Eugenio Scalfari, la Repubblica 12/2/2013, 12 febbraio 2013
IL PASTORE E IL POTERE
UN ATTO rivoluzionario le dimissioni del Papa. E certamente lo è. Non era mai accaduto, salvo con Celestino V che vi fu costretto dai francesi che poi continuarono ad esercitare il loro potere su Bonifacio VIII fino allo schiaffo di Anagni. E salvo un paio di Papi e anti-Papi eletti da contrapposti concili e conclavi medievali.
Il canone prevede le dimissioni e perfino papa Ratzinger ne ammise la possibilità in un suo libro-intervista di due anni fa; ma altro è il dire, altro il fare.
Dunque un fatto rivoluzionario. Ma qual è la natura e quali saranno le conseguenze di questa rivoluzione?
La natura è evidente: la Chiesa si laicizza. Il Papa è stato finora considerato all’interno della Chiesa e della comunità dei credenti, come Vicario di Cristo in terra e, infatti, quando parla “ex cathedra” su questioni di fede la sua parola è infallibile come decretò il Concilio Vaticano I del 1870.
Questo punto è ancora l’ostacolo non superato che ha impedito l’unificazione tra cattolici e anglicani e tra cattolici e ortodossi della Chiesa orientale. Gli altri ostacoli erano in gran parte superati, perfino quelli della supremazia del Vescovo di Roma su tutti gli altri: il primate della Russia era pronto a riconoscere al Vescovo di Roma la primazia di “primus inter pares” ma non quella di Vicario in terra della Divinità.
Le dimissioni di Benedetto XVI cancellano questo ostacolo; il canone infatti pone una sola condizione: che il Papa prenda la sua decisione in piena libertà, cioè che non gravi su di essa alcuna ombra di pressione e di ricatto. Il volere di Cristo non è neppure citato né Ratzinger ne fa menzione nelle brevi parole con le quali ha comunicato la sua decisione al Concistoro convocato ieri mattina per occuparsi di tutt’altri oggetti. Viene dunque meno il rapporto diretto tra il Capo della Chiesa e il Figlio di Dio e l’autorità del Vescovo di Roma su tutta la cristianità non deriva da altro che dall’elezione in conclave da parte dei cardinali, una cerimonia del tutto laica salvo il luogo in cui si svolge (la cappella Sistina che è una chiesa consacrata) e il profumo d’incenso e il suono delle campane che accompagnano il “Veni Creator Spiritus”.
Le conseguenze di questa secolarizzazione e laicizzazione riguardano la distribuzione dei poteri all’interno della Chiesa: in parallelo con la diminuzione del ruolo del Papa aumenterà quella dei Concili e dei Sinodi, cioè delle assemblee dei Vescovi.
Questa è stata la richiesta implicita ma evidente del Vaticano II, ma fu per oltre trent’anni la tesi esplicitamente sostenuta dal cardinale Martini. La Chiesa come istituzione – disse e scrisse Martini in libri, prediche e dialoghi – si fonda su due autorità, quella del Papa e quella dei Concili e dei Sinodi. Il Papa partecipa agli uni e agli altri con funzioni di coordinamento e di indirizzo, ma le decisioni vengono prese dai Vescovi che sono i depositari del lascito degli Apostoli di Gesù.
Non si tratta di un fenomeno di scarso rilievo. Basti considerare che i Vescovi sono molto più interessati alla pastoralità che al potere della gerarchia curiale. La gerarchia curiale dovrebbe in teoria fornire alla pastoralità gli strumenti e i mezzi materiali per evangelizzare le anime e diffondere il credo. La Chiesa militante è affidata ai pastori di anime, vescovi, parroci, sacerdoti, Ordini religiosi. Ma questa è storicamente soltanto una parte della realtà. La Chiesa-istituzione avrebbe dovuto rappresentare la custodia della Chiesa militante e pastorale; invece è avvenuto il contrario. Per secoli e millenni l’Istituzione ha soffocato la pastoralità e ha promosso guerre, inquisizioni, corruzione, simonia. Non si è trattato di episodi ma d’una continuità storica il cui perno è stato il potere temporale. Ricordate le Crociate? Ricordate la guerra delle Investiture che ebbe Canossa come tappa essenziale? Ricordate l’esilio avignonese? Le alleanze, il nepotismo, le dinastie fondate dai papi: i Colonna, gli Orsini, i Caetani, i Farnese, i Piccolomini, i Borghese, i Della Rovere. E i Borgia?
La pastoralità ciononostante continuò e sparse il suo seme largamente e preziosamente e questo fu un vero miracolo. Ma il volto complessivo della Chiesa ne uscì largamente imbrattato. Le sue capacità di confrontarsi con la modernità furono fortemente ridotte.
Questa situazione avrebbe potuto migliorare con la fine del potere temporale propriamente detto, ma non è stato così. La Chiesa-istituzione ha mantenuto il sopravvento sulla Chiesa militante e pastorale, recuperando quel potere attraverso la politica e la fascinazione dello spettacolo.
Il pontificato di papa Pacelli fu il culmine della temporalità politica, non a caso preceduto dal concordato Pio XI-Mussolini; lo spettacolo ebbe invece la sua più fulgida stella nella figura di papa Wojtyla che usò affrontando sofferenze terribili perfino la sua agonia e la sua morte.
Ma questi miracoli (perché furono miracoli d’intelligenza
ed anche di fede e di dolore) non risolsero i problemi della Chiesa. Li evasero e li lasciarono ai successori.
Quei problemi, col trascorrere del tempo, si sono aggravati. Riguardano il recupero del Sacro, la dedizione dei fedeli alla carità, la Chiesa povera, la Chiesa missionaria, la fede nella vita, il contrasto fra la libertà dei moderni e la dogmatica dei tradizionalisti. E i cento e mille problemi che pone la bioetica, la psicologia del profondo, le diseguaglianze del mondo. Le differenze insanate e forse insanabili tra la Chiesa di Paolo, quella di Agostino, quella di Benedetto, quella di Francesco.
A noi non credenti piacerebbe molto che il futuro Papa e Vescovo di Roma in mezzo a tante proclamazioni di santi che non fanno più miracoli (ammesso che quelli del passato ne avessero fatti) proponesse quella di Pascal. Sarebbe il vero segnale che qualche cosa sta cambiando nei palazzi apostolici. Se fosse vissuto più a lungo forse papa Giovanni l’avrebbe fatta.