Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 11 Lunedì calendario

«CON BERSANI NESSUN PATTO. IMMORALE ASPETTARE IL COLLE, DOVEVO IMPEGNARMI ORA»

«Sono felice di essermi aperto. Di averlo fatto con i giovani. E proprio qui, a Milano, nella mia città. E’ stata un’emozione bellissima. Pensare che dicono che non mi emoziono mai, che sono senza cuore...». Mario Monti ha appena finito di parlare al teatro Parenti e sta per affrontare i «town hall meeting» («è aperto il concorso per trovare la giusta traduzione in italiano: diciamo conversazioni informali»). C’è il tempo per un caffè macchiato dietro il palco, con la moglie Elsa: «Ormai mi sono abituata all’idea, e seguo Mario dappertutto. Peccato essere sempre di corsa: la gente vorrebbe stare di più con lui, fare domande, capire meglio...».
«Oggi però credo di essermi fatto capire — dice Monti —. Sentivo l’esigenza di far passare i motivi e il senso della mia scelta. Me lo chiedono tutti: "Chi te l’ha fatto fare?". Lo so anch’io che mi sarebbe convenuto rimanere fermo e non fare nulla. Ma sarebbe stato, quello sì, profondamente immorale aspettare che maturassero le condizioni per fare il presidente della Repubblica, senza prendere un impegno, senza assumermi le mie responsabilità. Avere un ruolo politico mi pesa, ma era l’unico modo per non vanificare il lavoro fatto fin qui, per cambiare davvero le cose. In questo anno terribile ho dovuto chiedere agli italiani molti sacrifici. Gli italiani hanno dato una risposta straordinaria. I capi di governo europei hanno dovuto riconoscerlo: li abbiamo sorpresi. E ce l’abbiamo fatta da soli, noi italiani. Senza prestiti che ci avrebbero umiliati, senza aiuti che avrebbero limitato la nostra sovranità. E senza condoni, che sarebbero stati disastrosi, perché avrebbero incoraggiato gli evasori».
Poco prima, il premier ha ribadito che in Lombardia voterà Albertini. Ora aggiunge: «Dovevo farlo, per chiarire un punto che mi sta molto a cuore. Non c’è nessun patto con Bersani. Di più: non c’è nessuna conversazione con Bersani. Noi dobbiamo rivolgerci a tutti i cittadini. Raccogliere il consenso degli elettori delusi dalla "rivoluzione liberale" mancata». Questo non significa che siano impossibili accordi dopo il voto, «ma a patto di poter esercitare un’influenza decisiva. Non ci faremo mai imporre un programma che non è il nostro. Berlusconi mi ha proposto di guidare i "moderati", è vero. Però io penso che l’Italia non abbia bisogno di moderazione, ma di riforme radicali. Neppure l’espressione "centro" mi convince: sono in politica per unire le forze riformatrici. Forse avrei potuto guidare uno schieramento senza Berlusconi, composto dalla parte recuperabile del suo partito, Alfano per intenderci, dai centristi di Casini e dai riformisti di sinistra, rappresentati da Enrico Letta. Ma non avrei mai potuto accettare una guida che mi venisse concessa da qualcuno. Posso accettare un compito che mi venga imposto dal presidente della Repubblica; com’è accaduto nel novembre 2011, quando a Palazzo Chigi non voleva andare nessuno, dopo che il mio predecessore aveva lasciato il campo, e io stesso ero terrorizzato. Oppure posso accettare un compito affidatomi dagli elettori. Per questo sono qui. La priorità è parlare di futuro e rilanciare la crescita. Altrimenti i giovani dovranno prendere la via dell’emigrazione, e alla lunga ci saranno rischi per la stessa democrazia».
In questi giorni Monti ha ricevuto gli attacchi più duri proprio sull’Europa. Tremonti l’ha definito "gauleiter", capo di uno Stato fantoccio della Germania. «Ho deciso di non rispondere. Tremonti è un uomo intelligente ma ormai privo di credito. Meglio piuttosto i rilievi di Brunetta». Il presidente del Consiglio preferisce parlare in positivo, mettere l’accento sulle potenzialità del Paese. «La cosa più bella da capo del governo è stata incontrare gli italiani all’estero, vedere il loro orgoglio per le radici, sentire il loro apprezzamento, dopo anni in cui l’Italia non veniva presa sul serio. Siamo un Paese dalle straordinarie opportunità. Tranne il petrolio, abbiamo tutto. Intelligenza e bellezza. Genialità e senso estetico, che nei secoli hanno prodotto le cose più belle che gli uomini abbiano mai saputo creare nella storia. Il bene più prezioso che possiamo esportare è la qualità della vita. Possiamo anche esercitare un ruolo politico decisivo, perché rappresentiamo un punto di riferimento per tutti i Paesi del Mediterraneo, in particolare per il Medio Oriente. La decisione di votare all’Onu per il riconoscimento della Palestina nasce da lì. Non è stata affatto una mossa estemporanea. E’ stata una scelta convinta, nata dal fatto che siamo tanto amici di Israele da non poter essere accusati di nulla».
Tra il discorso, la pausa, la conferenza stampa, i dialoghi con i giovani e con le donne, il pomeriggio milanese del premier dura più di quattro ore. E’ la vera apertura della campagna elettorale. Inutile continuare nel botta e risposta politico, controproducente partecipare alla gara delle promesse. Meglio il rapporto diretto con i cittadini. Non c’è un solo politico di professione. La prima fila è per Valentina Cortese, la padrona di casa Andrée Ruth Shammah, qualche candidato della società civile: l’ex pm Dambruoso, Lidia Rota Vender («parlo poco se no poi Crozza mi prende di nuovo in giro...»). I «town hall meeting» riscaldano l’ego degli interlocutori che si impossessano del microfono, chi ha scritto un libro, chi ha fatto sette figli, c’è anche la bambina prodigio che chiede «supporti tecnologici per la scuola»; Monti propone di abbassare l’età per il voto a dieci anni, la platea ride.
La strategia è apparire equidistante tra Bersani e Berlusconi: «La riforma del lavoro doveva andare più in profondità ma la sinistra ce l’ha impedito; la legge contro la corruzione doveva andare più lontano ma la destra non ha voluto. Sono pronto a un confronto pubblico; loro però non vogliono». Ma è evidente che da una parte c’è un possibile interlocutore, per quanto condizionato da Vendola e dalla Cgil, e dall’altra un avversario irriducibile, pronto a «comprare i voti degli italiani con i soldi degli italiani». Il Cavaliere (che Monti ribadisce di aver votato nel ’94) è indicato come «il mio predecessore e aspirante successore», quasi mai per nome, se non quando racconta di essere suo vicino a Lesa, sul Lago Maggiore: «Ma lui ha un villone, io una casetta». Quando poi prende la parola un ragazzo di Varese, il premier gli racconta un aneddoto: «Alla fine del mio secondo mandato di commissario europeo, mi dissero che non sarei stato riconfermato perché, pensate un po’, l’Udc voleva il posto per Buttiglione. Maroni rilasciò questa dichiarazione: "Sono per la riconferma di Monti perché è di Varese". Lo chiamai per ringraziarlo, ma anche per chiedergli di arricchire il suo sostegno con qualche altro argomento. La settimana dopo rilasciò quest’altra dichiarazione: "Sono per la riconferma di Monti anche perché è di Varese"».
Aldo Cazzullo