Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 10/2/2013, 10 febbraio 2013
LA GRANDE SCOMMESSA DEL «RITORNO ALLA TERRA» [
La metamorfosi dell’agricoltura: sempre più «verde» e hi-tech ] –
Fra le scelte professionali che vi attendono non credo che fare l’agricoltore sia la più gettonata. Avvocati, medici, ingegneri, manager e, perché no, rockstar... sì. Agricoltori, no. Neanche il recente rafforzamento dell’ideologia "verde" ha rinverdito l’immagine del settore agricolo. Eppure, come professione, non è da disprezzare. Tanto per cominciare, l’agricoltura è quella che ci riempie la pancia tre volte al giorno: colazione, pranzo e cena. E poi, l’agricoltura ha un passato glorioso.
Riesce difficile pensare che i vostri nonni siano vissuti in un paese agricolo. Ma è vero. A metà degli anni Venti l’agricoltura era il settore più grosso dell’economia italiana, con una quota vicina al 40%. E durante la Seconda guerra mondiale, quando il conflitto aveva devastato l’economia, la quota dell’agricoltura superava il 50 per cento: le bombe distruggono le fabbriche e le rotaie e i treni, ma non i campi di grano...
La riduzione della quota dell’economia nell’attività economica non vuol dire che l’agricoltura produca di meno. Vuol dire semplicemente che le altre attività economiche, dall’industria ai servizi, crescono di più. Il che è normale. L’agricoltura non produce solo beni alimentari, ma sono questi il suo principale prodotto. E il benessere crescente si avverte soprattutto sui consumi non-alimentari. Se il vostro reddito raddoppia, come vi auguro, non vuol dire che mangerete il doppio di prima. In tutti i Paesi, dunque, il settore agricolo ha visto scemare la sua importanza. In America, per esempio, contava nel 1870 per il 40% dell’economia, a metà degli anni Venti per il 10% e adesso... solo lo 0,8 per cento. In Italia la quota era scesa già nel 1970 all’8,8%, poi al 3,5% nel 1990 e al 2,0% nel 2011.
Ma l’agricoltura ha un passato glorioso non solo come antico primattore sulla scena dell’economia, ma anche come primo seme (è il caso di dirlo) dello sviluppo economico. È nell’agricoltura che si è creato il primo surplus. Che cos’è il surplus? Pensiamo a una famiglia che vive dei frutti del campo. Se questa famiglia coltiva il grano e mangia il pane utilizzando tutto il grano raccolto, cosa mangerà il prossimo anno? Come farà a seminare altro grano? Il primo elementare surplus è quindi il "grano da semina": una parte del grano deve essere messo da parte per la prossima semina.
Ma questo surplus ancora non basta ad assicurare lo sviluppo dell’economia. Quella famiglia l’anno prossimo avrà un altro raccolto e potrà così sopravvivere. Ma, anno dopo anno, il campo e il raccolto saranno sempre quelli: il reddito della famiglia non migliora. Cosa ci vuole perché migliori? Ci vuole qualcosa che non è specifico all’agricoltura, ma che si manifestò per la prima volta nel settore agricolo, se non altro perché all’inizio l’economia e l’agricoltura in pratica coincidevano (la definizione di settore agricolo include anche la caccia, l’allevamento di animali e la pesca). Questo qualcosa è... l’ozio. Un ozio creativo, per intenderci.
Secondo Adam Smith - il padre fondatore della scienza economica - per far progredire l’economia ci vogliono i filosofi. Nel senso che ci vuole qualcuno che, invece di abbrutirsi nel lavoro fisico, abbia il tempo di pensare. Ci vogliono i filosofi, il cui compito consiste nel non fare niente ma nell’osservare tutto - uno schiavo miserabile che macina il granoturco fra due pietre può trovare la maniera di far girare la pietra di sopra attorno a un asse; ma per trovare la maniera di farla girare con l’acqua ci vuole un filosofo...
La storia dell’economia è la storia dell’agricoltura, di come l’uomo abbia, lentamente ma inesorabilmente, trovato maniere di migliorare gli attrezzi agricoli, le sementi, fino alle grandi trebbiatrici e alla modifica genetica delle varietà di grano e di altre piante alimentari. Così ha estratto sempre più surplus dalla terra e ha messo in moto l’industria (fabbricazione di aratri e falci fino ai trattori ad aria condizionata e stipati di elettronica) e poi i servizi (trasporti e commercializzazione delle derrate).
All’inizio, quando ancora non si immaginavano gli incredibili progressi che sarebbero stati fatti dalla produttività in agricoltura (la produttività è la quantità di prodotto che si ottiene con un’ora di lavoro) era facile immaginare un’umanità condannata alla fame. Un chierico inglese del Settecento, Thomas Malthus, prevedeva un triste e affamato futuro per l’umanità, dato che la crescita della popolazione sarebbe stata più veloce della crescita della produzione alimentare. Ma la storia gli ha dato una clamorosa smentita. È vero, anche oggi ci sono sul pianeta moltissimi casi di gente che muore letteralmente di fame, ma la causa non è l’incapacità di provvedere abbastanza cibo per sfamare l’umanità intera. Il cibo c’è, ma non arriva a tutti per una serie di tristi ragioni istituzionali, politiche e sociali.
Ma torniamo all’inizio. Dal punto di vista dell’importanza del settore nell’economia l’agricoltura è oggi la "parente povera" dell’attività economica. Ma in realtà è un settore che potremmo chiamare d’avanguardia. Le macchina agricole sono sempre più sofisticate, le tecniche di coltivazione sono materie universitarie, la genetica, la chimica si sono messe al servizio dell’agricoltura, satelliti e Gps tengono d’occhio i raccolti...
E poi l’agricoltura beneficia dell’attenzione all’ambiente. Le coltivazioni organiche prendono piede, i campi si convertono all’agriturismo, le opportunità di migliorare i raccolti adottando le pratiche più avanzate o di riconvertire le produzioni verso particolari nicchie di prodotto sono innumerevoli. Insomma, se dovete pensare a una carriera, pensate anche a un ritorno alla terra. I vostri avi, da lassù, ne saranno contenti.