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 2013  febbraio 11 Lunedì calendario

QUEL VOTO DI SCAMBIO CHE UCCIDE LA DEMOCRAZIA


UNA parte consistente di Italia vota politici che poi disprezza. Una fetta consistente di voti viene direttamente controllata con un meccanismo scientifico e illegale. Il più importante e probabilmente il più difficile da analizzare, quello con cui i partiti evitano sistematicamente di fare i conti: il voto di scambio. A noi sembra di vivere in attesa di un perenne punto di svolta e in questo clima di incertezza siamo portati a pensare che il disagio creato dalla crisi economica, dalla corruzione politica, dalla cattiva gestione delle istituzioni, da venti anni di presenza di Berlusconi non potrà continuare ancora a lungo. Gli osservatori internazionali continuano ad augurarsi che gli italiani prenderanno finalmente coscienza di ciò che gli è accaduto, di tutto quello che hanno vissuto. E prenderanno le dovute misure. Che ne trarranno le giuste conseguenze. Che non cadranno negli stessi errori, nelle stesse semplificazioni. Ci si convince sempre di più di essere a un passo dal cambiamento perché le persone ovunque — in privato e negli spazi pubblici: dai bus ai treni, dai tram ai bar, dai ristoranti a chi viene intervistato in strada — appaiono stanche, disgustate. Vorrebbero fare piazza pulita, ma si trovano al cospetto di un sistema che ha tutti gli anticorpi per rimanere immutabile. Per restare sempre uguale a se stesso. Per autoconservarsi.

ESISTONO due tipi di voto di scambio. Un voto di scambio criminale ed un voto di scambio che definirei «acceleratore di diritti». In un paese dai meccanismi istituzionali compromessi, la politica diventa una sorta di «acceleratore di diritti», un modo — a volte l’unico — per ottenere ciò che altrimenti sarebbe difficile, se non impossibile raggiungere. Per intenderci: ci si rivolge alla politica per chiedere, talvolta elemosinare favori. Per pietire ciò che bisognerebbe avere per diritto. Mentre altrove nel mondo si vota un politico piuttosto che il suo avversario per una visione, un progetto, perché si condividono i suoi orientamenti politici, perché si crede al suo piano di innovazione o conservazione, qui da noi — e questo è evidente soprattutto sul piano locale — non è così. In un contesto come il nostro, programmi e dibattiti, spesso servono a molto poco servono alle elite, alle avanguardie, ai militanti. A vincere, qui da noi, è piuttosto il voto utile a se stessi.

