Curzio Maltese, la Repubblica 12/2/2013, 12 febbraio 2013
LA PROFEZIA DI MORETTI “UN PAPA TROPPO UMANO COME QUELLO DEL MIO FILM”
[Nanni Moretti]
LA STORIA del cinema è piena di profezie avverate, dallo sbarco sulla Luna all’attacco delle Torri Gemelle, dall’avvento di Hitler alla fine del comunismo. Ma una così precisa, perfetta e incredibile come le dimissioni del Santo Padre, con soli due anni di anticipo, non s’era mai vista. Altro che i Maya. Il profeta Nanni Moretti è rimasto barricato in casa, inseguito dalle chiamate di mezzo mondo. Alla fine ha accettato un’intervista per
Repubblica.
«Con grande imbarazzo. Che cosa dovrei dire? Che sono stato bravo? Al cinema ogni tanto capita di anticipare la realtà. Palombella rossa era uscito due mesi prima del crollo del muro di Berlino. Ne “Il Caimano” si sentono discorsi sui giudici fatti anni dopo da Berlusconi, quasi alla lettera. Ma stamattina comunque ero sbalordito»
Scusi la domanda da giornalista dei film di Moretti, ma qual è stata la sua prima reazione?
«Volevo andare in piazza San Pietro a guardare, ma avevo un appuntamento di lavoro. Mi sono immaginato quell’aria sospesa di sconcerto».
E’ proprio il finale di “Habemus Papam”. Il balcone vuoto, la folla di fedeli muta...
«E la facciata della basilica di San Pietro che sembra esterrefatta quanto la folla, dopo il discorso di rinuncia di Michel Piccoli. Come se un gesto semplice, in fondo pochi passi indietro di un uomo, potessero far crollare San Pietro, la Chiesa stessa».
Nel film c’è un dosaggio attento di verità e finzione, ma la storia comincia con i veri funerali di Wojtyla. Una coincidenza?
«Il film inizia con le immagini di repertorio dei funerali di Giovanni Paolo II. In montaggio mi sono accorto che le bandiere polacche, quella semplice bara di legno e il vento di quel giorno ricordavano immediatamente il saluto a papa Wojtyla. Non importa, mi sono detto, quando comincia il film si capirà che non sto raccontando certo papa Ratzinger, ma papa Melville, il papa di Michel Piccoli. E invece, oggi stiamo qui a parlare di questo gesto inaspettato …».
Nel film tornava spesso l’ombra del predecessore. Quanto era importante per lei nella finzione e quanto lo è oggi nel gesto del Papa?
«C’è un dialogo ai Fori Romani tra il papa in fuga e il suo portavoce polacco, interpretato da Jerzy Stuhr, nel quale il portavoce ricorda che l’amato predecessore ha continuato a reggere le sorti della Chiesa anche quando era molto malato. Era importante sentire l’ombra e il ricordo di un pontificato lungo, grandioso, molto amato. Volevo anche che il mio papa in crisi fosse un uomo anziano, con pochi anni davanti a sé. Per questo non ho mai pensato di interpretarlo io, nonostante la megalomania che mi si attribuisce».
Benedetto XVI oggi ha usato le stesse espressioni del suo immaginario Melville. Ha chiesto scusa per i propri difetti, ha confessato di sentirsi «inadatto ». Già al cinema questa rivendicazione di un tratto troppo umano, in bocca alla massima incarnazione dell’autorità, sembrava a molti surreale.
«Ho scritto la sceneggiatura con Federica Pontremoli e Francesco Piccolo.
Non era certo il film che il pubblico si aspettava, molti pensavano che avrei fatto un film con i ritagli degli articoli dei giornali sui vari scandali della Chiesa, la pedofilia, la finanza. Uno dei finanziatori del film non era d’accordo sulla rinuncia del papa, mi aveva suggerito di ribaltare il finale e di farne uno con un termine che mi sono dovuto scrivere perché non lo conoscevo, ecco qui: “paying off”. Insomma appagante per lo spettatore. Io prendo in considerazione tutte le obiezioni alla sceneggiatura, ci abbiamo riflettuto, ma ci sembrava che quello fosse il finale giusto per quel personaggio, per quella storia, per il sentimento che volevo raccontare con il film. E non mi interessava nemmeno schiacciare il mio film sull’attualità, cercavo di raccontare l’irrompere nella Storia, con la maiuscola, della semplice crisi di un uomo che non accetta di far prevalere il
ruolo, per quanto sacro e potente, sulla propria natura umana. Se non è attuale e verosimile, pazienza, mi sono detto, ma è quello che voglio raccontare. Non la realtà per quello che è, ma per quello che potrebbe essere. Ed eccoci qua».
La Chiesa ha reagito con qualche protesta, ma ha archiviato presto “Habemus Papam” nella categoria delle storie impossibili. Che effetto fa oggi ripensare a quelle critiche? Ma soprattutto, non è straordinario pensare che Ratzinger ha probabilmente visto un film che annunciava le dimissioni di un papa?
«Non penso proprio che il papa abbia visto il mio film, ci mancherebbe altro. Qualcuno ha protestato prima che uscisse “Habemus Papam” e io non ho mai replicato, perché non le giudicavo reazioni significative della sensibilità cattolica. Poi, quando il film è uscito, mi
sembra sia stato accolto con attenzione. Molti hanno capito che da parte mia c’era rispetto, diciamo un sentimento ambivalente. Da un lato una rappresentazione di quel mondo più umana del solito, da parte di un convinto, purtroppo, non credente. Dall’altra una critica alla Chiesa che cercava di essere più profonda di quella dell’anticlericalismo
di maniera».
Le è capitato in sorte di raccontare con anticipo i grandi passaggi della nostra storia, la crisi delle grandi narrazioni, la fine del comunismo in Palombella rossa e le dimissioni di un Papa da una Chiesa in cerca di guida. In quale modo sono legati? Quanto l’uno ha potuto influire sull’altro?
«Di sicuro sono legate le storie dei due film. Anche allora non mi sono preoccupato della verosimiglianza, d’inseguire il realismo. Per raccontare la rimozione del proprio passato, della propria storia, raccontavo di un dirigente comunista che aveva perso la memoria in un incidente. Un critico cinematografico
del Pci scrisse che era un film inattuale, un film non sul nuovo Pci di Occhetto, ma sul vecchio Pci di Natta. Dopo due mesi è crollato il muro di Berlino, è crollato tutto. Il soggetto ruotava intorno alla stessa questione. Una crisi individuale, umana, che rivelava il crollo
di un mondo, di un’istituzione».
Ha già raccontato quello che sarebbe successo. E adesso che cosa accadrà? Assisteremo a un conclave come quello di “Habemus Papam”, con i cardinali che sperano di non essere scelti?
«Molti si aspettavano che raccontassi le auto-candidature, i complotti, gli intrighi per occupare il trono pontificio. Non so cosa accada nella realtà di un Conclave, ma io non volevo replicare per l’ennesima volta scene e atmosfere viste in tanti film e fiction televisive. Volevo raccontare i miei cardinali, pieni di smarrimento, umanità, paura».