrà modo di salutare di persona Giorgio Napolitano. Lo ha annunciato al presidente il segretario di Stato cardinal Tarcisio Bertone in occasione della cerimonia per il rinnovo dei Patti Lateranensi. "La ringraziamo in questo momento particolare. Siamo sotto l’impressione di questo avvenimento, ma il signor Presidente avrà modo di salutare personalmente il Santo Padre in udienza speciale", ha detto Bertone al capo dello Stato.
I prossimi appuntamenti del Papa. Da qui al 28 febbraio sono molti gli appuntamenti che aspettano Benedetto XVI. Domani, come di consueto, presiederà l’udienza generale del mercoledì, poi nel pomeriggio celebrerà il mercoledì delle Ceneri nella basilica vaticana. Giovedì, inoltre, il Papa dovrebbe incontrare, ancora in Vaticano, i parroci di Roma.
Domenica si svolgerà un atteso Angelus in piazza San Pietro, quindi la sera prendono il via gli esercizi spirituali in occasione della Quaresima della Curia romana cui prenderà parte il Papa e che saranno predicati dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura. In quella settimana saranno sospese tutte le attività e le udienze del Pontefice come avviene normalmente.
Domenica 24 febbraio si svolgerà un nuovo Angelus - l’ultimo del pontificato - e mercoledì 27 l’ultima udienza generale, che si terrà in piazza San Pietro in modo che ci sia spazio e partecipazione più ampia: una sorta di saluto al Santo Padre.
I commenti della politica. Delle dimissioni di Benedetto XVI oggi ha parlato nuovamente Pier Luigi Bersani: "Non penso che le dimissioni del Papa abbiano una ricaduta sui toni della campagna elettorale. E’ un gesto storico, come tutti possono vedere, e credo che alluda, proprio perché viene da un grande teologo, a una riforma del modo di essere della Chiesa", ha detto il segretario del Pd.
Riguardo al possibile successore di Ratzinger Silvio Berlusconi ha detto che la Chiesa è pronta ad avere un Papa di colore: "Credo proprio di sì", ha detto. "La notizia delle dimissioni del Papa non ha influenze dirette sulla campagna elettorale, semplicemente è chiaro, come è ovvio che sia, che avremo meno attenzione da parte dei media", ha aggiunto.
(12 febbraio 2013)

REPUBBLICA di stamattina - LA GUERRA IN CURIA
PAOLO GRISERI
ROMA
— Joseph Ratzinger si annulla per il bene della Chiesa. È il seme che marcisce per poter dare frutto. Il frutto di una guida vigorosa della barca di Pietro che sappia tirarla fuori dalla tempesta in uno dei momenti più tormentati della sua storia recente. Rottura clamorosa certamente dettata da ragioni più alte. Ma che avrà inevitabili conseguenze anche sullo scontro molto terreno tra i gruppi di potere nella Chiesa. Rottura che comunque potrebbe mettere fine alle pagine difficili di questi ultimi anni oltre le mura vaticane. Azzerando gli scontri tra il cardinale Bertone e una parte della Curia, forse relegandoli di colpo nel passato se la biografia del nuovo successore di Pietro sarà distante, com’è possibile, dall’aria pesante che si è respirata in questi ultimi mesi nei palazzi apostolici. E tagliare le ali ai corvi, azzerando i protagonisti di uno scontro che in certi momenti ha travalicato i limiti dell’accettabile. È successo quando gli anonimi hanno scelto di attaccare il Segretario di Stato
per colpire più in alto. Con un maggiordomo che per difendersi dall’accusa di aver divulgato lettere private del Papa, affermava di averlo fatto per difendere Benedetto XVI. Difenderlo da chi?
Sono questi gli interrogativi che hanno agitato la Chiesa nella difficile transizione del dopo Wojtyla. Ratzinger era stato eletto proprio per guidare quella transizione nel nome della continuità e dell’ortodossia. Si disse che fosse lui l’uomo sul quale puntavano i polacchi e l’ala più conservatrice della Curia, quella che aveva retto il timone della barca petrina nei lunghi anni che in Italia avevano coinciso con la presidenza della Cei affidata a Camillo Ruini. Ma Ratzinger, una volta diventato Benedetto XVI, ha subito mostrato la sua autonomia da quella Curia che pure conosce molto bene. Un’autonomia pagata con i sarcasmi curiali
all’indomani della gaffe di Ratisbona, quando un discorso scritto di suo pugno, senza passare dal vaglio degli uffici vaticani, aveva scatenato l’ira del mondo islamico.
In poco tempo quella Curia che era stato il luogo del suo governo nei lunghi anni alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede (quando comunque aveva continuato ad avere rapporti
stretti soprattutto con i tedeschi), era diventata un mondo se non apertamente ostile, certamente meno empatico. La nomina di Tarcisio Bertone, suo segretario alla Congregazione, alla guida della Segreteria di Stato era stata letta come il tentativo di trovare un braccio destro in grado di rafforzarlo anche nei confronti di quelle ostilità inespresse. Un tandem certamente singolare, quello
tra il salesiano piemontese pieno di senso pratico e il raffinato teologo tedesco. Un tandem che in certi momenti ha mostrato qualche crepa. Bertone, nominato Segretario di Stato, si è inimicato a sua volta una fetta di Curia sostituendo gradualmente gli uomini vicini al suo predecessore, un altro piemontese, l’astigiano Angelo Sodano, oggi decano del Collegio cardinalizio.
La sostituzione dello stesso Bertone per raggiunti limiti di età è stato uno dei nodi rimasti insoluti con le dimissioni di Ratzinger. Il 2 dicembre scorso il Segretario di Stato ha compiuto 78 anni raggiungendo l’età che aveva portato alle dimissioni Sodano. Come si sarebbe comportato Benedetto XVI? Avrebbe potuto continuare a rifiutare le dimissioni offerte dal Segretario di Stato come aveva fatto, almeno formalmente, il 15 gennaio di tre anni fa? E, se le avesse accettate, quale tra i diversi gruppi che si confrontano al vertice della Chiesa sarebbe uscito vincitore nella scelta?
