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 2013  febbraio 10 Domenica calendario

RAVANO E COSTA, GLI EX RIVALI E LA GARA SULL’ELEGANZA

Cade anche l’ultimo baluardo dell’understatement italico, quello che da sempre si coltiva, con qualche narcisismo, nella città di Genova. E le due famiglie simbolo e interpreti di due modi diversi — ma egualmente appartati — di intendere la genovesità, incrociano le armi a mezzo stampa. «Noi siamo cosmopoliti e abbiamo sempre parlato almeno tre lingue. I Costa, invece, nemmeno una. Le nostre signore sono sempre state eleganti e bellissime. Quelle dei Costa, diciamo la verità, dimesse. Direi addirittura tendenti allo sciatto». Concetti che Carlo Ravano ha scritto in un libro, «97 Traversate» (editore De Ferrari), e poi ribadito al giornale locale, Il Secolo XIX, se per caso a qualcuno era sfuggito. Riaccendendo così una rivalità antica che poteva avere un senso nel dopoguerra quando le due famiglie erano davvero significative e dominanti in città, e che adesso si ripresenta tardivamente come gara per un diverso primato, le buone maniere. E difatti subito, il giorno dopo, sempre sul Secolo, anche i Costa rompono il codice della sobrietà e anche loro si fanno intervistare, cedono alle lusinghe del quarto d’ora di celebrità: «Cari Ravano, l’eleganza è nella testa. In famiglia mi è stata insegnata un’eleganza di stile. Di sostanza più che di forma» risponde Niccolina, figlia di Angelo Costa, primo presidente di Confindustria nel dopoguerra.
Armatori di spicco nel Novecento fino ai primi anni Settanta, poi in lotta con il Fisco che portò molti della famiglia a emigrare verso la Svizzera o Montecarlo, i Ravano si reinventano come maestri di bon ton: e Carlo racconta nel suo libro di vestiti di ottimo taglio, Rolls Royce in garage, amicizie internazionali da Ranieri di Monaco a Cary Grant, traversate dell’Atlantico sulla Queen Elizabeth: «Una sera cenò con noi Greta Garbo. Lo ricordo come fosse ieri» narra dal suo buen retiro di Montecarlo. Tutt’altra musica in casa Costa, dove la ricchezza è assaporata ma non esibita e i vestiti sono riciclati da fratello a fratello, piuttosto che firmati. Un’etica capitalista e monacale, ispirata al testamento di Federico Costa negli anni Venti: «Cari figli voi avete il dovere di conservare pura la vostra anima ma avete anche il dovere di conservare integro il vostro avere materiale. Fuggite il lusso perché mettersi nel lusso equivale a diventare poveri». E soprattutto: «Non giuocate», come riportato da Erika Dellacasa nel libro «I Costa, storia di una famiglia e di un’impresa» (da poco pubblicato da «Gli specchi» Marsilio).
Comandamenti seguiti volentieri da Angelo, che alle lingue straniere preferiva il dialetto genovese e alle vacanze esotiche la villeggiatura di famiglia nelle ville di Rapallo o nelle case di Cogne. Secondo quella parsimonia genovese ben incarnata anche da tanti altri miliardari, a cominciare da Giovanni Battista (Giamba) Parodi, banchiere e azionista di Banca d’Italia, che girava in 126 per non dar nell’occhio, e aveva in casa argenti di cui si favoleggiava, ma mai mostrati a nessun ospite: «Vuoi mettere il piacere di godere la bellezza in solitudine?».
Ora Genova mormora e in qualche modo si ridivide e riflette sulle due «eleganze», ma il colmo per la città più discreta d’Italia — e anche per la famiglia Costa e la sua tradizione di riservatezza — è che autrice dei due articoli, che un giorno dopo l’altro hanno rimosso gli animi, sia proprio una nipote di Angelo, Anna Orlando. Anna, neo prezzemolina della scena cittadina che spazia dall’arte al giornalismo, è in realtà nipote di Angelo Costa e figlia di sua figlia Niccolina: il cognome Orlando viene da uno dei «commoner» (e cioè personaggi estranei alla famiglia) che le donne Costa hanno sposato, in questo caso Peppino Orlando, classe 1937, irpino, arrivato in città come supplente di filosofia, della generazione 68 e dintorni, al liceo classico Doria, passato poi negli anni dal catto comunismo all’integralismo cattolico. E anche lei, Anna, è stata allevata in frugalità: narra infatti che in una foto da bambina compare in grembiulino bianco, con ricamato il nome del fratello Rocco.
Maria Luisa Agnese