Roberto Mania, Affari&Finanza, la Repubblica 11/2/2013, 11 febbraio 2013
L’ULTIMO ASSALTO ALLA CASSAFORTE CDP
Ora hanno tutti trovato una banca da spolpare. E non è il Monte Paschi di Siena con la banda del 5 per cento. È l’assalto dei partiti alla Cassa depositi e prestiti invece che è cominciato. Ancora per un paio di settimane ci sarà la campagna elettorale con tutte le sue proposte sgangherate, più che shock; poi inizierà — basta leggere tra le righe dei programmi le intenzioni dei partiti o dei cartelli elettorali — l’inevitabile lottizzazione in Via Goito, sede dell’ultra centenaria banca di raccolta del risparmio postale con le nomine (ad aprile) del nuovo consiglio di amministrazione e l’uso progressivo delle risorse del polmone finanziario del ministero dell’Economia ai fini più svariati. Sullo sfondo, ma non troppo, il potere delle fondazioni bancarie. Ancora loro.
Socie stabili (ancorché diluite, con la conversione delle azioni risparmio in ordinarie, poco sotto il 20 per cento ma con il diritto di nominare il presidente) della Cassa. Davvero il sistema Italia.
Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, presidente e amministratore delegato, appaiono blindati. Giuseppe Guzzetti, potente presidente dell’Acri, ha già detto che andranno confermati per gli ottimi risultati che hanno portato a casa. E neanche il centrosinistra, se dovesse prevalere, come dicono i sondaggi, intende rimuoverli. La partita si giocherà nel rinnovo dei membri del consiglio dove siedono, tra gli altri il leghista di linea maroniana, Cristian Chizzoli, e l’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, fortemente voluto da Tremonti. Che questa volta è difficile che possa avere voce in capitolo. Dopo tanti anni andrà in tribuna la cordata che proprio da Tremonti passava per Vittorio Grilli, ministro dell’Economia uscente, e arrivava a Vincenzo Fortunato, capo di gabinetto in Via XX settembre. La prossima è una partita che metterà alla prova e per la prima volta sotto i riflettori il neo direttore generale del Tesoro, Vincenzo Lavia. Ma la partita è anche del potere bancario.
Nelle agende dei partiti che si candidano a governare l’Italia, infatti, c’è la Cdp ma non c’è traccia di riforma delle fondazioni perché escano definitivamente dai board delle banche. Nessuno lo propone ma soprattutto nessuno ci ha pensato, al di là delle chiacchiere elettorali sulla Fondazione tramortita di Siena. E la ragione per cui i partiti non hanno scritto nulla sulle fondazioni è perché esse costituiscono lo strumento attraverso il quale la politica (localistica, direbbe Pier Luigi Bersani) condiziona l’azione degli istituti di credito e contribuisce a scegliere o a defenestrare il management, proprio come dimostra la cacciata da Unicredit di Alessandro Profumo da parte delle fondazioni. E nessuno, di conseguenza, ha nemmeno pensato di proporre di far uscire le fondazioni dalla Cassa per far entrare soci effettivamente privati. Tutto si tiene.
Nelle agende dei partiti c’è dunque la Cassa depositi e prestiti, una sorta di new entry rispetto al passato, prima certamente del 2003 (ministro dell’Economia Giulio Tremonti), quando la Cdp da esclusivo finanziatore degli enti locali a tassi vantaggiosi, è stata trasformata in società per azioni, fuori formalmente dal perimetro della pubblica amministrazione ai fini dei vincoli di bilancio europei, più che una banca un soggetto di intermediazione finanziaria con la possibilità di acquisire partecipazioni in aziende industriali. Dopo la stagione delle privatizzazioni, con la nuova Cassa depositi e prestiti, la presenza dello Stato nell’economia ha ripreso nei fatti ad estendersi, fino all’ultima partecipazione, “ereditata” dalla Banca d’Italia, del 4,5 per cento delle Generali. E proprio il fallimento delle politiche di austerity disegnate dai modelli econometrici del Fondo monetario internazionale e applicate pedissequamente da diversi governi europei, compreso il nostro, sta ridando forza all’idea di un interventismo pubblico a fini redistributivi. Così Joseph Stiglitz e Paul Krugman sono stati adottati pure dalla destra. Almeno in Italia.