Il nodo non sciolto sarà certamente uno dei punti chiave del prossimo Conclave. Lo scontro interno vede una Curia divisa tra i difensori della tradizione wojtyliana e gli uomini scelti da Ratzinger: Bertone e il presidente della Cei Angelo Bagnasco. Personaggi diversi e non sempre in sintonia ma oggi spinti ad allearsi nell’eccezionalità del momento. A fare da mediatore tra i due gruppi il cardinale di Milano, Angelo Scola. Forse non casualmente nel fronte dei conciliari, tradizionalmente l’area più aperta al rinnovamento, ci sono due personaggi messi da Ratzinger alla guida di importanti istituzioni come il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso (il cardinale francese Jean Luis Pierra Tauran) e il Pontificio Consiglio per la Famiglia retto da monsignor Vincenzo Paglia, l’autore della recente apertura sui diritti delle coppie gay. Anche qui a far da pontiere tra i conciliaristi e l’area vicina a Bertone e Bagnasco c’è un vescovo milanese, l’emerito Dionigi Tettamanzi, successore di Martini alla guida della chiesa ambrosiana. Ciò che era stato diviso durante il pontificato di Benedetto XVI rimarrà diviso durante il Conclave e i giorni che lo precederanno.(12 febbraio 2013)

AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI
COME CAMBIA IL CONCLAVE
Alle ore 20 del 28 febbraio 2013, Benedetto XVI non sarà più papa. Come Celestino V, dimettendosi il 13 dicembre 1294, tornava ad essere il monaco Pietro del Morrone, Benedetto XVI sarà di nuovo Joseph Aloysius Ratzinger. Anche Celestino V aveva annunciato la sua decisione in un concistoro, dopo avere consultato più o meno segretamente alcuni cardinali — e in particolare Benedetto Caetani che verrà poi eletto come suo successore (Bonifacio VIII). In concistoro, i cardinali tentarono però allora di convincere Celestino V a non dimettersi dal pontificato, ritenendo che una decisione del genere «fosse dannosa per la Chiesa e il papato». Le cose sono ora ben diverse, ed è proprio lo stesso papa a motivare invece, con un gesto di grande umiltà, di grande richiamo per l’opinione pubblica mondiale, la sua decisione «per il bene della Chiesa». Dalle ore 20 del 28 febbraio si aprirà una nuova fase nella storia del papato, una fase istituzionale che deve permettere alla Chiesa romana e universale di disporre di un nuovo papa.
Ma chi deve sovrintendere all’organizzazione della Sede Vacante non avrà un compito facile, perché dovrà sia rispettare e far rispettare le procedure in corso, talune delle quali antichissime, sia in qualche modo adattarle a una situazione veramente eccezionale per la sua inusualità.
Tranne quei pochi casi in cui il papa diede le dimissioni (o fu indotto a darle, come nel periodo del Grande Scisma di Occidente, tra il Trecento e il Quattrocento), la Sede vacante si apre generalmente alla morte di un papa: la stessa parola “Vacanza” significa il vuoto che la morte del papa provoca alla guida della Chiesa. Questa situazione del tutto inusuale implica che una delle prime preoccupazioni del cardinale Camerlengo, che, insieme e con il consenso del collegio dei cardinali, deve sovrintendere all’organizzazione della Sede vacante, non riguarda, come nel passato, la cura della salma e la celebrazione del complesso rituale pontificio funebre, ma prioritariamente la celebrazione del conclave.
Quando Celestino V in concistoro confermò la sua decisione di dimettersi, si spogliò dei suoi vestiti di papa e — si presume — consegnò l’anello del Pescatore che portava in quanto papa. L’anello del Pescatore, attestato per la prima volta intorno alla metà del secolo XIII, simboleggia il fatto che il papa è il successore di Pietro, che Cristo, con il fratello Andrea, ha fatto «pescatore di uomini» (Matteo 4, 19). Che cosa avverrà questa volta? Ci sarà una cerimonia — come
il 13 dicembre 1294 — durante la quale il Papa si sveste dei suoi vestiti di papa e consegna l’anello del Pescatore al cardinale Camerlengo o al decano del sacro collegio?
L’anello del Pescatore veniva consegnato al cardinale Camerlengo nello stesso modo in cui, alla sua presenza, la cancelleria papale
provvedeva a spezzare la matrice che serviva a imprimere il nome del Papa regnante sulla bolla (sull’altro lato vi erano le teste dei due apostoli Pietro e Paolo) con un martello appositamente approntato dai bollatori.
Secondo un antico cerimoniale ancora in vigore, il cardinale Camerlengo doveva, subito dopo
l’annuncio della morte del papa, far sigillare l’appartamento papale. Si tratta di un retaggio del passato, quando — nel Medioevo e fino al Settecento — i beni appartenuti al Papa nel “palazzo” potevano essere preda di ruberie esterne e interne.
Anche per quanto riguarda l’inizio del conclave non sappiamo
ancora se sarà rispettata la tradizione che risale al Duecento, anzi proprio al periodo del penultimo papa dimissionario, Celestino V. Tre giorni prima di dare le dimissioni il 10 dicembre 1291, Celestino V confermò infatti la validità del decreto di Gregorio X (1271-1274) secondo cui i cardinali, per eleggere un nuovo Papa, dovevano
rinchiudersi in “conclave” (termine che significa appunto “chiusi a chiave”) senza attendere più di dieci giorni. Lo spazio di tempo di dieci giorni si era reso necessario per potere celebrare i funerali del papa — i cosiddetti novendiali.
