Eugenio Occorsio, Affari&Finanza, la Repubblica 11/2/2013, 11 febbraio 2013
LA RINCORSA TECNOLOGICA DI MICHAEL DELL TABLET E SMARTPHONE CON L’AIUTO DI MICROSOFT
C’è una doppia lezione da apprendere nella parabola di Michael Dell, l’ultimo whizkid della “generazione dei garage”, quella dei Bill Gates e degli Steve Jobs, ad essere in servizio permanente effettivo (il fondatore della Microsoft ormai si occupa a tempo pienissimo della sua fondazione e gira per il terzo mondo ad inaugurare ospedali e scuole). La prima lezione è tecnologica: non si sopravvive più solo fabbricando e vendendo personal computer, occorre diversificarsi sia nei prodotti che nei servizi offerti e diventare dei fornitori a tuttotondo, possibilmente per le imprese che danno migliori margini, di tablet e/o di smartphone e contemporaneamente di software soprattutto nella famiglia del “cloud”. Ed è esattamente il passaggio che Dell vuole fare. Ma la seconda lezione è ancora più istruttiva: per fare questa trasformazione, quando si hanno le dimensioni della Dell (63,07 miliardi di dollari nel 2012 di fatturato, 3,49 miliardi di utile netto, 110.000 dipendenti) è utile, anzi può diventare necessario, non sentire il “morso” degli azionisti e del board che chiedono incalzanti ogni tre mesi risultati positivi e in progresso. «Abbiamo bisogno di cinque anni di tranquillità per fare la nostra complessa ristrutturazione», ha spiegato con semplicità lo stesso Dell.
Così, dal mix fra questi due elementi, è nata l’operazione della settimana scorsa. La Dell Compu-ter, basata fin dalla sua fondazione (1° maggio 1984) ad Austin, Texas, è stata ritirata dal Nasdaq dove era quotata dal 1987. Non è stata ancora fissata la data per l’ultima contrattazione ma si preannunciano brevi i tempi dell’affare, che tecnicamente sarà un merger con una società del Delaware, la Denali Co., costituita appositamente. Da quel momento la Dell diventerà una private company di proprietà di un gruppo di soci che l’ha acquistata (o meglio ha cominciato a rilevare via via le azioni dai possessori che le stanno presentando) al prezzo complessivo di 24,4 miliardi di dollari, 13 dollari per azione. Tanti? Pochi? Di certo assai meno dei 130 miliardi che la compagnia valeva nel 1999, al top della grande bolla Internet, ma abbastanza di più rispetto ai 18 miliardi cui era precipitata l’anno scorso nel punto più basso dopo tutti questi anni di montagne russe. E comunque, i nuovi proprietari pagheranno un premium, cioè un sovrappiù, di quasi il 20% rispetto agli 11 dollari per azione dell’inizio di febbraio, quando è stato fatto il prezzo.
Il pool dei nuovi azionisti è guidato dallo stesso Michael Dell, che rileva più o meno una quota equivalente a quella che aveva quando la compagnia era quotata, cioè il 15-16%, e quindi ha contribuito con circa 3 miliardi all’operazione. Con la quale, è scritto con chiarezza nei patti, si è garantito che sarà lui, che già è il Ceo, a condurre ancora l’azienda. Altri 2 miliardi vengono dalla Microsoft: è il dato tecnico più significativo e indica inequivocabilmente la direzione in cui si andrà, uno sviluppo delle tecnologie Windows da applicare a tutto il nuovo universo multimediale che si apre e non più solo ai personal computer, peraltro già d’abitudine equipaggiati con software della casa. Dell non diventa una divisione della Microsoft, come pure si era ipotizzato, bensì resta una società indipendente partecipata pur con tutti i prevedibili legami tecnologici. Il resto del contante è garantito da un consorzio di 15 banche coordinato dalla Silver Lake Partners (che ci mette di proprio 2,5 mi-liardi), una società di private equity non nuova ad avventure nella tecnologia: ha investito in molte “stelle” del settore a partire da Google, e ha tra l’altro effettuato qualche anno fa un’operazione simile a quella Dell con Skype, che venne pure tolta dal mercato.