IL DISPREZZO PER LA POLI TICA
In breve, una grossa fetta di Italia che nei sondaggi e nelle interviste si esprime contro vecchi e nuovi rappresentanti politici, spesso vota persone che disprezza, perché unici demiurghi tra loro e il diritto, tra loro e un favore. Li disprezza, ma alla fine li vota. Questo meccanismo falsa completamente la consultazione elettorale. Perché a causa della sfiducia nella politica, pur di ottenere almeno le briciole di un banchetto che si immagina lauto e al quale non si è invitati, si è pronti a dare il proprio voto a chi promette qualcosa o a chi ha già fatto a sé o alla propria famiglia un favore. I vecchi potentati politici anche se screditati oggi possono contare su centinaia di assunzioni pubbliche o private fatte grazie alla loro mediazione e da questi lavoratori avranno sempre un flusso di voti di scambio garantito. In questo senso è fondamentale votare politici di navigata presenza perché sono garanzia che quel diritto o quel favore promesso verrà dato. In questa campagna elettorale, come nelle scorse, non si è parlato davvero di come «funziona» il voto di scambio, di come l’Italia ne sia completamente permeata. La legge recentemente approvata in materia di contrasto alla corruzione, sul punto, è assolutamente insufficiente. L’elettore, promettendo il proprio voto, ha la sensazione di ricavare almeno qualcosa: cinquanta euro, cento euro, un cellulare. Poca roba, pochissima: in realtà perde tutto il resto. La politica dovrebbe garantire ben altro. La capacità effettiva di ripensare un territorio, non certo l’apertura di un circolo per anziani o un posto auto. In cambio di una sola cosa, il politico che voti ti toglie ciò che sarebbe tuo diritto avere.
Ma è ormai difficile far passare questo messaggio, anche tra gli elettori più giovani. Sembra tutto molto semplice, ma è difficile far comprendere a
chi si sente depauperato e privato di ogni cosa che il modo migliore per recuperare brandelli di diritti non è svendere il proprio voto per un favore. È tanto più difficile perché spessissimo ciò che l’elettore si trova costretto a chiedere come fosse un favore, sarebbe invece un suo diritto, il cui adempimento non è impedito, ma è fortemente (e a volte artificiosamente) rallentato dal mal funzionamento delle Istituzioni. Qui non si sta parlando di persone che truffano o di comportamenti sleali, ma di chi ha difficoltà a vedersi riconosciuta una pensione di invalidità necessaria a sopravvivere, o l’assegnazione di un alloggio popolare piuttosto che un posto in ospedale cui avrebbe diritto. Il disincanto si impossessa delle vittime delle lentezze burocratiche, che presto comprendono che per velocizzare il riconoscimento di un diritto sacrosanto devono ricorrere al padrino politico, cui sottostare poi per un tempo lunghissimo, a volte per generazioni, come accadeva con i vecchi capi democristiani in Campania e nel Sud in generale. Lo stesso accade talvolta per l’ottenimento di una licenza commerciale
o per poter ottenere i premessi necessari alla apertura di un cantiere. Diritti riconosciuti dalla legge il cui esercizio, da parte del cittadino, necessita di una previa mediazione politica. E la politica di questo si è nutrita. Di questo ricatto. Ribadisco: non sto parlando di chi non merita, di chi non ha i requisiti, di chi sta forzando il meccanismo legale per ottenere un vantaggio, ma di chi avrebbe un diritto e non è messo in condizione di goderne.
Questo muro di gomma ostacola qualunque volontà di rinnovamento, poiché a giovarne nell’urna sarà sempre e soltanto il vecchio politico e la vecchia politica, non il nuovo. Il vecchio che ha rapporti. Per comprendere i meccanismi di voto di scambio, la Campania è una regione fondamentale, insieme alla Sicilia e alla Calabria. Da sempre, dai tempi delle leggendarie campagne elettorali di Achille Lauro, che dava la scarpa sinistra prima del voto e quella destra dopo. Ma nel resto d’Italia non si può dire che le cose vadano diversamente. Insomma, il meccanismo è rodato, perfettamente rodato e si interrompe solo quando il proprio voto viene percepito come prezioso, come importante
per il cambiamento, tanto che non te la senti di svenderlo anche per ottenere ciò che per diritto ti sarebbe dovuto. E ancora una volta, questa campagna elettorale, in pochissimi ambiti si sta declinando sulle idee, quanto piuttosto su un generico rinnovamento a cui il Paese non crede. Più spesso si risponde con rabbia: tutti a casa, siete tutti uguali. L’allarme consistente sul voto di scambio in queste ore è in Lombardia.