L’idea di rinchiudere i cardinali era stata pensata da Gregorio X (che non era cardinale quando fu eletto Papa) per evitare che una Vacanza si prolungasse troppo nel tempo. Nei decenni precedenti alla sua elezione, i cardinali attesero per diverse volte persino alcuni mesi prima di eleggere un nuovo papa, senza mettersi d’accordo. Lo stesso Gregorio X fu eletto dopo una Sede vacante durata quasi tre anni! Il successore di Celestino V — Bonifacio VIII — fu eletto il 24 dicembre 1294, undici giorni dopo le dimissioni di Celestino V. Fu dunque allora rispettato il periodo dei dieci giorni imposto dal decreto che istituiva il conclave, ancor oggi punto di riferimento importante per l’inizio di un conclave.
L’apertura del conclave avviene con la celebrazione nella Cappella Sistina di una messa solenne e con il tradizionale canto del
Te Deum.
Porre il conclave sotto la protezione dello Spirito Santo è una tradizione molto antica, che risale ai primissimi secoli della storia del papato.
Per la prima volta, il conclave per la successione di Benedetto XVI sarà celebrato secondo regole decise da Giovanni Paolo II, poi in parte ridefinite dallo stesso papa dimissionario. Un elemento fondamentale che risale al XII secolo, ossia il fatto che l’elezione di un nuovo Papa è valida se l’eletto riceve i due terzi dei voti dei cardinali presenti in conclave, continua a essere in vigore. Si trattava allora di una procedura rivoluzionaria, perché nei secoli precedenti il Papa veniva eletto — come del resto tutte le altre cariche ecclesiastiche (abati, vescovi e così via) dalla “maggioranza più grande o più sana” — senza alcuna precisazione numerica. Precisare il numero dei voti aveva lo scopo di dare una validità indiscutibile all’elezione, evitando una delle grandi crisi che aveva contraddistinto il
papato nei due secoli precedenti, il susseguirsi di scismi.
Anche il prossimo conclave sarà segreto, ma le televisioni del mondo intero potranno filmare i cardinali quando si sposteranno in processione. Anche quando fu eletto Benedetto XVI esistevano i telefonini e i moderni mezzi di comunicazione. Ma quali regole saranno
adottate perché il segreto
funzioni veramente?
L’elezione di un non cardinale è possibile. Persino l’elezione di un laico, come già nei primi secoli del papato. Ma è prevedibile che anche su questo punto si rispetti la tradizione, valida dal conclave del 1378 in poi, ossia che il nuovo Papa sia scelto tra i cardinali. L’annuncio di un nuovo Papa, la scelta del nome, e ovviamente anche il suo abito — manto rosso e tonaca bianca — sono già presenti nel rituale medievale. Ma anche il volo delle colombe — che simboleggiano lo Spirito Santo — sono tradizioni antiche che rivedremo presto. Il nuovo Papa non sarà invece incoronato con la tiara, che fu abbandonata ufficialmente da Paolo VI nel 1964.
In conclave entreranno soltanto i cardinali che non hanno compiuto l’età di ottant’anni. Questa decisione fu annunciata da Paolo VI il 1° settembre 1966 durante la visita di Castel Fumone che all’epoca fu considerata un segnale alla curia e al mondo di possibili sue dimissioni… A Castel Fumone, infatti, Bonifacio VIII aveva tenuto rinchiuso Pietro del Morrone fino alla sua morte (19 maggio 1296). Da allora, Castel Fumone è rimasto nella memoria storica legato alle vicissitudini, per molti versi drammatiche, che avevano accompagnato le dimissioni del papa del “gran rifiuto”.
Ma anche le dimissioni di Papa Benedetto XVI fanno riapparire il problema delle modalità di “convivenza” che si dovranno instaurare tra il nuovo Papa e il Papa dimissionario. E anche per questo motivo, le dimissioni di Benedetto XVI, che hanno sorpreso il mondo intero, sono un evento straordinario e ricco di incognite.

LA PROFEZIA DI MALACHIA: SAREBBE L’ULTIMO PAPA
ALIX VAN BUREN
Rispuntano i presagi della “fine del mondo” con l’abdicazione di Benedetto XVI, secondo certi millenaristi il 111esimo e penultimo pontefice prima della catastrofe planetaria come vaticinò San Malachia nel 1139, o qualche impostore al posto suo. Infatti il santo, in viaggio a Roma nel Medioevo già appassionato di apocalisse, avrebbe stilato l’elenco di 112 Papi comparsigli in una visione. Per ciascuno, avrebbe appuntato un criptico versetto raccolto nella
Prophetia de Summis Pontificibus,
dal suo contemporaneo Celestino II fino a Petrus Romanus: il 112esimo e, per l’appunto, l’ultimo a salire sul trono papale alla fine dei tempi. L’argomento agita gli studiosi. Fra questi, Giovanni Filoramo, esperto di gnosticismo e storico
delle religioni, è fra i più ascoltati.
Professore Filoramo, siamo davvero di fronte alle profezie di un santo veggente?
«Io, come storico, sono scettico. Intanto, la questione dell’attribuzione del testo è aperta. Il manoscritto risalirebbe alla fine del XVI secolo, al 1590 quando fu pubblicato. E siamo già a quattro secoli e mezzo dopo san Malachia. Ma questo è tipico dei testi profetici che circolavano nel periodo del Basso Medioevo legati alla fine del mondo, all’Anticristo, alla venuta dell’Imperatore finale, del Papa angelico. La Chiesa attraversava una grave crisi».
Allora come oggi?
«Allora gli scenari apocalittici erano legati alla crisi del papato avignonese nel XIV secolo, poi al grande scisma del XV quando si ebbero contemporaneamente ben tre Papi. Preconizzavano l’Anticristo, la lotta e la pace finale, la figura che anticipava la parusia, la venuta del Cristo, una nuova Terra e nuovi Cieli. Però, il testo attribuito a Malachia è singolare rispetto
ad altri».