Il tutto è fortemente accentrato nelle mani di Michael Dell, ed equivale a un’attestazione di fiducia personale totale. Del resto, l’impero che ha creato dal nulla è abbastanza rimarchevole. Ha 19 anni nel 1984 quando, dalla stanzetta del suo college nell’università del Texas (dove è matricola di medicina per desiderio della mamma stockbroker e del papà odontotecnico) comincia ad assemblare e vendere computer ai colleghi studenti, procurandosi i pezzi in tutti i possibili discount. Per lui questo misto fra affari e tecnologia è una passione ancora precedente. A 12 anni lavora come lavapiatti in un ristorante cinese di Austin per potersi comprare la collezione di francobolli, ma a 15 trova un impiego più confacente presso il quotidiano Houston Post, che gli riconosce una piccola percentuale sugli abbonamenti che procura compulsando migliaia di dati individuali in tutti i possibili databaseche riesce a consultare, dall’anagrafe del Texas fino agli elenchi del telefono e alle liste elettorali, rielaborandoli e infine segnalando al giornale i potenziali lettori. Uno scherzetto che gli vale 18mila dollari nel solo ultimo anno di liceo.
Michael lascia l’università alla fine dello stesso 1984, proprio come i suoi guru Jobs e Gates, e crea una vera e propria società. La Dell Computer cresce rapidamente e nel 1987, anno della quotazione, già fattura 60 milioni di dollari. Contemporaneamente costruisce le prime fabbriche vere e proprie, sempre senza troppe spese di ricerca e sviluppo ma costruendo linee di assemblaggio dei pezzi raccolti qua e là. Le vendite poi avvengono per corrispondenza: una novità nell’hitech che permette agli acquirenti di risparmiare anche mille dollari a “macchina” (su un costo di due-tremila) grazie all’eliminazione di consulenti, negozi, distributori. Nel 1992 l’azienda entra nell’elenco delle 500 società quotate più grandi d’America redatto da Fortune e lui, che ha 27 anni, è il più giovane in assoluto fra tutti i Ceo. Un anno dopo inaugura un maxiquartier generale alla periferia di Austin, costruito grazie a massicci sconti alla tassa sulle proprietà e ad un finanziamento pubblico di 50 milioni tax-free. Il sindaco repubblicano della città all’inaugurazione lo chiama «un cittadino modello »: un feeling con il “Grand Old Party” (come vengono chiamati in America i repubblicani) che sarà confermato qualche anno più tardi quando George W.Bush lo chiamerà per guidare il “consiglio tecnologico” che tanta parte avrà nella sua vincente campagna elettorale. E’ la fine del 1999: Dell vive il suo momento di massimo splendore, le continue rivalutazioni del titolo gli hanno permesso di espandere l’attività tramite una ricca serie di acquisizioni pagate con azioni, le sue fortune personali sono alle stelle tanto che nel 2000 sarà il più ricco texano di tutti i tempi (più dei petrolieri e dei proprietari terrieri dei decenni precedenti) e lui festeggia donando 250mila dollari al comitato elettorale repubblicano e comprandosi due ranch per 75 milioni di dollari. Scala le classifiche di Forbes fino ad arrivare al 15° posto con una fortuna personale di oltre 25 miliardi di dollari.
Ma doveva anche essere l’inizio della crisi che durerà praticamente fino ad oggi. Succede allo stesso tempo che l’esplosione della bolla Internet abbatte il valore delle azioni, destinate a non riprendere mai più i livelli precedenti, ma soprattutto che cambia del tutto il mercato. I produttori di pc sembrano condannati a morte certa. Nel 2004 la Hewlett-Packard compra la Compaq, che era in quel momento il maggior costruttore di computer del mondo, e come conseguenza va quasi in bancarotta, Carly Fiorina, il Ceo artefice dell’acquisizione Carly Fiorina ci rimette il posto, l’azienda imbocca una crisi le cui conseguenze si fanno sentire ancora oggi a quasi dieci anni di distanza. Nel 2005 perfino l’Ibm getta la spugna e cede la gloriosa produzione di pc alla cinese Lenovo. Resta lui, Dell, a tener duro. Ma la sua corsa alle nuove produzioni, come si diceva i tablet e gli smartphone, e intanto la trasformazione a marce forzate in una compagnia di software e servizi, conosce continui stop per l’insofferenza degli azionisti i cui titoli continuano a sgretolarsi (anche ora che ha venduto lo studio legale newyorkese Levi & Korsinsky sta coordinando una class-action sostenendo che il potenziale del titolo era almeno il doppio di quanto conseguito). Insomma, una tensione continua che rischia di inceppare un meccanismo complesso rendendo impossibile la trasformazione. Finché la scelta di riunire i possibili alleati e go private, fare tutto in casa. Come ai tempi del college.