A SPESE DEGLI ELETTORI
Ma su chi accede alla politica distrattamente, fa leva il politico di vecchio corso, pronto a riceverti nella sua segreteria e a mantenere la promessa fatta a carica ottenuta. Il politico che non dimentica perché ha un apparato che vive a spese degli elettori, un apparato che è un orologio svizzero: unica cosa perfettamente funzionante in una democrazia claudicante. Ecco perché è sbagliato sottovalutare la capacità berlusconiana non di convincere, ma di riattivare e di rendere nuovamente legittima questa capacità clientelare. Berlusconi non va in tv convinto di poter di nuovo persuadere, ma ci va con la volontà di rinfrescare la memoria a quanti hanno dimenticato la sua capacità di ricatto. Ci va per procacciarsi i numeri sufficienti a garantire, ancora una volta, la totale ingovernabilità del Paese. Ci va perché sa che ingovernabilità significa poter di nuovo contrattare. Quindi ecco le solite promesse: elargirà pensioni, toglierà tasse e, se anche non ci riuscisse, chiuderà un occhio, strizzandolo, a chi non ne può più. Berlusconi va a ribadire che gli altri non promettono nulla di buono. A lui non serve convincere di essere la persona giusta. A lui basta convincere i telespettatori che gli altri sono l’eterno vecchio e lui l’eterno nuovo. Nel momento in cui, quindi, non esiste un’idea di voto che cambi il paese, riparte il meccanismo della clientela. Dall’altra parte, la sensazione è che si preferisca campare di rendita. I «buoni» votano a sinistra. E su questi buoni si sta facendo troppo affidamento. Della pazienza di questi buoni si sta forse abusando. Se, intercettando un diffuso malcontento, Berlusconi promette la restituzione dell’Imu e un condono tombale, dall’altra parte non si fanno i conti con una tassazione ai limiti della sopportazione. Da un lato menzogne, dall’altro nessuna speranza, silenzio. E i sondaggi rispecchiano questa situazione. Rispecchiano quella quantità abnorme di delusi che solo all’ultimo momento deciderà per chi votare e deciderà l’esito. E su molti delusi il voto di scambio inciderà negli ultimi giorni.
Ogni partito in queste elezioni, come nelle precedenti, ci ha tenuto a conservare i suoi rapporti clientelari. Ecco perché gli amministratori locali sono così importanti: sono loro quelli che possono distribuire immediatamente lavoro. È nel sottobosco che si decidono le partite vere, che si fanno largo i politici disinvolti, quelli che risolvono i problemi spinosi, permettendo a chi siede in Parlamento
di evitare di sporcarsi. E qui si arriva al voto di scambio mafioso che segue però logiche diverse. Le organizzazioni, nel corso degli anni, hanno cambiato profondamente il meccanismo dello scambio elettorale. Il voto mafioso degli anni ’70 e ’80 era in chiave manifestamente anticomunista, tendeva a considerare il Pci come un rischio per l’attenzione che dava al contrasto alle mafie sul piano locale, ma soprattutto perché toglieva voti al partito di riferimento, che è a lungo stato la Dc. Lo scopo era cercare di convogliare la maggior parte dei voti sulla Democrazia cristiana, voti che il partito avrebbe ottenuto ugualmente — è importante sottolinearlo — ma il ruolo delle organizzazioni era fondamentale per il voto individuale. Diventavano dei mediatori imprescindibili. Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, boss della Nuova Famiglia, raccontano di come negli anni ‘90 non c’era politico che non andasse da loro a chiedere sostegno perché quel determinato candidato potesse ottenere una quantità enorme di voti. La camorra anticipava i soldi della costosa campagna elettorale per manifesti, per acquistare elettori, soldi che il partito al candidato non dava. In cambio i clan sarebbero stato ripagati in appalti.

MISTER 100 MILA VOTI
La storia di Alfredo Vito «Mister centomila voti», impiegato doroteo dell’Enel che prende negli anni ‘90 più voti di ministri come Cirino Pomicino e Scotti, applica una teoria che fa scuola al suo successo. «Do una mano a chi la chiede»: ecco la sintesi della logica che condiziona la campagna elettorale. I veri mattatori delle elezioni non erano — e non sono — quasi mai nomi conosciuti sul piano nazionale, ma leader indiscussi sul piano locale. Questo dà esattamente la cifra di cosa poteva accadere, della capacità che le organizzazioni avevano di poter convogliare su un determinato candidato enormi quantità di voti. E non è la legge elettorale in sé a poter ostacolare gli esiti nefasti del voto di scambio, che è frutto evidentemente di arretratezza economica e quindi culturale. La dimostrazione di questa sostanziale ininfluenza è data dal fatto che, se da un lato la selezione operata dai partiti non consente al cittadino di poter scegliere i propri rappresentanti, favorendo viceversa il «riconoscimento di un premio» per chi si è sobbarcato il gioco sporco dello scambio elettorale a livello locale, dall’altro, la scelta diretta del candidato — in un sistema che rifugge la trasparenza quasi si trattasse di indiscrezione — trasforma la competizione elettorale in una mera questione di budget, nella quale la capacità di acquisto dei voti diviene determinante.
Oggi, la maggior parte delle organizzazioni criminali sostengono anche candidati non utili ai loro affari, semplici candidati che hanno difficoltà a essere eletti. Vendono un servizio. Vai da loro, paghi e mettono a tua disposizioni un certo numero
di voti (emblematico il caso di Domenico Zambetti, che avrebbe pagato 200 mila euro per ottenere 4 mila voti alle elezioni del 2010). Questo significa che puoi anche non essere eletto le organizzazioni ti garantiscono solo un pacchetto di voti non tutto il loro impegno elettorale di cui sarebbero capaci. In alcuni casi candidano direttamente dei loro uomini in questo caso in cambio avranno accesso alle informazioni sugli appalti, avranno capacità di condizionare piani regolatori, spostare finanziamenti in settori a loro sensibili, far aprire cantieri, entrare nel circuito dei rifuti dalla raccolta alle bonifiche delle terre contaminate (da loro).
Con un pacco da cento di smartphone si ottengono 200 voti in genere. Quello della persona a cui va lo smartphone e quello di fidanzati o familiare.
Spese pagate ai supermercati per un due settimane/ un mese. Sconti sulla benzina (fatti soprattutto dalle pompe di benzina bianche). Bollette luce, gas, telefono pagate. Ricariche telefonini. Migliaia di voti saranno raccolti con uno scambio di questo tipo.
Difficilissimo da dimostrare siccome chi promette è raramente in contatto con il politico. Quindi anche se il mediatore è scoperto questi dirà che era sua iniziativa personale per meglio comparire agli occhi del politico aiutato escludendolo quindi da ogni responsabilità nel voto di scambio. Nel periodo delle elezioni regionali 2010, la Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha aperto un’indagine sulla compravendita di voti. In Campania i prezzi oscillerebbero da 20 a 50 euro, 25 subito e 25 al saldo, cioè dopo il voto. In alcuni casi i voti vengono venduti a pacchetti di mille. Praticamente c’è una specie di organizzatore che promette al politico 1000 voti in cambio di 20.000 o 50.000 euro. Questa persona poi ripartisce i soldi tra le persone che vanno a votare: pensionati, giovani disoccupati. In Campania un seggio in Regione può arrivare a costare fino a 60.000 euro. In Calabria te la cavi con 15.000. Con 1000 euro in genere un capo-palazzo campano procura 50 voti. Il capo-palazzo è un personaggio non criminale che riesce a convincere le persone che solitamente non vanno a votare a votare per un tal politico. E come prova del voto dato
bisogna mostrare la foto della scheda fatta col telefonino. In Puglia un voto può arrivare a valere 50 euro, lo stesso prezzo a cui può arrivare anche in Sicilia. A Gela proposto pacchetti di 500 voti a 400 euro. 400 euro per 500 voti: 80 centesimi a voto!