Perché?
«Ha un meccanismo interessante. Intanto è una lista di 112 Papi. Perciò, se uno fa il conto, mescolandolo alle profezie di Nostradamus, ci siamo: Ratzinger sarebbe il 111esimo, l’ultimo pontefice prima di Petrus Romanus, che diventa la figura da fine del mondo. Se n’era molto parlato nel ’99, a fine millennio, e poi di nuovo il 21 dicembre con la profezia dei Maya. Ma nel caso dei 112 Papi qualcuno ha giocato anche su una quantità di coincidenze azzeccate».
Ci regala qualche esempio?
«Le attribuzioni funzionano bene per tutti i pontefici dal XII fino al XVI secolo. Però, se il testo è della fine del Cinquecento, si tratta di profezie “ex eventu”: l’autore poteva trovare frasi a effetto dei Papi precedenti. Da quel periodo in poi, si apre l’interpretazione. Ad esempio nel caso di Giovanni Paolo I, gli viene attribuita la durata del pontificato di una lunazione. E infatti fu proprio così. In altri casi, come Ratzinger, definito
De Gloria olivae,
il tema dell’ulivo funziona se il nome di Benedetto rimanda ai Benedettini di cui fa parte l’ordine degli Olivetani. Insomma, alcune coincidenze sono azzeccate, altre meno. Ma chi crede in queste cose, trova materia per riflettere».
E per lei, tutto questo cosa significa?
«Se parliamo dell’atteggiamento dello storico verso i testi apocalittici, questi sono un tratto costante della storia della Chiesa, che è accompagnata da migliaia di profezie. Soprattutto dall’anno Mille all’Illuminismo, ce n’è a bizzeffe, e riemergono con fenomeni periodici. Se parliamo invece della prospettiva personale, io non ci credo. È vero, sono colpito dalle coincidenze, ma la vita ne è piena. E no: non mi aspetto a febbraio la fine del mondo, né l’arrivo di Petrus Romanus».

CELESTINO V DI MASSIMO RAZZI SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
"Io, Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe, al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale".
E’ il grande precedente (non senza similitudini col gesto di Benedetto XVI) dell’abdicazione di un Papa. La storia della Chiesa ne ricorda altri cinque (Clemente I, Papa Ponziano, Papa Silverio e Benedetto IX e Gregorio XII), ma come vedremo, si tratta di situazioni completamente diverse. Quella del monaco molisano Pietro Angeleri, eletto al soglio Pontificio il 29 agosto 1294 col nome di Celestino V e dimessosi il 13 dicembre dello stesso anno) è la vicenda che lo stesso padre Lombardi (dimentico degli altri casi) ha ricordato questa mattina come "unico precedente". Anche per la Chiesa di allora fu una storia sensazionale tanto che lo stesso Dante ne parla nella Divina Commedia collocando Celestino V all’Inferno nel girone degli ignavi ("coloro che vissero senza infamia e senza lodo...") e ricordandolo così: "Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto".
"Viltade", dunque nel (controverso) giudizio dantesco, forse più collegato alle beghe politiche di quel tempo che a una reale condanna di Celestino V. Fatto sta che il povero Piero Angeleri, da allora si porta dietro la nomea di "quello che fece il gran rifiuto". Un giudizio molto più attento (e positivo) venne dal romanzo di Ignazio Silone "L’avventura di un povero cristiano" (1968) che racconta l’intera vicenda restituendo a Celestino V l’onore e descrivendolo come una grande personalità capace, con il suo clamoroso gesto, di denunciare la molte e gravi storture della Chiesa di quei tempi. Coraggio, dunque, non ignavia, secondo Silone, fu alla base della scelta di Celestino V che lasciò il soglio di Pietro (con tutti gli onori e le ricchezze che, allora comportava) per dimostrare il suo disprezzo per il potere ingiusto, esagerato e, spesso, inquinato, del Papato di allora.
Pietro Angeleri nacque (probabilmente) nel 1209 a Isernia o a Sant’Angelo Limosano. Aveva undici fratelli ed era figlio di un contadino. Dopo un periodo in un’abbazia benedettina, Pietro si recò a Roma dove riuscì a compiere i suoi studi e venne ordinato sacerdote. Nel 1241 lasciò la Città eterna e si rifugiò sul monte Morrone e, più tardi, sui contrafforti inaccessibili della Maiella dando vita, per diversi anni, a un duro eremitaggio. Fondò anche un ordine monastico ("I frati di Pietro da Morrone") e si fece la fama di un uomo davvero santo.
Il 4 aprile del 1292, morì Papa Niccolò IV e il conclave, formato da 12 cardinali delle più nobili famiglie romane, si riunì per eleggere il successore. Ma l’accordo, nonostante le numerose riunioni in sedi diverse, non arrivava e una tragica epidemia di peste costrinse allo scioglimento del consesso cardinalizio. Ci volle più di un anno prima che il Conclave potesse riprendere, ma nel marzo del 1294 il successore di Niccolò IV non c’era ancora. Il Conclave era riunito a Perugia e il Re di Napoli, Carlo d’Angiò, che aveva bisogno dell’esistenza di un Papa per averne l’avvallo su certe operazioni bellico-politiche in Sicilia, si presentò in armi tra i cardinali mettendoli pesantemente sotto pressione. Un gesto di estrema gravità, ma le critiche all’indecisione dei cardinali venivano da più parti e lo stesso Pietro da Morrone profetizzò castighi per la Chiesa se non si fossero sbrigati a eleggere il 192esimo successore di Pietro. La profezia venne riferita al cardinale decano Latino Malabranca Orsini, allora vescovo di Ostia e gli fece scattare l’idea di proporre il nome del famoso e veneratissimo eremita, al soglio pontificio. Così, in capo a qualche mese, il 5 luglio 1294, Pietro da Morrone venne eletto Papa. Tre vescovi dovettero salire fino al suo rifugio sulla Maiella per comunicargli l’elezione. In un primo momento, Pietro rifiutò, poi si piegò alle pressioni e decise di obbedire.
