Angela Frenda, la Lettura (Corriere della Sera) 10/02/2013, 10 febbraio 2013
RISCOSSA DEI CARNIVORI «È UNA SCELTA ETICA» - II
mondo di April Bloomfield è in un grande maiale rosa che lei appoggia (morto) sulle spalle da cuoca esperta. È la copertina del suo ultimo libro, e anche il titolo non lascia spazio a equivoci: A girl and her pig («Una ragazza e il suo maiale»). Un provocatorio (ma involontario) schiaffo culinario a vegetariani e vegani, sempre più numerosi. Allo stesso tempo, una potenziale bandiera per la riscossa degli onnivori.
Bloomfield, chef 39enne di Birmingham che da piccola voleva diventare poliziotta, ha dedicato questo suo primo lavoro editoriale a una serie di ricette rigorosamente a base di carne. C’è la sezione vitello, quella manzo, quella maiale, quella volatili e quella scarti… Un racconto gastronomico, nel quale però traspare qualcosa di pericolosamente rivoluzionario: esce in un momento storico in cui mangiare carne e dichiarare di essere onnivori senza nascondersi non è una scelta politicamente corretta, ma un tentativo di suicidio davanti al tribunale dell’opinione pubblica occidentale. Nel sentire comune, infatti, pensare alla carne come cibo è diventato un atto di dubbia moralità, almeno per chi dovrebbe riflettere sulle sue azioni. Ma Bloomfield, che oggi dirige un suo ristorante nel Greenwich Village, The Spotted Pig, ed è pluriosannata dai colleghi (Mario Batali, Fergus Henderson, Jamie Olivier), rivendica la bontà del progetto con l’aiuto dei suoi ricordi: «Da bambina amavo le domeniche. Quelle mattine in cui nell’aria si diffondeva il profumo di bruciato perché mia nonna preparava in giardino il barbecue e metteva ad arrostire il maiale comprato dal macellaio di fiducia. Le verdure; il burro, tanto. Ci mangiavamo due giorni, due giorni di felicità. Cosa c’è di male?». Nel suo libro si trovano ricette come l’adobo di pollo alla filippina e le scaloppe di vitello con il chimichurri. O anche le interiora alle cipolle… «Mio nonno, anche quando partivamo per vacanze brevi, si portava dietro i rognoni in una borsa frigo. Ce li friggeva per colazione... Una delizia».
Leggerla è come fare un’enorme indigestione di proteine animali (stile dieta Dukan), senza però sentirsi in colpa. Senza riflettere, tormentarsi, affrontare dilemmi etici. Esattamente la sensazione che una sempre più agguerrita falange di carnivori ricerca negli ultimi tempi. Ne è prova l’enorme successo ottenuto dal «concorso» lanciato sul «New York Times» la scorsa estate: Ariel Kaminer, titolare della rubrica «The Ethicist», ha chiamato a raccolta tutti gli onnivori ponendo loro la domanda delle domande: «Perché è etico mangiare carne?». Un modo, ha spiegato l’editorialista, per incoraggiarli a produrre teorie altrettanto forti di quelle che vegetariani e vegani diffondono da anni. Si potevano usare al massimo 600 parole. A scegliere i vincitori cinque giudici d’eccezione: Mark Bittman, Jonathan Safran Foer, Andrew Light, Michael Pollan e Peter Singer. Oltre 70 mila messaggi arrivati. I più originali? Eccone alcuni stralci: «Il leone mangia carne. Volete accusarlo di essere poco etico?». «Lo squalo divora pesci da una vita. E allora?». «La Bibbia dice che è ok». «Siamo in una nazione libera». Ma il vincitore è stato Jay Bost, 36 enne docente di agronomia e vegetariano pentito, che ha scritto: «Per me mangiare carne è etico quando fai tre cose. Primo: accetti che la morte produce la vita e che tutta la vita (inclusa la nostra) è solo energia solare in una forma temporaneamente stabile. Secondo: scegli vegetali, grano e carne prodotti eticamente. Terzo: ringrazi».
Insomma, la vendetta degli onnivori è cominciata, però con giudizio. In questa strana guerra, dove il desiderio e il piacere combattono per affermare i propri diritti mentre l’etica, il principio di responsabilità, la cura per il mondo, provano tenacemente a negarglieli, gli schieramenti hanno un nome: i soldati del primo esercito si chiamano specisti, quelli del secondo antispecisti. Gli specisti sostengono la superiorità della specie umana; gli antispecisti, cioè i vegetariani e i vegani, la negano sfidando i rivali a fornire prove chiare e inequivocabili. Lo scrittore sudafricano J. M. Coetzee, a proposito delle teorie animaliste, ha detto testualmente: «Se hanno ragione loro, allora sotto i nostri occhi ogni giorno avviene un crimine di proporzioni stupefacenti».
D’altra parte, provate a mangiare una bistecca leggendo Liberazione animale del filosofo australiano Peter Singer. Lo ha fatto il critico del «Nyt» Michael Pollan. Il risultato è il capitolo «Il problema etico di mangiare carne» inserito nel suo bestseller Il dilemma dell’onnivoro. Una riflessione sul perché un atto fino a pochi anni fa considerato banale sia sempre più visto come una barbarie. Ma la lettura del pamphlet di Singer, racconta Pollan, pone di fronte a una scelta netta: «Per decidere se sia giusto uccidere gli animali per mangiarli non dobbiamo chiederci: possono ragionare? Ma: possono soffrire? La risposta è sì, e dunque essere vegetariani è un obbligo». Pollan ci ragiona su a lungo, prova persino per qualche settimana a osservare una dieta senza carne, e approda a quella che è la nuova tesi degli onnivori, con presunta riscossa etica incorporata: «È nella sofferenza inflitta agli animali dall’allevamento industriale moderno la non moralità del mangiare carne. Se troveremo una terza via, che riconosca loro i diritti di soggetto capace di provare dolore e piacere, allora riusciremo a nutrirci con consapevolezza. E per farlo, basterebbe imporre con una legge il diritto di vedere anche la loro morte, rendendo i macelli trasparenti, controllabili dall’opinione pubblica».
Gli onnivori, insomma, provano a uscire dall’angolo. A testa alta, senza arrossire: arrivano persino a metterlo in scena, il loro desiderio di carne. Sherie Rene Scott, attrice teatrale di successo, dopo 26 anni da convinta vegetariana, a 44 si è riconvertita alla scelta onnivora e ha deciso di raccontare la propria metamorfosi culinaria ed etica in uno spettacolo che sta sbancando i botteghini di Broadway: A piece of meat. Racconta: «È successo tutto all’improvviso. Una mattina ero a casa da sola. Qualcuno stava cucinando una bistecca nel cortile. Ho aperto la porta come in trance e ho seguito la scia. Mi sono ritrovata a bussare a casa dei miei vicini e chiedere di assaggiare un pezzo di carne. Il mio spettacolo parla di questo, del desiderio. Ma anche di quello che mi disse il mio dottore: "Il tuo corpo ha bisogno di ferro. O mangi carne o diventi anemica". Non è stato facile. Ho sofferto. E probabilmente, ora, non potrò più dormire con Paul McCartney».
Angela Frenda