Pierluigi Battista, Corriere della Sera 11/02/2013, 11 febbraio 2013
PRIVATIZZARE LA RAI, ULTIMO TABU’ DEI PARTITI
Avete notato che l’unica tassa che Berlusconi non promette di togliere è il canone Rai? Avete notato che in tutto il gran parlare di dismissioni del patrimonio pubblico inerte, di privatizzazioni, di spending review, l’unica privatizzazione indicibile, tabù, neanche presa in considerazione sia quella della Rai, malgrado un inequivocabile verdetto referendario, ovviamente totalmente ignorato dall’oligarchia dei partiti, avesse indicato il contrario? Avete notato che persino il fustigatore della casta, il vendicatore del popolo vessato dai partiti, insomma Beppe Grillo, non dica nulla sulla necessità di rispettare la sovranità popolare e dare compimento a un referendum in cui gli italiani si dicevano d’accordo sulla privatizzazione della Rai?
Mentre gli italiani sono costretti a pagare la gabella più ingiusta, antiquata, antistorica, nientemeno che un balzello legato, nell’era di Internet, dei tablet e degli smartphone, al semplice «possesso» di un apparecchio televisivo a tutto vantaggio di un singolo soggetto, la Rai appunto, la campagna elettorale ignora pudicamente l’azienda televisiva che ci si ostina a definire «servizio pubblico». Come mai? Perché? Se è vero che la privatizzazione della Rai, come dice il partito Rai legato alla sinistra, dovrebbe favorire Berlusconi, perché Berlusconi l’ha espunta dai suoi discorsi? Non sarà perché il «servizio pubblico» è un pascolo troppo ghiotto per essere lasciato nientemeno che alla libertà del mercato e degli utenti? Non sarà che i «lotti» così generosamente elargiti ai partiti nell’azienda pubblica dell’informazione e dell’intrattenimento sono un beneficio così trasversale da suggerire un’improvvisa e idilliaca (e molto sospetta) pax nel mezzo della campagna elettorale più rissosa e verbosa della nostra storia?
Niente, silenzio assoluto. Si dice che le casse pubbliche potrebbero incamerare anche da una parziale e intelligente cessione della tv di Stato (non una svendita sconsiderata, come dicono i mandarini dello statalismo Rai) una cospicua somma che in tempi di magra non dovrebbe poi essere trattata con tanta snobistica indifferenza. Ne guadagnerebbero la libertà e il pluralismo dell’informazione, emancipati dal giogo dei partiti che trattano il giornalismo «pubblico» come cosa loro, malgrado l’eccellente preparazione della stragrande maggioranza dei giornalisti Rai. Ne guadagnerebbero i cittadini finalmente liberi dall’obbligo di una tassa (non la chiamano nemmeno così, colmo dell’ipocrisia) che è un onere inutile e ingiustificato. Ne guadagnerebbe la libertà di scelta dei telespettatori, che potrebbero beneficiare di un’offerta più ricca e differenziata. Ne guadagnerebbe la democrazia, visto che in un referendum disatteso dai partiti lottizzatori, gli italiani si sono pronunciati a favore della privatizzazione della Rai. Ma è inutile sperare: anche quest’anno incasseranno il canone. Non a vantaggio del «servizio pubblico», ma del sistema dei partiti. Peccato.
Pierluigi Battista