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 2013  febbraio 10 Domenica calendario

«BARLUMI SOSPESI NEL VUOTO» [

Così Eugenio Montale descrive il gergo in voga cui cede la giovane che gli chiede consiglio: sfoghi del cuore, e non logica, sintassi e «espressione distaccata, oggettivata, artistica» ] –
Firenze 10 febbraio 1941, viale Duca di Genova 38
Cara Signora suppongo che scrivere a macchina a una persona come Lei sia considerato poco cortese; ma in questo caso è una soluzione che offre dei vantaggi. Se fossi qui a lottare con carta penna e calamaio non Le scriverei che una o due parole convenzionali e forse neppur queste, dato che mi sarebbe difficile limitarmi a un sì o a un no, come Lei vorrebbe. Invece Le mando, complice la macchina, ciò che Lei non vuole e che tuttavia risponde al suo caso: un nì. Alcuni segni a margine (che Lei ha cortesemente autorizzato) potranno darLe la misura e il dosaggio del mio nì: i punti interrogativi esprimono dubbi più o meno forti, le crocette vogliono sottolineare i passi più felici.
Quando Lei mi dice (come m’ha scritto) che le Sue cose più sincere sono le meno buone, ha anticipato i tre quarti del mio giudizio; ma non creda che questo accada a Lei sola. Accade purtroppo a tutti quelli che si esprimono con un’arte qualsiasi; solo posso ammettere che a Lei, donna, questo accada più spesso che ad altri. In altre parole, in Lei non c’è ancora un’intima unione fra ciò ch’è sfogo del cuore e ciò che è espressione distaccata, oggettivata, artistica; spesso i sentimenti vanno per conto loro, magari a danno della poesia, e viceversa. Di qui il senso di interruzione, di frammentarietà che lascia il suo discorso poetico, pur in mezzo a frequenti e felici illuminazioni.
Limitarsi a queste, sfrondando ancora di più? Se anche fosse possibile dar consigli in materia, non Le direi forse nulla di simile. La via migliore sarebbe che il discorso stesso si elevasse di tono, anche se le illuminazioni dovessero essere meno frequenti e meno visibili. La poesia moderna, fatta di barlumi sospesi nel vuoto, ha lasciato in Lei non poche tracce; ma c’è una poesia anche più moderna, ch’è di tutti i tempi, e che non ha paura della sintassi e della logica, e Lei che non ha fretta e che può attendere potrebbe forse provarsi in questa più ardua via e dar tempo al tempo... Non so però far profezie né arrischiare augurii. Potrebbe anche scrivere 1.000 poesie come queste e sceglierne poi 20, affidandosi alla legge delle probabilità.
L’altra via, quella dell’applicazione deliberata e dello studio, è fatta per gl’infelici che non potendo né sapendo vivere scrivono. Non vedo una ragione per cui Lei debba rendersi infelice a questo scopo: sarebbe anzi un cattivo cambio. Le mando una poesia che ho trovato in un’antologia e che forse le piacerà, com’è piaciuta a me. Ma l’autrice (morta giovanissima) non sarà stata affatto come «The Lady of the Crabs»; sarà stata brutta e incapace di stare al mondo, e il suo Très haut amour l’ha ripresa con sé e la rimetterà in circolazione in forme nuove e imprevedibili. Questa lettera è già troppo lunga e rischia di farLa addormentare; tante parole, e inutili, per dirLe che la sua bellissima voce ha ancora qualche difetto d’impostazione? Canti come vuole, come sa, diffidando dei censori barbogi e diffidando anche della poesia, che è troppo capricciosa per meritare il nostro ossequio. E accetti in forma (finalmente!) autografica i miei più vivi ringraziamenti per le molte cortesie ricevute e per la fiducia che ha avuto nella barcollante musa e nei deboli lumi critici del suo sempre devotissimo.
Eugenio Montale