Ettore Livini, Affari & Finanza - la Repubblica 11/2/2013, 11 febbraio 2013
Silvio Berlusconi e l’impero di Arcore devono fare un monumento a Ennio Doris e - a sorpresa - a Mario Monti
Silvio Berlusconi e l’impero di Arcore devono fare un monumento a Ennio Doris e - a sorpresa - a Mario Monti. Senza l’uomo con la banca costruita attorno a sé e l’arcinemico (politicamente parlando) di Scelta civica, il 2012 della "Cavaliere Spa" sarebbe da archiviare come una Caporetto da antologia. Le cose per il Biscione, intendiamoci, non vanno bene: Mediaset tra giugno e settembre ha perso un milione al giorno e chiuderà il primo bilancio della sua storia in rosso. Mondadori - che già nel 2011 non aveva staccato cedole - viaggiava a settembre con profitti in calo del 63%. In questo scenario da tregenda, però, l’ex premier almeno due soddisfazioni se l’è cavate: la prima è che Mediolanum, detto per inciso l’unica azienda del suo portafoglio non gestita in famiglia, ha il vento in poppa. Tanto che per la prima volta nella storia di Berlusconi il valore del 35% che controlla nella banca (1,1 miliardi) ha superato quello delle tv (il 40% di Mediaset a Piazza Affari vale circa 900 milioni). La seconda è il maxi-regalo - valore 600 milioni - ricevuto in maniera indiretta dal Presidente del Consiglio. Il ritorno di fiducia sull’Italia Spa dello scorso autunno, quando lo spread ha iniziato a ridursi con decisione, ha dato un contributo decisivo a ridare un po’ di fiato ai titoli di casa Berlusconi: a novembre scorso le partecipazioni delle tre quotate di Fininvest (le televisioni, la banca di Doris e Segrate) valevano 1,6 miliardi. Oggi il patrimonio azionario del Cavaliere è risalito a quota 2,2 miliardi, garantendogli una boccata d’ossigeno di cui - in tempi di vacche magre come questi - ha bisogno come il pane. L’annus horribilis Chi si accontenta, naturalmente, gode. L’impero del Cavaliere però, al di là della ripresina in Borsa del 2013, naviga da qualche tempo in acque tempestose. Tradito da quelle stesse tv che ne hanno foraggiato le fortune per oltre due decenni, consentendo alla Fininvest di girare 1,5 miliardi di dividendi alla dinastia di Arcore e di conservare ancora nel suo patrimonio altri 1,7 milioni di utili parcheggiati tra le riserve per i tempi più duri. La festa però è finita. E a suonare la sveglia sarà il bilancio 2012 di Mediaset, il primo in passivo nella storia di Cologno. Il motivo? Il digitale e il satellite hanno rimescolato i dati dell’audience erodendo un punto percentuale alla volta lo strapotere del duopolio Mediaset- Rai. E siccome piove sempre sul bagnato, alla lenta ma costante flessione degli ascolti si è sommato il drammatico crollo degli spot che dalla carta stampata è tracimato sul video. I numeri danno con chiarezza le dimensioni del problema che hanno davanti al naso Fedele Confalonieri e Piersilvio Berlusconi: a fine 2011 (pare un’altra era) la febbre era ancora contenuta con una raccolta pubblicitaria per i canali del Biscione in flessione di un modestissimo 3,3%. Lo sfarinamento di allora è però diventato oggi una valanga: a settembre 2012, Cologno si è trovata con 300 milioni di entrate in meno rispetto ai primi nove mesi dell’anno precedente. E negli ultimi mesi, gennaio compreso, il tam-tam del mercato parla di flessioni nell’ordine del 20%. La scure sulle tv Davanti a queste cifre e a un mercato in caduta a vite c’è poco da fare. «Investire su nuovi prodotti per cercare di far salire l’audience è quasi suicida - dice un esperto del settore - perché i costi per recuperare qualche spettatore in più sono largamente superiori ai potenziali benefici sul fronte dell’aumento degli spot». L’unica soluzione insomma è tamponare i buchi riducendo i costi. Mediaset ha accelerato i suoi piani di tagli, riuscendo a raggiungere in un anno solo l’obiettivo di risparmi (250 milioni) fissato per il 2014. Sono stati tagliati i cachet delle star, ridotti gli investimenti in diritti sportivi, chiusa (con un accordo sindacale) la sede di Roma, un lusso che risaliva agli anni degli utili d’oro. Ma ormai è chiaro che siamo solo all’aperitivo e Colgono ha già annunciato che l’austerity continuerà e che alla fine bisognerà riuscire ad arrivare a ridurre i costi fino a un totale di 450 milioni l’anno. Il problema è che le entrate sono bloccate anche sul fronte della pay-tv. La scommessa di Premium, costata 1,5 miliardi di investimenti e destinata negli auspici del management a dare utili dal 2011, è ancora al palo. Nel 2011 ha chiuso con 68 milioni di perdite operative e nel 2012 le cose non sono andate troppo meglio. Si è parlato a lungo