Il suo non fu un grande pontificato. Celestino V si rivelò troppo poco abile nelle questioni politiche e troppo condizionato da Carlo d’Angiò. Nominò una dozzina di cardinali (nessuno romano) per riequilibrare il Concistoro, ma, probabilmente, si rese ben presto conto che la sua vicenda papale veniva continuamente strumentalizzata dall’una e dall’altra parte. Così, senza dir nulla a nessuno (un po’ come Ratzinger) maturò la sua decisione e, nel Concistoro del 13 dicembre, lesse la bolla che abbiamo riportato all’inizio.
A differenza di oggi, la Chiesa non la prese bene e Celestino V divenne una personaggio scomodo da eliminare. Cercò di fuggire nel suo eremo sul Morrone e poi in Grecia, ma venne raggiunto dagli sgherri del nuovo Papa, Bonifacio VIII (Benedetto Caetani) e venne rinchiuso in una fortezza della famiglia Caetani a Fumone in Ciociaria. Lì morì il 19 maggio 1296. Venne santificato nel 1313 da Papa Clemente V. La sua salma, sepolta all’Aquila, nella basilica di Collemaggio, venne trafugata il 18 aprile 1988 e ritrovata pochi giorni dopo nel cimitero di Cornelle e Roccapassa. Non sono mai stati scoperti gli autori dello strano gesto.
Ed ecco gli altri cinque precedenti (sui primi due non ci sono certezze storiche) .
Clemente I: quarto vescovo di Roma, dal 92 al 97. Abdicò, probabilmente, perché arrestato nelle persecuzioni. Permise, così, l’elezione del suo successore, Evaristo. Morì martire, gettato in mare con un’ancora al collo nel 99 o 100.
Papa Ponziano (21 luglio 230 - 28 settembre 235): Ponziano dovette abdicare perché deportato in Sardegna durante una persecuzione voluta da Massimino Trace. L’abdicazione permise ai cattolici romani di eleggere un successore con i pieni poteri nella persona di Papa Antero.
Papa Silverio (1 giugno 536 -11 novembre 537). Silverio fu costretto ad abdicare dall’imperatrice Teodora che costruì contro di lui false accuse a proposito di un accordo segreto con gli invasori Goti. Venne arrestato e portato in esilio a Licia. Anni dopo venne riconosciuto innocente.
Benedetto IX (21 ottobre 1032 - 13 gennaio 1045): E’ uno di quei Papi che la Chiesa, forse, preferirebbe dimenticare. Quando venne eletto, si dice avesse appena 12 anni. Visse in modo dissoluto, vendette e ricomprò il suo ufficio e lasciò il papato, a quanto pare, per sposarsi.
Gregorio XII (30 novembre 1406 - 4 luglio 1415): eletto nel 1406 nel pieno della vicenda degli antipapi avignonesi. Ad Avignone, infatti, nello stesso tempo, era stato eletto Benedetto XIII. I due papi si erano accordati perché alla rinuncia dell’uno corrispondesse anche quella dell’altro con l’obiettivo di ridare unità alla Chiesa. Lo scontro, invece, andò avanti per anni con Concili convocati dall’uno e dall’altro che dichiaravano il rivale "spergiuro, scismatico e devastatore della Chiesa". La questione si chiuse quando, con accordi faticosissimi, entrambi arrivarono effettivamente alle dimissioni ottenendo in cambio (il mondo è sempre lo stesso) il mantenimento dei cardinali da ciascuno nominati.
(11 febbraio 2013)

SPIEGAZIONI DI PADRE LOMBARDI - CORRIERE.IT
Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, incontrando i giornalisti, torna sull’argomento stato di salute del Pontefice. Nel tentativo di spiegare le dimissioni, evento che ha destato un attenzione mondiale : «Ribadisco quanto detto: non ci sono malattie specifiche, si tratta dell’indebolirsi, dell’invecchiamento come il Papa ha detto chiaramente. Qualcuno (Il Sole 24ore ndr) ha parlato di un intervento al cuore, di un pacemaker nei tempi passati: l’informazione è corretta, c’è stata una sostituzione di routine, delle batterie, già c’era da tempo ma non è un intervento rilevante. Rimane quello che abbiamo detto, non c’è alcun peso di malattie nelle decisioni».
ULTIMA UDIENZA - L’udienza di mercoledì 27 febbraio, il giorno prima le dimissioni annunciate del Papa, sarà l’ultima udienza generale e, «per quello che capisco, ci si sta organizzando per farla in piazza San Pietro in modo che ci sia spazio e modo della partecipazione più ampia e sia, in qualche modo, di saluto al Santo Padre» ha spiegato ancora Lombardi.
PERCHÉ ALLE 20 - Il Papa lascerà alle 20 del 28 febbario perché a «quel’ora finisce la sua nomale giornata operativa» ha spiegato Padre Lombardi. Nella scelta, quindi, «nessun motivo» né «giuridico o operativo», ma soltanto il «normale terminare della giornata di lavoro del Santo Padre».
L’ANELLO PAPALE - Che fine farà l’anello del Papa? Sarà «terminato», probabilmente «spezzato» dopo il 28 febbraio. Lo ha detto padre Lombardi, spiegando però che si tratta di «situazioni inedite» e che per questo le norme sono studiate in queste ore dagli esperti. Ma gli «oggetti connessi strettamente con il ministero Petrino, dovranno essere terminati».
CONCLAVE - Benedetto XVI «non avrà influenza» sul conclave incaricato di eleggere il suo successore ha aggiunto il portavoce della Santa Sede, precisando che «i cardinali saranno autonomi nelle loro decisioni».

