Alessandro Barbero, La Stampa 12/2/2013, 12 febbraio 2013
CELESTINO V CHE PER VILTÀ PRONUNCIÒ IL GRAN RIFIUTO
Prima di Benedetto XVI, Celestino V è l’unico papa che si sia dimesso all’improvviso dalla cattedra di Pietro, per decisione personale e fra lo sconcerto di molti. Spulciando nei secoli più remoti si trovano dei papi che lasciarono il posto ad altri perché erano stati esiliati o incarcerati durante le persecuzioni, e non volevano che l’Urbe rimanesse senza vescovo; così come nei periodi di peggior lacerazione della Chiesa si trova qualche papa o antipapa dimissionato con soddisfazione di tutti nella speranza di azzerare la situazione e far pulizia. Ma prima di Joseph Ratzinger solo un papa ha sentito in cuor suo di non essere più in grado di reggere quel peso: Pier da Morrone, l’eremita molisano che i cardinali elessero papa il 5 maggio 1294 e che si dimise il 13 dicembre dello stesso anno, aprendo la strada all’elezione di Bonifacio VIII.
Analizzando la vicenda di Celestino, svanisce presto l’impressione iniziale che sia possibile fare un paragone con le motivazioni di Benedetto XVI. L’elezione di Pier da Morrone era stata una scelta inattesa: il papato era vacante da due anni, i cardinali erano spaccati e non riuscivano a mettersi d’accordo, il mondo politico cominciava a entrare in ebollizione. Quando il sant’uomo, famoso eremita e rinomata guida spirituale, scrisse ai cardinali per invitarli bruscamente a decidersi, quelli gli fecero lo scherzo di eleggere lui. Era un gran bel modo per cavarsi d’impaccio: il fatto che il nuovo papa avesse ottantaquattro anni, uno in meno di quanti ne ha oggi Ratzinger, garantiva che il pontificato sarebbe finito presto, anche se nessuno immaginava quanto presto.
Che quella responsabilità sarebbe stata un bel peso per Celestino lo aveva ben previsto Jacopone da Todi, che lo invitò con sarcasmo a dimostrarsi coerente, adesso che era al potere, con i bei discorsi fatti tutta la vita. «Que farai, Pier da Morrone? Èi venuto al paragone»: siamo, cioè, al punto in cui si vedrà quanto vali, «se sei auro, ferro o rame». Ma va anche detto che il vecchio eremita non era precisamente digiuno delle cose di questo mondo. Era l’uomo che aveva creato un nuovo ordine monastico, l’aveva difeso con le unghie e coi denti dalle manovre dei cardinali che volevano scioglierlo, e appena divenuto papa si affrettò a coprirlo di favori. Quanto alla politica, era così ben ammanicato col principale alleato della Chiesa, il re di Napoli Carlo d’Angiò, che subito dopo l’elezione nominò dodici nuovi cardinali a lui graditi, e poi, come se non bastasse, annunciò di voler stabilire la sua residenza a Napoli. Forse fu proprio l’ondata di critiche sollevata da questi comportamenti spregiudicati, che a quanto pare non aveva minimamente previsto, a indurlo a lasciar perdere e a fare quello che un furibondo Dante definì «il gran rifiuto».
In quei pochi mesi di pontificato Celestino V si era trovato accanto un uomo prezioso: il cardinale Benedetto Caetani, dottor sottile e acuto canonista. Fu lui, quando il papa gli espresse i primi dubbi, a garantirgli che sì, un papa può abdicare; fu lui a perfezionare la costituzione con cui Celestino ribadì quel diritto per poi dichiarare, a sorpresa, che lui stesso voleva approfittarne per primo. Chissà se Celestino, ridiventato Pier da Morrone, rimase stupito quando dal conclave uscì papa proprio il cardinale Caetani, col nome di Bonifacio VIII. Certo ci rimase male quando costui gli spiegò che non se ne parlava proprio di tornare a fare l’eremita, e che per motivi di sicurezza l’expapa doveva starsene ben rinchiuso in una cella, con la porta chiusa a chiave dall’esterno. Come un personaggio di Nanni Moretti, Pier da Morrone cercò di scappare, e fu arrestato mentre si stava imbarcando per la Grecia; Bonifacio lo fece chiudere in un castello, dove morì di lì a poco. Amara soddisfazione per Jacopone da Todi, che aveva previsto tutto fin dall’inizio, e aveva avvertito Celestino che sarebbe finita molto male: «S’el mondo da te è ’ngannato, / séquita maledezzone».