IL MECCANISMO PRINCIPE
E poi c’è il il meccanismo principe con cui si controllano i voti e si paga ogni singolo voto lo si ottiene con il metodo della «scheda ballerina». L’elettore che vuole vendere il proprio voto va dal personaggio che paga i voti riceve la scheda elettorale già compilata (regolare fatta uscire dal seggio) se la mette in tasca poi va al seggio, presenta il proprio documento di riconoscimento e riceve la scheda regolare. In cabina sostituisce la scheda data già compilata con la scheda che ha ricevuto al seggio, che si mette in tasca. Esce dalla cabina elettorale e vota al seggio la scheda precompilata. Poi va via. Torna dà la scheda non votata e riceve i soldi. La scheda non votata e consegnata viene compilata, votata, e data all’elettore successivo, che la prende e torna con una pulita. E avrà il suo obolo. 50 euro, 100 euro, 150 o un cellulare. O una piccola assunzione se è fortunato. Così si controlla il voto. Nessuno ha parlato di questo meccanismo, la scheda ballerina non ha interessato il dibattito elettorale. Eppure è più determinante di una tassa, più incisiva di una riforma promessa, più necessaria di una manovra economica.
In questa campagna elettorale, come in tutte le precedenti, non si è fatto alcun riferimento al voto di scambio sia come «acceleratore di diritti» sia quello criminale. Avrebbero dovuto esserci spot continui, articoli diffusi, che sensibilizzassero gli elettori a non vendere il proprio voto, a non cedere alle promesse di scambio. Si sarebbero dovuti sensibilizzare gli elettori a non decidere gli ultimi giorni di voto in cambio di qualche favore. Ma se non lo si è fatto significa che in gioco ci sono interessi enormi che andrebbero analizzati caso per caso. Nel 2010 provocando da queste queste stesse pagine invocammo l’OSCE (l’organizzazione per la sicurezza in Europa, ndr) a controllo del voto regionale mostrando come il voto di scambio fosse tritolo sotto la democrazia. L’OSCE non recepì l’appello come una provocazione ma come un serio allarme e rispose di essere disponibile ad intervenire e controllare il voto. Ma doveva essere invitata a farlo dal governo. Cosa che non fu fatta.
Con queste premesse, chi può dire cosa accadrà tra qualche giorno? Il monitoraggio sarà come sempre blando, affidato a singole persone o a gruppi isolati che denunceranno irregolarità. Ma dove nessuno vorrà farsi garante di trasparenza, chi verrà a dirci come si saranno svolte le elezioni? E ad oggi nessuno schieramento ha affrontato il tema del voto di scambio. Terribile nemico o fenomenale alleato?