CALENDARIO - CORRIERE.IT
ROMA - Benedetto XVI ha annullato la processione penitenziale che avrebbe dovuto presiedere mercoledì all’Aventino in occasione del mercoledì delle Ceneri. Ha deciso di celebrare il rito delle Ceneri in San Pietro. «Nella basilica - ha spiegato il portavoce vaticano padre Federico Lombardi - c’è più spazio».
L’ULTIMA CELEBRAZIONE - Quella di mercoledì - si fa sapere in Vaticano - sarà l’ultima celebrazione di Papa Ratzinger con il Collegio Cardinalizio, del quale non è più membro dall’elezione del 19 marzo 2005 e nel quale a norma del Diritto Canonico non rientrerà dopo il 28 febbraio, data nella quale diventa operativa la rinuncia al Pontificato annunciata lunedì.
GLI ALTRI APPUNTAMENTI - Giovedì, inoltre, il Papa dovrebbe incontrare, ancora in Vaticano, i parroci di Roma. Domenica si svolgerà un atteso Angelus in piazza San Pietro, quindi la sera prendono il via gli esercizi spirituali in occasione della Quaresima della Curia romana cui prenderà parte il Papa e che saranno predicati dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura. In quella settimana saranno sospese tute le attività e le udienze del Pontefice come avviene normalmente. Domenica 24 febbraio si svolgerà un nuovo Angelus - l’ultimo del pontificato - e mercoledì 27 l’ultima udienza generale alle quale dovrebbero prendere parte rappresentanze diplomatiche, cardinali, vescovi e molte altre personalità.

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CITTÀ DEL VATICANO - La vicenda dell’ultimo conclave, vista a posteriori, somigliava al racconto di Edgar Allan Poe La lettera rubata , che i poliziotti cercano ovunque smantellando pavimenti e pareti e l’intero appartamento finché l’ispettore Dupin ha un colpo di genio e scopre che stava nel posto più in vista della casa: nel salotto, giusto sopra la mensola del caminetto. A forza di cercare il candidato nascosto, e con buona pace delle varie regole enumerate da innumerevoli esperti addentro alle Sacre Stanze - mai un teologo, mai un curiale, mai un tedesco -, l’evidenza potè scorrere serenamente davanti agli occhi di (quasi) tutti finché il curiale teologo tedesco si affacciò sorridente dalla Loggia delle benedizioni di San Pietro. Perché le «regole» dedotte dal passato non funzionano, nella Cappella Sistina. E, prima di ogni considerazione «geopolitica» o «strategica», i 117 cardinali elettori, il mese prossimo, si guarderanno anzitutto in faccia chiedendosi la cosa essenziale: chi ha le spalle abbastanza larghe per reggere, ora, la barra della Chiesa?
A questa domanda, ieri, ha cominciato a rispondere per primo Benedetto XVI. Ai piani alti del Palazzo apostolico invitano a leggere con attenzione la declaratio del pontefice. Un testo scritto in latino di suo pugno e che solo all’ultimo è uscito dall’Appartamento per essere tradotto in sei lingue. Parole meditate da mesi e di continuo - iterum atque iterum - e che non indicano il successore, ovvio, ma ne tracciano il profilo. Qui non c’entrano la viltade dantesca di Celestino V né la depressione del Papa morettiano né una ipotetica malattia negata da tutti, Oltretevere. E non c’è nemmeno distanza dal predecessore Giovanni Paolo II, che rimase al suo posto nonostante il Parkinson. Benedetto XVI scrive d’essere «ben consapevole» che in ministero petrino «deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando». E «tuttavia», scrive, «nel mondo di oggi» - e quindi a differenza degli ultimi anni di Wojtyla - bisogna avere «nel corpo e nell’animo» quel «vigore» necessario ad affrontare «rapidi mutamenti» e «questioni di grande rilevanza per la vita della fede». Benedetto XVI affida al successore l’eredità del suo impulso riformatore. Non una resa, ma un passaggio di testimone: ora tocca a una guida «vigorosa» che permetta alla Chiesa di affrontare i «rapidi mutamenti» del presente. Benedetto XVI ha preso la sua decisione «dopo il viaggio in Messico e a Cuba», ha scritto sull’ Osservatore Romano il direttore Giovanni Maria Vian: sarebbe quindi dalla fine di marzo 2012. Di certo meditava da mesi.
Questi, Oltretevere, sono momenti di massima prudenza. Corridoi silenziosi, passi felpati. Pochissimi lo sapevano, certo la maggior parte dei cardinali presenti ieri era sinceramente sconcertata, alcuni si sono fatti tradurre le parole latine perché pensavano di aver capito male. Ma alcuni nomi di cardinali «papabili», è inevitabile, già filtrano. Ratzinger compirà 86 anni il 16 aprile, la successione era comunque nell’ordine delle cose. Riflessioni maturate negli ultimi mesi. Tenendo conto un particolare importante: lo stesso Benedetto XVI nel 2007 aveva modificato le regole di elezione al conclave per mantenere fisso il quorum di maggioranza a due terzi - anche nel caso del ballottaggio previsto dopo 34 scrutini - ed evitare il rischio che un pontefice, come prevedeva la riforma di Wojtyla, potesse essere eletto a maggioranza del 50 più uno oltre la trentaquattresima votazione. Niente spaccature, nella Sistina. Il Papa deve tenere unita la Chiesa e quindi avere i voti di gran parte del Collegio cardinalizio: nel caso, almeno 78 su 117. Chi ha abbastanza «vigore» da raccogliere una stima internazionale così vasta, tra i confratelli?
