Laura Ambrosi, Il Sole 24 Ore/Norme e Tributi 11/2/2013, 11 febbraio 2013
PRELIEVI, IL «NERO» NON È SCONTATO [
L’ufficio deve dimostrare che i movimenti bancari in uscita nascondono ricavi] –
on è scontato che i prelievi bancari effettuati dal socio sul proprio conto personale siano riconducibili all’attività d’impresa. È necessario, infatti, dimostrare la connessione tra movimenti in uscita e gli eventuali ricavi in nero. A precisarlo è la Ctr Lombardia con la sentenza 1/32/2013.
La vicenda trae origine da indagini finanziarie effettuate sui conti correnti dei soci di una società di persone. In particolare, erano stati considerati elementi positivi sia i versamenti non giustificati che i prelevamenti, così come previsto dall’articolo 32 del Dpr 600/73. Sia la società che i soci hanno impugnato il conseguente avviso di accertamento e la Commissione tributaria provinciale - in parziale accoglimento del ricorso dei contribuenti – ha ritenuto fondata la pretesa solo relativamente ai versamenti. Ne sono scaturiti così due appelli: uno proposto dall’ufficio per il riconoscimento anche dei prelevamenti e l’altro presentato dalla società e dei soci per l’annullamento della pretesa relativamente ai versamenti.
La Ctr Lombardia ha ritenuto di dover confermare l’orientamento espresso in primo grado. È vero, infatti, che la Suprema corte più volte ha confermato che sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati a ricavi conseguiti nell’attività d’impresa se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile. Tuttavia – sottolineano i giudici della regionale - la legittimità di tale presunzione non può prescindere da valutazioni in ordine all’onere della prova.
Per quanto riguarda i versamenti non giustificati, il collegio ribadisce – in base a un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità - che la riconducibilità dei conti correnti di soci e amministratori all’attività d’impresa è fondata proprio nel legame di familiarità e complicità esistente tra i soci stessi, anche in virtù dell’inesistenza di altre attività esercitate individualmente da ciascuno di loro. Pertanto, l’ufficio può legittimamente ricondurre i versamenti effettuati sui conti correnti personali, a ricavi della società e l’onere di prova per superare la presunzione è certamente a carico dei contribuenti.
Diverso, invece, è il ragionamento relativo ai prelievi. Mentre i versamenti non giustificati possono concretamente far presumere che si tratti di redditi non dichiarati, per i prelevamenti devono esistere ulteriori elementi che possano ricondurre le somme al reddito d’impresa. Per i giudici è logico ipotizzare che il contribuente voglia nascondere dei ricavi e non dei costi. Ma, nel caso specifico, i prelievi dal conto corrente risultavano frazionati e frequenti e, per questo, si poteva facilmente presumere che si riferissero a spese tipiche del vivere quotidiano della persona fisica.
La necessaria dimostrazione prevista dalla norma – rileva il collegio – si riferisce ai costi posti in deduzione dal reddito d’impresa e non certo ai prelevamenti dal conto corrente personale. Ne consegue, quindi, l’inversione dell’onere della prova «tenuto conto dell’impossibilità materiale del soggetto a giustificare e documentare le innumerevoli operazioni di prelevamento».
Va però ricordato che la Cassazione anche di recente (si vedano le pronunce 12624/2012 e 2484/2013) ha assunto un diverso orientamento a riguardo: in assenza di idonee giustificazioni dell’utilizzo delle somme prelevate da parte del contribuente, scatta sempre e comunque la presunzione di maggiori ricavi occultati dal reddito d’impresa. I prelievi bancari sintomatici di acquisti in nero sono suscettibili di trasformarsi, in base a questa linea di pensiero, in successive vendite non fatturate.