Da qui l’exploit della Cassa depositi e prestiti — potenziale protagonista in operazioni di sistema dove più che il mercato c’entra la politica — in questa campagna elettorale. L’ultima trovata è quella di Silvio Berlusconi. E riguarda la proposta assai bislacca di restituzione e di cancellazione dell’Imu sulla prima casa. Propone il Cavaliere: le risorse (in tutto circa 8 miliardi di euro) arriveranno dall’accordo con la Svizzera (intesa che però non c’è ancora e solleva dubbi a livello europeo) per la tassazione delle attività finanziarie svolte tra i Cantoni da nostri connazionali. In attesa che arrivi l’accordo con Berna, la liquidità sarà anticipata, previa intesa con il prossimo esecutivo, proprio dalla Cassa e da eventuali prestiti da parte del sistema bancario. Insomma la Cassa farebbe da banca, presterebbe i soldi (in questo caso lo Stato assumerebbe un debito) e ne incasserebbe gli interessi. Operazione che fa storcere il naso a molti economisti. Ma non è questo il punto. Il punto è l’assalto al bottino. Perché la Cassa ha i soldi (230 miliardi circa di stock di raccolta tra quasi 25 milioni di risparmiatori) per giustificare la copertura di qualsivoglia operazione. Questa è la novità. E per evidenti ragioni di correttezza istituzionale la Cdp ha scelto di restare silente.
Ma il connubio perverso tra Cdp e fondazioni emerge in un passaggio (il punto 8) del programma del Popolo delle libertà: «Utilizzo della Cassa depositi e prestiti, con particolare attenzione alle vocazioni territoriali degli azionisti, per finanziare l’innovazione e garantire i crediti alle esportazioni». Vuol dire che le fondazioni servono a fini localistici e dunque devono restare anche in Via Goito.
Più ortodossa l’impostazione del Pd, sostenuta in buona parte pure dalla Cgil di Susanna Camusso nel suo ambizioso Piano del lavoro. Dice Bersani che la Cdp «può essere un’importante strumento di politica industriale ». Uno strumento di supporto al mondo della ricerca e dell’innovazione. Ma il progetto che hanno messo a punto gli uomini del segretario del Pd prevede, oltre che una serie di interventi sul fronte delle infrastrutture, un rafforzamento significativo dell’azione della Cassa per il finanziamento delle imprese estendendo, tra l’altro, i prestiti a medio termine anche alle aziende cosiddette “mid cap”, non comprese cioè nel perimetro delle pmi. Il Pd pensa poi che vada abrogata la norma che impedisce alla Cdp di finanziare direttamente le piccole imprese obbligandola ad agire attraverso le banche. I modelli presi a riferimento sono quelli francese e tedesco dove il finanziamento è erogato direttamente. C’è nel piano democrat anche l’ipotesi di istituire un Fondo per le ristrutturazioni industriali nel quale proprio la Cassa dovrebbe apportare una parte delle risorse. Dunque siamo sì nel solco dell’attività che la Cdp già svolge, ma con un’estensione notevole. Che, in ogni caso, si ferma prima di quella ipotizzata dalla Cgil che chiede una riforma della Cassa e che, par di capire, dovrebbe rappresentare il perno di una nuova stagione di nazionalizzazioni. Ha detto al Fogliola Camusso: «Gli italiani devono sapere quali investimenti fa la propria Cassa depositi e bisogna uscire dall’equivoco per cui la Cdp troppo spesso sembra essere uno strumento del ministero del Tesoro e non del governo del paese».
Anche il professor Mario Monti ha la sua idea su come utilizzare la Cdp. Ha sostenuto che andrebbe riproposta una legge tipo la Sabatini del 1965 per finanziare l’acquisto dei macchinari di produzione da parte delle piccole e medie imprese. «Un ruolo da pivot — secondo il premier uscente — potrebbe essere rivestito dalla Cassa depositi e prestiti, simile a quanto fatto in precedenza dal Mediocredito». L’ala liberal del cartello elettorale di Scelta civica, quella rappresentata dai montezemoliani di Italia Futura, aveva proposto «un piano di dismissioni che tocchi anche i santuari pubblici o pseudo pubblici. La Cassa depositi e prestiti, in cui investitori istituzionali esteri dovrebbero prendere il posto delle fondazioni bancarie». Suggerimento che non è entrato nell’Agenda e nemmeno nelle successive integrazioni elettorali.
Per il padre del nuovo corso della Cassa, cioè Giulio Tremonti che alle elezioni va con la sua lista Lavoro e libertà, si deve fare come la Germania: una banca nazionale che faccia “Credito per l’economia”. «Se la Kfw va bene in Germania, perché non replicarla subito anche in Italia?». Oscar Giannino, leader della lista liberista “Fare per fermare il declino” ha proposto di utilizzare la Cdp per pagare i debiti che la pubblica amministrazione ha nei confronti dei suoi fornitori. In questa carrellata c’è posto pure per l’Ance, l’associazione dei costruttori, che ha riproposto le vecchie cartelle fondiarie con le risorse, ça va sans dire, della Cassa. Ma questa, alla fine, sarà in grado di resistere all’assalto?