La prima immagine è forse la più suggestiva: il cardinale filippino Luis Antonio Tagle, appena 55 anni, che nell’ultimo concistoro di fine novembre - quello convocato per «riequilibrare» in senso internazionale il Collegio dopo tante nomine italiane - s’inginocchia davanti a Ratzinger per ricevere la berretta cardinalizia ed è scosso dai singhiozzi mentre il Papa gli parla a lungo e lo abbraccia e gli posa le mani sulle guance ad accarezzarlo. L’arcivescovo di Manila è una personalità emergente che starebbe all’Oriente e alla Cina come Wojtyla all’Est Europa, molto amato e «pastorale»: «Per la Chiesa l’umiltà non è una strategia, è il modo di essere di Gesù, non abbiamo scelta diversa». Tra i nomi più ripetuti, comunque, c’è anzitutto quello del cardinale canadese Marc Ouellet, 68 anni, considerato «papabile» (ma «ovviamente non mi considero a un tale livello», si schermì) fin da quando Ratzinger lo chiamò alla guida di un dicastero chiave come la Congregazione dei vescovi. Teologo e poliglotta, fa parte del gruppo di Communio , la rivista fondata nel ’72 da Ratzinger e Hans Urs von Balthasar, e il Papa gli ha affidato uno dei temi più urgenti del pontificato: fu lui, per dire, a guidare la «veglia penitenziale» durante il simposio sulla pedofilia nel clero organizzato a Roma dalla Gregoriana e sempre l’anno scorso rappresentava il Papa al congresso eucaristico di Dublino; durante la visita, delicatissima dopo gli scandali nella Chiesa irlandese, incontrò anche le vittime degli abusi. Del gruppo di Communio fa parte anche il cardinale Angelo Scola, 71 anni, altro candidato «forte», il più quotato e internazionalmente conosciuto fra i cardinali italiani assieme al grande biblista Gianfranco Ravasi, presidente uscente del pontificio Consiglio della Cultura, anche se negli ultimi anni è cresciuta la stima generale nei confronti del cardinale Angelo Bagnasco, dottrina «sicura» e ottimo profilo «pastorale».
Nel collegio cardinalizio, del resto, sono rappresentati cinque continenti con 66 Paesi, 48 dei quali hanno cardinali con meno di 80 anni e quindi «elettori» in un eventuale conclave.
E ora, tra i 117 «elettori», 61 sono europei, 14 dell’America settentrionale, 19 dell’America Latina, 11 dell’Africa e altrettanti dell’Asia, 1 dell’Oceania. E la nazione più rappresentata è sempre l’Italia con 28 elettori, seguita da Usa (11), Germania (6) e Brasile (5). Però, se le questioni di «nazionalità» o «geopolitiche» passano in secondo piano, i porporati del nostro paese rischiano di pagare le conseguenze dello scandalo «Vatileaks», percepito dal resto del mondo ecclesiastico come una bega essenzialmente «italiana». Le considerazioni «geopolitiche» contro un «Papa americano», peraltro, non erodono le possibilità del cardinale Timothy Dolan, l’arcivescovo di New York al quale Benedetto XVI ha affidato l’onore di aprire il Concistoro del febbraio 2012 con una relazione («entusiasmante, gioiosa e profonda») sulla nuova evangelizzazione «che si compie con il sorriso, non con il volto accigliato».
Sempre nella linea di continuità col Papa c’è anche il cardinale Christoph (von) Schönborn, coltissimo allievo di Ratzinger, il discendente di un’antichissima famiglia dell’aristocrazia boema che per il conclave del 2005 arrivò a Roma in treno, tirando da solo un trolley a Termini, in clergyman e basco, «sa dove sono i taxi?». Già allora considerato fra i papabili, è un riformatore equilibrato, all’avanguardia nella lotta alla pedofilia: fino a criticare la «vecchia guardia» curiale. Del resto, dalla classica attesa del «Papa nero» (tra gli africani il più in vista è il ghanese di Curia Peter Turkson, 64 anni) al candidato latinoamericano (il brasiliano Odilo Scherer) fino ai curiali (il cardinale argentino Leonardo Sandri, il francese Jean Louis Tauran) la rosa (teorica) è ampia. I cardinali cominceranno a tirare le somme durante la «sede vacante»: guidata dal cardinale Camerlengo, Tarcisio Bertone. Magari pensando a ciò che Benedetto XVI ha detto ai seminaristi venerdì, quando ha associato il primato di Pietro al martirio: «La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre. Il futuro è nostro». E ha ripetuto nel suo ultimo «tweet», domenica, attingendo all’Angelus: «Dobbiamo confidare nella grande potenza della misericordia di Dio. Siamo tutti peccatori, ma la Sua grazia ci trasforma e ci fa nuovi».
Gian Guido Vecchi

MESSORI SUL CORRIERE
Ci sarà tutto il tempo per analisi, bilanci, previsioni. Oggi, ancora sconcertati, cercheremo solo di dare una possibile risposta a tre domande che ci sono subito sorte. Innanzitutto: perché, un simile annuncio, proprio in questo giorno di febbraio? Poi: perché in una riunione di cardinali annunciata come di routine? Infine: perché il luogo scelto per il ritiro da Papa emerito?
Riflettendoci, dopo la sorpresa quasi brutale tanto è stata imprevista (e per tutti, nella Gerarchia stessa), mi pare si possano azzardare delle possibili spiegazioni. L’11 febbraio, ricorrenza della prima apparizione della Vergine a Lourdes, è stata dichiarata dall’«amato e venerato predecessore», come sempre lo ha chiamato, Giornata mondiale del malato. Ha detto Ratzinger, nel latino della breve e sconvolgente dichiarazione: «Sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». Terenzio, e poi Seneca, Cicerone e tanti altri avevano ricordato mestamente: senectus ipsa est morbus, la vecchiaia stessa è una malattia.
