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 2013  febbraio 12 Martedì calendario

MPS, I VERBALI CON IL NO DI CALTAGIRONE


Il bilancio 2009 del Monte dei Paschi fu approvato a maggioranza. All’interno del consiglio di amministrazione c’è chi aveva probabilmente capito che qualcosa non andava e non diede il proprio via libera. Tra loro, Franco Gaetano Caltagirone che all’epoca era il vicepresidente. L’imprenditore chiese chiarimenti al management sulla decisione di Giuseppe Mussari di pagare soltanto le azioni al risparmio e per di più a un centesimo l’una. Gli fu risposto che «sotto il profilo giuridico» non c’era alcun problema. Ma lui decise di votare ugualmente contro.
Sono i verbali di quella riunione, a tratti drammatica, a svelare che cosa accadde. Ma per conoscere i retroscena della «spaccatura» che si era creata, nei prossimi giorni i magistrati di Siena potrebbero ascoltare come testimone proprio Caltagirone. I pubblici ministeri Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Francesco Grosso sembrano avere un quadro piuttosto chiaro riguardo alle operazioni finanziarie compiute per acquisire Antonveneta e poi per cercare di ripianare i debiti causati da quell’affare. Adesso vogliono capire se esisteva una copertura politica che avallò le scelte dei manager. E per scoprirlo dovranno ascoltare i protagonisti di quella delicatissima fase.
Proprio nel 2009 si pose il problema legato all’ormai famoso contratto «Fresh» con Jp Morgan che aveva portato nelle casse di Mps un miliardo di euro. Gli obbligazionisti avevano infatti preteso una manleva rispetto al rischio di impresa. Una indemnity che fu tenuta segreta al mercato e agli organi di vigilanza dal presidente Giuseppe Mussari, dal direttore generale Antonio Vigni e dai manager che predisposero ogni fase dell’operazione. L’accordo con Jp Morgan era stato illustrato pubblicamente come un aumento di capitale e non per quello che era in realtà: un prestito. Al momento di pagare la cedola, Mussari si rese conto dei pericoli che Mps correva dal punto di vista economico e cercò di risparmiare con il «giochino» del centesimo. Una trovata che però in Cda generò più di un sospetto, tanto da convincere qualcuno a non approvare il bilancio.
Era soltanto una precauzione, oppure c’era qualcosa di più? È questo l’interrogativo che dovrà essere posto a Caltagirone. Ieri anche Marco Morelli, all’epoca vicepresidente di Mps e responsabile dell’operazione, ha dovuto chiarire ai magistrati il proprio comportamento. Anche perché nel 2009 lui andò via da Mps prima di firmare il bilancio. L’attuale responsabile di Merrill Lynch è indagato per ostacolo agli organi di vigilanza avendo firmato, il 5 aprile 2008, la lettera che sollevava Jp Morgan da ogni rischio. Il suo abbandono era legato a quell’impegno?
Del bilancio e di quanto accadde anche al vertice della Fondazione i magistrati chiederanno conto oggi a Tommaso Di Tanno, componente del consiglio sindacale indagato per ostacolo agli organi di vigilanza. Poi ascolteranno Marco Parlangeli, direttore generale della Fondazione fino al 2011. All’epoca si parlò di una decisione consensuale, ma furono in molti ad evidenziare la sua posizione critica rispetto alle operazioni di ricapitalizzazione della banca, per sostenere le quali la Fondazione, da ricca cassaforte che ogni anno erogava decine di milioni di utili alla comunità, era arrivata a perdere nel 2010 ben 123 milioni, unica tra le fondazioni italiane.
In programma c’è anche l’audizione di Lorenzo Pirondini, il responsabile finanziario di Mps all’epoca dell’acquisto di Antonveneta, anche lui finito nel registro degli indagati. Fu proprio lui, 16 giugno 2008, ad evidenziare nel «documento informativo» come l’acquisizione di Antonveneta avrebbe potuto «continuare a non generare risultati economici positivi». Ma nonostante scrisse che «il prezzo stabilito è coerente con la valutazione del Gruppo Antonveneta (al netto di Interbanca e delle sue controllate) effettuata da Mps, così come risultante dalla somma della valorizzazione di Banca Antonveneta "stand alone" e del valore netto delle sinergie attese». Una incongruenza di cui dovrà adesso rendere conto spiegando come mai, se l’istituto di credito presentava così tante criticità, fu pagato ben 3 miliardi in più di quanto era costato appena due mesi prima.

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it