Sergio Romano, Corriere della Sera 12/2/2013, 12 febbraio 2013
GLI AMICI INGLESI DI MUSSOLINI UN LIBRO FANTAPOLITICO DEL ’43
Durante un pomeriggio libero, mentre ero a Londra per affari, ho visitato la National Portrait Gallery, accanto a Trafalgar Square, e mi sono incamminato sulla Charing Cross Road, una strada un po’ trasandata ma molto vivace, piena di teatri, pub, librerie antiquarie e di libri usati. In una di queste ho trovato un libriccino intitolato «Processo a Mussolini». L’autore si nasconde dietro uno pseudonimo, Cassius, l’editore è Victor Gollancz, la data d’edizione ottobre 1943. Ne conosceva l’esistenza?
Pompeo Fringuelli, Roma
Caro Fringuelli,
Cassius è Michael Foot, allora redattore capo di un quotidiano conservatore della sera, ma più tardi deputato laburista, direttore del settimanale «Tribune» (l’organo dell’intellighenzia progressista britannica) presidente della Camera dei comuni dal 1976 al 1979 e, agli inizi dell’era di Margaret Thatcher, persino leader dell’opposizione. Victor Gollancz aveva fondato la sua casa editrice nel 1927 e fu per molti anni editore di libri socialisti e pacifisti, ma anche di opere della migliore narrativa e saggistica da George Orwell a Franz Kafka. Ebbe simpatie comuniste sino al patto Ribbentrop-Molotov del 1939 e fu da allora molto vicino alla componente massimalista del partito laburista britannico.
Il piccolo libro di Foot è un brillante esercizio di fantapolitica. L’autore descrive il processo celebrato a Londra dopo la fine del Secondo conflitto mondiale contro il «criminale di guerra» Benito Mussolini, accusato di liberticidio, persecuzione degli oppositori, aggressioni ingiustificate (l’Etiopia, la Francia, la Gran Bretagna, la Grecia, gli Stati Uniti). Il presidente del tribunale è un giudice imparruccato di Sua maestà britannica, la giuria è composta di dodici cittadini inglesi. Dopo la lettura dell’atto d’accusa, il pubblico ministero dà per scontata la colpevolezza dell’imputato e suggerisce alla difesa di astenersi da inutili sofismi. Ma ecco che l’avvocato difensore entra in scena con una tattica che sconvolge il corso del dibattimento. Anziché giustificare il suo cliente o attenuarne le responsabilità, ne descrive le colpe con tinte ancora più fosche di quelle usate dall’accusa. Intende forse lasciare Mussolini alla sua sorte o appellarsi, tutt’al più, alla clemenza della corte? No: dopo avere concluso la prima parte dell’arringa, l’avvocato della difesa chiama sul banco dei testimoni, una dopo l’altra, tutte le personalità britanniche che hanno salutato entusiasticamente la sua conquista del potere nel 1922, elogiato la sua politica anticomunista, ammirato il suo stile di governo e persino coltivato i rapporti con il dittatore dell’Italia fascista dopo la conquista dell’Etiopia e la guerra di Spagna. Il processo a Mussolini diventa così, nel breve libro di Michael Foot, un processo alla classe dirigente britannica, da Sir Austen Chamberlain, ministro degli Esteri dal 1924 al 1929, a Neville Chamberlain, primo ministro sino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Fra i testimoni non appare Winston Churchill, forse perché all’autore sembrò disfattista, nel 1943, mettere sul banco degli imputati l’uomo che aveva nelle sue mani il futuro della Gran Bretagna. Ma l’avvocato difensore di Mussolini, a un certo punto del processo, estrae dalla sua borsa un foglio di carta. È il discorso che Churchill pronunciò a Roma il 20 gennaio del 1927, durante una visita al capo del governo italiano: «Se fossi stato un italiano sono sicuro che sarei stato con voi con tutto il mio cuore, dall’inizio alla fine della trionfante lotta contro gli appetiti bestiali e le passioni del leninismo». Quel delitto di «lesa maestà» ebbe per effetto il licenziamento di Foot dal giornale conservatore di cui era redattore capo e l’inizio di una brillante carriera politica.