Dunque, è infermo comunque chi, come lui, il prossimo 16 aprile compirà 86 anni. Ha aggiunto, infatti: «Il vigore del corpo e dell’animo negli ultimi mesi in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato». Quale giorno più adeguato, dunque, per prendere atto davanti al mondo della propria infirmitas di vegliardo di quello dedicato alla Madonna di Lourdes, protettrice dei malati? In fondo, anche in questo vi è un segno di solidarietà fraterna per tutti coloro che, per morbi o per anni, non possono più contare sulle proprie forze.
Ma perché (è la seconda domanda) dare l’annuncio, ex abrupto , proprio in un concistoro di cardinali per decidere la glorificazione dei martiri di Otranto, massacrati dalla furia dei turchi musulmani? Non crediamo che vi sia qui un qualche richiamo alla violenza di un certo islamismo, attuale ora come nel XV secolo della strage in Puglia. Crediamo, piuttosto, che in questi mesi Benedetto XVI abbia meditato sul primo e solo caso di abdicazione formale di un Pontefice nella storia della Chiesa, quello del 13 dicembre 1294, da parte di Celestino V. Vi erano stati, nei «secoli bui» dell’Alto Medioevo alcuni casi di rinuncia papale, ma in circostanze oscure e sotto la pressione di minacce e di violenze. Ma solo Pietro da Morrone, l’eremita strappato a forza alla sua cella ed elevato al soglio pontificio, abdicò liberamente ed ufficialmente, adducendo anch’egli soprattutto l’età più che ottuagenaria e la debolezza che ne conseguiva.
Prima di compiere l’inedito passo, aveva consultato discretamente i maggiori canonisti che gli confermarono che la rinuncia era possibile, ma andava fatta «davanti ad alcuni cardinali». È proprio quanto ha deciso di fare Benedetto XVI, che non aveva che quel precedente cui rifarsi: precedente del resto, spiritualmente sicuro, in quanto il buon Pietro fu dichiarato santo dalla Chiesa e non meritava davvero l’accusa di viltade lanciatagli contro dal ghibellino Dante per sue ragioni politiche. Insomma, in mancanza di altre regole, papa Ratzinger, sempre rispettoso della tradizione, si è rifatto a quelle stabilite otto secoli fa dal confratello di cui voleva condividere il destino. Probabilmente, non è casuale anche il fatto che l’imprevisto annuncio sia stato letto solo in latino, quasi per richiamarsi anche in questo a quel precedente lontano.
Ma, per venire alla terza domanda, per quale ragione, dopo un breve soggiorno a Castel Gandolfo (deserto, e dunque disponibile, durante la sede vacante) il già Benedetto XVI si ritirerà in quello che è stato un monastero di clausura, all’interno delle Mura Vaticane? Questo, almeno, il programma annunciato dal portavoce, padre Lombardi. Non sappiamo se quella sistemazione sarà definitiva ma, in ogni caso, neppure questa è una scelta casuale. Dicono le ultime parole dell’annuncio di ieri: «Anche in futuro vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio». Negli anni di pontificato ha ripetuto spesso: «Il cuore della Chiesa non è dove si progetta, si amministra, si governa, ma è dove si prega».
Dunque, il suo servizio alla Catholica non solo continua ma, nella prospettiva di fede, diventa ancor più rilevante: se non ha scelto un eremo lontano - magari nella sua Baviera o in quella Montecassino cui aveva pensato papa Wojtyla come estremo rifugio - è forse per testimoniare, anche con la vicinanza fisica alla tomba di Pietro, quanto voglia restare accanto a quella Chiesa cui vuole donarsi sino all’ultimo. Né è casuale, ovviamente, l’aver privilegiato mura impregnate di preghiera come quelle di un monastero di clausura. Comunque, se la sistemazione in Vaticano sarà stabile, la discrezione proverbiale di Joseph Ratzinger assicura che non vi sarà alcuna interferenza col governo del successore. Siamo del tutto certi che rifiuterà pure il ruolo di un «consigliere» carico di anni ma anche di esperienza e di sapienza, pure se ci dovessero essere richieste esplicite del nuovo Papa regnante. Nella sua prospettiva di fede, il solo vero «consigliere» del Pontefice è quello Spirito Santo che, sotto le volte della Sistina, ha puntato su di lui il dito.
Ed è proprio in questa prospettiva religiosa che vi è, forse, risposta a un altro interrogativo: non era più «cristiano» seguire l’esempio del beato Wojtyla, cioè la resistenza eroica sino alla fine, piuttosto che quello del pur santo Celestino V? Grazie a Dio, molte sono le storie personali, molti i temperamenti, i destini, i carismi, i modi per interpretare e vivere il Vangelo. Grande, checché ne pensi chi non la conosce dall’interno, grande è la libertà cattolica. Molte volte, l’allora cardinale mi ripeté, nei colloqui che avemmo negli anni, che chi si preoccupa troppo della situazione difficile della Chiesa (e quando mai non lo è stata?) mostra di non avere capito che essa è di Cristo, è il corpo stesso di Cristo. A Lui, dunque, tocca dirigerla e, se necessario, salvarla. «Noi - mi diceva - siamo soltanto, parola di Vangelo, dei servi, per giunta inutili. Non prendiamoci troppo sul serio, siamo unicamente strumenti e, in più, spesso inefficaci.
Non arrovelliamoci, dunque, per le sorti della Chiesa: facciamo fino in fondo il nostro dovere, al resto deve pensare Lui». C’è anche, forse soprattutto, questa umiltà, nella decisione di passare la mano: lo strumento sta per esaurirsi, il Padrone della messe (come ama chiamarlo, con termine evangelico) ha bisogno di nuovi operai, che vengano dunque, purché consapevoli essi pure di essere solo dei sottoposti. Quanto ai vecchi ormai estenuati, diano il lavoro più prezioso: l’offerta della sofferenza e l’impegno più efficace. Quello della preghiera inesausta, attendendo la chiamata alla Casa definitiva.
Vittorio Messori