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 2013  febbraio 11 Lunedì calendario

QUINDICI DIPENDENTI E TRE MAGISTRATI PER UN SOLO DETENUTO - Sulla soglia dell’ultimo carcere militare d’Italia, venerdì c’era un uomo distinto con una valigia in mano

QUINDICI DIPENDENTI E TRE MAGISTRATI PER UN SOLO DETENUTO - Sulla soglia dell’ultimo carcere militare d’Italia, venerdì c’era un uomo distinto con una valigia in mano. Era un condannato e stava varcando quella soglia ignorando forse il primato che andava a stabilire: unico detenuto nella Penisola per reati militari. Il primo recluso dopo che dall’autunno scorso fra le mura del penitenziario campano di Santa Maria Capua Vetere non se n’è visto nemmeno uno. Proprio così, per mesi l’Italia non ha avuto un solo carcerato da codice penale militare (ce ne sono altri 70 ma per reati ordinari). Il che, se da una parte viene indicato come un record di civiltà oltre che storico, dall’altra pone un serio problema di costi. Su questi rari detenuti, infatti, lavora da anni un’intera struttura pubblica: il Tribunale militare di Sorveglianza, composto da tre magistrati e quindici dipendenti fra civili e militari. Per l’ufficio stipendi del ministero il conteggio è presto fatto: circa un milione di euro l’anno di sole retribuzioni. Magistrati, cancellieri e addetti alle segreterie non fanno solo quello ma la funzione prioritaria, va da sé, è la sorveglianza dei detenuti. «Ne abbiamo anche 2 ai domiciliari e su altre 5 persone stiamo decidendo su eventuali misure alternative alla detenzione. Nel 2012 e 2013 abbiamo seguito 50 posizioni», precisano da palazzo Cesi, la cinquecentesca sede capitolina del Tribunale militare. Insomma, il problema c’è, soprattutto ai tempi della spending review. Ed è per questa ragione che anche un magistrato di lungo corso come Antonino Intelisano, procuratore generale militare alla Corte di Cassazione, lo dice chiaro: «Quel tribunale io lo taglierei per insignificanza statistica dei dati. Della questione si era occupato anche il nostro Csm che aveva anche sollecitato in tal senso la politica. D’altra parte se si dovessero applicare i nuovi parametri del ministero della Giustizia i conti saltano». Per forza: l’indicatore di efficienza è 382.191 abitanti per tribunale. Ebbene, la giustizia militare di tribunali ne ha tre (Verona, Roma e Napoli) e giudica su circa 310 mila militari. Se il criterio fosse dunque quello del bacino servito, il legislatore dovrebbe eliminarli in blocco. Anche l’ex magistrato di Sorveglianza Isacco Giorgio Giustiniani, oggi gip, allarga le braccia: «I numeri sono ridotti, bisogna però trovare una soluzione che difenda le professionalità». E pure Maurizio Block del Csm militare: «In queste condizioni siamo inutili e dispendiosi: o ci razionalizzano o prendiamo atto che non serviamo più a nulla e aboliamo tutto con una riforma costituzionale». Domande: perché la giustizia militare si è così svuotata? Per quale ragione la politica non fa nulla? La ragione fondamentale del crollo dell’attività (dalle oltre 1.500 sentenze annuali del periodo 2000-2004 si è passati alle 206 del 2011) viene indicata nel venir meno dal 2005 della leva obbligatoria nelle Forze Armate, che ha portato a un drastico ridimensionamento dei reati militari più diffusi come la diserzione e la mancanza alla chiamata. Non hanno contribuito a migliorare le cose il trasferimento di competenze alle altre autorità giudiziarie e l’anacronismo del codice, datato 1941, che prevede illeciti tipo «rivolta o ammutinamento», insubordinazione, disobbedienza. «Anacronismo che si combina all’effetto deterrente sulle denunce dovuto alla distanza dei tribunali dalle caserme, dopo che in Italia sono rimaste solo tre procure», spiega Block. Nel 2008 la giustizia «a stellette» ha infatti subito un primo taglio che ha portato le sedi giudiziarie da 9 a 3 e i magistrati da 103 a 60. «Ma il calo del lavoro è andato oltre le previsioni». Fiori all’occhiello di questa giustizia sono i processi nati dal ritrovamento a palazzo Cesi, nel 1994, del cosiddetto «armadio della vergogna» contenente i fascicoli sulle stragi nazifasciste. Fascicoli che hanno portato a condanne eccellenti di ex Ss, come Erich Priebke e Michael Seifert. Priebke a luglio compie cent’anni, è stato condannato all’ergastolo nel marzo 1998 per l’eccidio delle Fosse Ardeatine e da 14 anni si trova agli arresti domiciliari «dove rimarrà fin che vive — prevede l’avvocato Paolo Giacchini, che difende e ospita Priebke nella sua casa romana —. Direi che la sorveglianza per molti anni ha lavorato solo per lui». Seifert è invece il caporale nazista passato alle cronache giudiziarie come «il boia di Bolzano» per le atrocità commesse nel 1944 in un campo di transito altoatesino. Condannato al carcere a vita nel 2000, è stato estradato e trasferito in una cella di Santa Maria Capua Vetere nel 2008. Detenzione breve, la sua: il 6 novembre successivo, a 86 anni, è morto. Quali soluzioni, dunque, per la giustizia militare rimasta senza detenuti? «Io farei una riforma alla francese, con la creazione di sezioni specializzate nell’ambito della giustizia ordinaria», propone Intelisano. «Estendiamo le competenze ai reati comuni commessi da militari», preferisce Giustiniani. Nel frattempo, a vigilare sullo sfortunatissimo condannato di Santa Maria Capua a Vetere, un sottufficiale dell’aeronautica che deve scontare dieci mesi per forzata consegna aggravata, cioè per essere entrato in caserma in modo non proprio ortodosso, c’è un intero tribunale. Andrea Pasqualetto