Paolo Rodari, il Giornale 10/2/2013, 10 febbraio 2013
I CATTOLICI ESCONO DI SCENA: IL LORO VOTO NON È PIÙ DECISIVO
Il voto cattolico non esiste. Questo, non senza sorpresa, dicono i risultati dei vari sondaggi commissionati in vista delle elezioni politiche da diverse riviste e associazioni cattoliche. Perché loro, i cattolici, come tutti gli altri cittadini, non solo votano in ordine sparso, ma soprattutto votano sempre meno condizionati dai quei temi «non negoziabili» che sono invece in cima all’agenda dei vescovi. Certo, vita, famiglia, e sfide bioetiche sono importanti per i fedeli, ma anche per loro come per tutti la priorità resta il lavoro, con la crisi economica che smorza le speranze sul futuro.
Che l’incertezza regna sovrana lo dice anzitutto un sondaggio di Demopolis per conto di Famiglia Cristiana : i cattolici che si dicono incerti sul voto sono, a poche settimane dalle consultazioni, il 16 per cento, cui si aggiunge il 21 per cento di chi tendenzialmente potrebbe cambiare idea. Quanto ai rimanenti, per il centrosinistra di Bersani sembra propendere il 31 per cento dei cattolici praticanti ( contro il 34,5 della media degli elettori nazionali), per il centrodestra di Berlusconi il 27,5 (la media è del 27), per il centro di Monti- la cui coalizione comprende anche Fli e Udcil 25 per cento (contro la media nazionale del 15), per il Movimento 5 stelle di Grillo il 10,5 per cento (contro il 16), per la Rivoluzione civile di Ingroia il 3 per cento (contro il 4,5). Scrive non a caso Famiglia Cristiana : in queste elezioni, i credenti sembrano vivere «un singolare destino», sono cioè «praticamente scomparsi dalla scena politica». Non solo, sono anche scomparsi dai programmi: vista la poca rilevanza dei temi etici, questi stessi temi sono di fatto stati espunti dai programmi, a significare una volta di più l’irrilevanza.
Un altro sondaggio realizzato da Jesus , mensile di cultura e attualità religiosa della Società San Paolo, su un campione di trenta membri di Consigli pastorali parrocchiali di tutta Italia, ha rilevato che il 42 per cento dice che sceglierà il Pd di Bersani, il 15 la Scelta civica di Monti. Solo una persona sceglierà certamente Sel di Vendola e, se più incertezza c’è per il Pdl di Berlusconi o la Lega di Maroni, di certo c’è, invece, che nessun voto verrebbe dato alle liste di Grillo e Ingroia o all’Idv di Di Pietro. Una persona ha affermato di volersi astenere dal voto, ben 9 su 30 (il 27 per cento) sono ancora indecise. Anche per Jesus il tema dei «valori non negoziabili » non sembra essere un criterio fondamentale per la scelta politica, prevalendo argomentazioni di tipo «laico»come i motivi economico-finanziari, la protezione delle fasce deboli della popolazione o il ruolo del welfare .
Ha scritto recentemente Il Sussidiario , quotidiano on line della Fondazione per la Sussidiarietà, che sembra prevalere l’impressione che «per un cattolico appassionato al bene comune sarà davvero difficile destreggiarsi, ci sarà insomma da turare il naso», mancando ancora sulla scena «un’opzione davvero rassicurante sul modello europeo », e che soprattutto per i credenti i giochi veri «si faranno fuori dal Parlamento».
Per il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, i cattolici sembrano irrilevanti almeno nel primo periodo di campagna elettorale per «una debolezza culturale profonda», dovuta a un pensiero Stato-centralista. Parlando invece di questioni politiche, De Rita ha osservato su MicroMega che sembrerebbe che si cerchi di «conservare l’impeto della fede, anche a costo di perdere qualcosa della sua manifestazione pubblica, fatta anche della presenza in politica», perché la fede «vale più della espressione fattuale che ne deriva », soprattutto se ci si riferisce a «un territorio insidioso e controverso come quello abitato dai partiti». Per De Rita, quindi, il contributo dei cattolici a queste elezioni non si sente perché troppo frammentato e diviso, e i credenti credono troppo nello «Stato»e nel suo welfare , mentre a suo avviso l’originalità dei cristiani è proprio quella di sapere andare «oltre» lo Stato, verso un «policentrismo dei poteri».