Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 12 Martedì calendario

DA RATISBONA ALLA PEDOFILIA E VATILEAKS ECCO TUTTE LE SPINE DI BENEDETTO XVI


Povero Papa, povero Cristo, ma sul serio. Difficile immaginare un pontificato più fitto, rigonfio e traboccante di disgrazie. Così tante che al momento dell’appello ne resta fuori sempre qualcuna. Invece lui, Benedetto, c’è sempre, sempre più curvo, sempre più spaesato e spaventato. Ma specialmente sopraffatto e ferito, lui monarca reso infallibile, dagli errori della sua stessa umanità, ma anche da quelli che gli servivano gli altri, sul classico piatto d’argento, come si usa da quelle parti.
Chi l’avrebbe mai detto quando apparve la prima volta dal balcone e alzò le braccia in un gesto che poteva sembrare di trionfo. Un principe teutonico, una specie di Pio XII, l’atteso castigamatti che dopo la severa opera messa in atto al Sant’Uffizio avrebbe riportato il rigore nella dottrina e l’ordine nell’istituzione. Interprete di una nuova dignità apostolica senza dubbi, né carezze. Un Papa, si disse con temerario compiacimento, che avrebbe garantito il prevalere della fede sulla carità, della convinzione sull’inquietudine,
dell’autorità sulla
speranza.
Ecco, si capisce adesso che non era Joseph Ratzinger ad alimentare questa visione di energetica potenza. Forse era un modo per assegnare un profilo a un leader che si sostituiva a un gigante. Ma per la cronaca, e magari un po’ anche per la storia, mai fraintendimento di un pontefice fu più completo.
Le piaghe apparvero visibili il prima possibile, e al massimo livello, oscurando il normale chiacchiericcio mondano e curiale sulle scarpine rosse, la mantella ricercata, il segretario belloccio e l’amicizia della principessina Borghese ribattezzata «l’intima di Carinzia». E fu lo scandalo terribile della pedofilia a sconquassare l’esordio benedettiano, e poi il disastroso discorso di Ratisbona, che pure
meritava una lettura più profonda, ma finì per incagliarsi — le crudeli leggi della comunicazione sfuggendo ai teologi — su un’unica frase di un certo imperatore bizantino di cui quasi tutti ignoravano l’esistenza, Manuele Paleologo, che pure tradiva un certo gusto professorale per l’erudizione.
Ma ebbe il risultato, piuttosto serio, di offendere i musulmani, che non era proprio la cosa più auspicabile per un capo religioso, né incoraggiava gli sforzi ecumenici
che stavano a cuore a tanti credenti. Nessuno può dire che il Papa non abbia poi cercato di correggersi. Benedetto chiese scusa, sulla pedofilia come sull’Islam
arrivò a umiliarsi. Ma questo tornare indietro, per certi versi, indicava un’incertezza di fondo, qualche smagliatura nei dispositivi di governo, insomma
era quasi peggio.
Accadevano strani segni, nel frattempo, come la folgore che durante il temporale di ieri ha illuminato il cupolone. Nel gennaio del 2008, proprio la volta in cui il Papa Ratzinger secondo l’antico rito celebrava, nella Cappella Sistina, la messa dando le spalle ai fedeli gli si sfilò dalla mano l’anello piscatorio che lo rende il successore di Pietro. Nel Medioevo la Cristianità avrebbe provato un brivido; nell’epoca delle visioni tecnologiche e post-moderne l’incidente ebbe un suo minimo rilievo, ma oggi si direbbe a
futura memoria, e chissà a disdetta di ogni pretesa restaurazione.
Quindi si fece avanti, anzi per l’esattezza il Pontefice chiamò al comando della Santa Sede il cardinal Bertone. È ancora presto per essere risoluti, ma tutto lascia pensare che non fu una buona idea. Bertone, salesiano combattente, si può dire con qualche garbo che per amore del Papa si diede da fare anche troppo e attaccò briga con chiunque. Frustrati predecessori, ambiziosi comprimari, esuberanti banchieri, vanitosi monsignori e così via.
In altre parole, in quel luogo non esattamente misericordioso si mettevano le base per mille trame, mille impicci, mille ingenue e
imprudenti mosse che si sarebbero risolte in diversi pastrocchi: dallo Ior al polo sanitario e spericolato, dall’amministrazione della Santa Sede all’interventismo dell’Osservatore
romano,
dalla vicinanza a Berlusconi al battesimo, il giorno di Pasqua, di Magdi Cristiano Allam, che di lì a qualche tempo avrebbe anche lui avuto da ridire. Fino alla vicenda dei lefebvriani che occorreva riammettere in seno a Santa Romana Chiesa, senza considerare uno dei loro vescovi avrebbe dato fondo al peggior antisemitismo.
Ogni volta il Papa ne soffriva. La litania sulle dimissioni, sulla malattia, sui successori. Un bestseller dal titolo
Sua Santità.
La rassegna stampa purgata sul caso Boffo. I complotti. E sempre più si vedeva un pastore più mite e fragile di quanto la sua fama di ex carabiniere della fede lasciava immaginare; come accartocciato nella solitudine tentava sorrisi che gli venivano desolatamente male. E se i veri romani mai invidiano il Papa («Io Papa?! Papa io?!
Fussi cojjone!» fa esclamare Belli un suo popolano), il loro secolare scetticismo s’inteneriva dinanzi a questo vecchio in braccio al quale, nella mostruosa auto bianca, venivano messi in braccio bambini che scoppiavano in lacrime; un anziano dall’incerto passo che una agitatissima ragazza riuscì persino a buttare a terra durante una funzione.
E il peggio doveva ancora venire. E fu Wikileaks, ma la sintetica e gelida formula non rende verità al drammatico tradimento che Joseph Ratzinger dovette subire fin dentro le sue stanze, da parte di Paoletto, il maggiordomo, pure lui perdonato davanti alle telecamere. Ma quanto più forte e profetica l’immagine di Wojtyla seduto al fianco di Ali Agca. E quanto misero il destino dell’uscita — anche questa frettolosa — su twitter. E don Georg sulla copertina di
Vanity Fair,
«Essere belli non è peccato». Certo che no.
Quindici giorni fa, all’Angelus, il Papa liberò una bianca colomba e subito un enorme gabbianaccio tiberino le volò addosso. Fece appena in tempo a ritornare nell’Appartamento. Anche di segni e presagi vive la storia, che poi magari nemmeno lo sono, ma nell’odierno futuro remoto ci si può anche fare un pensierino.