del possibile ingresso di un partner per lo sviluppo di quest’area e in effetti Al Jazeera e la Liberty di Malone hanno dato un’occhiata al dossier. Ma di investimenti, per ora, non si parla. A farne le spese è così anche l’audience: a fine 2009 Mediaset era padrona dell’etere con uno share del target commerciale vicino al 43%. Oggi (dati del primo mese 2013) è al 38,8%, assediata da una Sky al 9,9%, da La7 cresciuta al 4,8% e dalla polverizzazione di un altro 10% circa conquistato dai nuovi canali del digitale terrestre. E anche in Spagna Telecinco a gennaio è stata superata come canale leader da Antena 3, il network della De Agostini. I rubinetti chiusi Il combinato disposto del crollo degli spot e dell’emorragia di spettatori è il disastro dei conti delle tv di Arcore. Nei primi nove mese del 2012 Cologno ha perso 45,4 milioni di euro. Paragonandolo ai dati dei primi sei mesi, emerge una voragine da 88 milioni di passivo (quasi un milione al giorno) tra giugno e settembre. E il buco dovrebbe essersi allargato ancora a fine anno. Nel 2005, per dare un’idea, la società aveva guadagnato 605 milioni e i titoli in Borsa viaggiavano a oltre 10 euro, il 900% in più di oggi. L’era delle vacche grasse è finita e a farne le spese rischiano ora di essere i conti correnti dell’articolata famiglia Berlusconi. Due anni fa, per dire, le televisioni avevano staccato un assegno di 181 milioni di dividendi alla Fininvest. Lo scorso anno il contributo alle spese di Arcore era sceso a 49 milioni (10 centesimi ad azione). Per il 2012 il cedolometro segnerà zero. I guai non arrivano mai da soli. E vale anche per il Biscione. I conti della Mondadori - costretta a tagliare quattro testate per far fronte alla crisi dell’editoria - vanno peggio di quelli dello scorso anno quando già aveva deciso di non distribuire alcun dividendo. Mediobanca (Fininvest ha il 2% di Piazzetta Cuccia) ha ridotto da 3 milioni a 880mila il suo contributo alla causa del Cavaliere. E l’unico raggio di sole arriva così da Mediolanum che - visti i risultati positivi e forse non a caso - ha deciso di staccare un dividendo anticipato a novembre di 10 centesimi che, perlomeno, garantiranno 26 milioni di incassi a Fininvest. Le riserve di scorta Il bilancio 2012 della holding di via Paleocapa sarà così lo specchio fedele dei guai delle controllate, con un utile, se ci sarà, risicato che non dovrebbe permettere di fare regali troppo generosi alle otto holding della famiglia Berlusconi. Da qui a dire che ad Arcore possa scattare l’allarme liquidità ce ne passa. I salvadanai delle casseforti di famiglia sono ancora pieni. E soprattutto il Biscione ha avuto l’accortezza nel corso degli anni di mettere fieno in cascina, proprio per affrontare periodi duri come questi. Certo, la liquidità incassata con il collocamento del 17% di Mediaset nel 2005 è andata in buona parte in fumo. Ma alla voce delle riserve per utili pregressi nella colonna del patrimonio ci sono ben 1,78 miliardi disponibili in ogni momento per essere distribuiti ai soci, al netto dei 409 milioni vincolati a una voce specifica per far fronte al possibile esborso verso la Cir (editore de La Repubblica) per il Lodo Mondadori. Nelle scorse settimane, complice il clima elettorale, si era sparsa la voce che Berlusconi potesse aprire il capitale di Mediaset a un partner straniero o che conferisse le sue aziende a un blind trust per dribblare ogni critica sul fronte caldissimo del conflitto d’interessi. Il Cavaliere ha già sgombrato il campo da ogni dubbio sulla questione del fondo cieco, precisando che lui non ci ha mai pensato. E il tamtam delle indiscrezioni che arrivano da via Paleocapa sembrano raffreddare anche la pista di nuovi partner. Al di là delle obiezioni di Marina e Piersilvio, del resto, sembra poco lungimirante vendere azioni di Cologno in un momento in cui, storicamente parlando, sono vicinissime ai loro minimi. Più facile magari in un futuro non troppo lontano che l’ex presidente del Consiglio si decida a dare il benvenuto come compagno d’avventura a qualche alleato che lo aiuti a tenere alta la bandiera del Milan. I rosssoneri, dopo aver bruciato 600 milioni del patrimonio di famiglia in un po’ di lustri, erano stato un po’ abbandonati a loro stessi nel segno dell’austerity negli ultimi anni. Poi, complici le urne e l’onta di una squadra nella parte destra della classifica , Berlusconi ha deciso di rimettere mano al portafoglio per portare a Milanello l’ex "mela marcia" Mario Balotelli. Ma con i tempi che corrono, anche in Fininvest sono lussi che in futuro sarà meglio condividere con un partner con le tasche piene.