Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 10/2/2013, 10 febbraio 2013
L’IMPORTANZA DI SAPERE CHE COSA PROVA UN PIPISTRELLO
Nel 1974 il filosofo Thomas Nagel scrisse un breve saggio intitolato Cosa si prova ad essere un pipistrello?, recentemente ristampato dall’editore Castelvecchi. Il quale ha posto in copertina la famosa incisione
Angeli e demonidi Maurits Cornelis Escher, forse a suggerire che la sensazione di essere un pipistrello è semplicemente quella di essere un (povero) diavolo. Più che i pipistrelli o i diavoli, a noi interessa la forma logica del ragionamento di Nagel, basato sulla distinzione fra due tipi di sensazioni diverse: da un lato, cosa proviamo noi a essere noi, o i pipistrelli a essere pipistrelli, e dall’altro lato, cosa proviamo noi a essere pipistrelli, o i pipistrelli a essere noi. Una distinzione analoga ricorre nel famoso teorema di Bayes, di cui si celebrano quest’anno i due secoli e mezzo della pubblicazione. Il teorema dimostrato dal reverendo Thomas Bayes fu infatti pubblicato postumo nel 1763, nel Saggio verso la soluzione di un problema nella teoria delle probabilità.
E anch’esso si basa sulla distinzione fra due tipi di credenze diverse: da un lato quelle assolute, che certi eventi possano accadere, e dall’altro lato quelle
relative, che certi eventi possano accadere dopo che ne sono già accaduti certi altri. La scoperta di Bayes fu che il prodotto tra i gradi di credenza (o di probabilità) che un primo evento accada in assoluto, e che un secondo accada dopo esso, è lo stesso del prodotto tra i gradi di credenza che il secondo evento accada in assoluto, e che il primo accada dopo esso. Un po’ come se sapere cosa noi proviamo a essere noi e a essere pipistrelli, fosse uguale a sapere cosa i pipistrelli provano a essere pipistrelli e a essere noi.