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 2013  febbraio 10 Domenica calendario

DA PUTIN A GHEDDAFI L’ATTRAZIONE DI SILVIO PER L’UOMO “FORTE”

EMUSSOLINI, l’altro giorno, e adesso pure Ceausescu… Possibile che fra tanti possibili riferimenti Berlusconi s’ingegni a rivendicare proprio l’esempio di quei due tiranni che oltretutto non sono morti nel loro letto?
Con qualche sforzo si arriva a capire l’intento che muove questo selvaggio marketing e recidivo: la necessità non tanto di far colpo sui nostalgici, che di Ceausescu nemmeno ci sono, ma di presentarsi sotto sotto ai tanti che vivono ai margini come l’unico, vero sovvertitore del sistema.
Ma forse in lui c’è anche qualcosa che trascende il messaggio elettorale. Quella sorta di personalissimo trasporto che il Cavaliere non si è mai preoccupato di dissimulare dinanzi agli uomini forti, come Putin, e ancora di più dinanzi ai dittatori. Ci sono troppi esempi per relegare tale attrazione fatale nell’ambito delle fumoserie o dei pregiudizi.
Si pensi al bacio della mano di Gheddafi, cui seguirono legami così vincolanti da oscillare dallo sfoglio in comune dell’album di famiglia (il rotocalco Chi con le foto sui nipotini) fino alla fornitura, in apposito container da parte del Raìs, dei costumi di scena per il burlesque.
Come pure si pensi, non senza un accenno agli splendidi rapporti stabiliti con i despoti del NordAfrica (pare che il tunisino Ben Alì provvedesse a rifornire di pesce fresco Palazzo Grazioli), alla scenetta di Berlusconi che a colloquio con il venezuelano Chavez – uno che sembra ci desse abbastanza dentro - non trovò di meglio che chiamare al telefonino Aida Yespica e passargliela, con l’arietta che ci si può immaginare.
Fin troppo ovvio che il Cavaliere non fa distinzioni ideologiche, Mussolini, Chavez, Gheddafi, Ceausescu, magari qualche canaglia di dittatore sudamericano. Vivi o morti ammazzati che siano, per lui pari sono. Eppure quando, primo premier occidentale in visita in Bielorussia dopo due lustri d’isolamento, si trovò a colloquio con quel tipetto di Lukashenko, Berlusconi si sentì anche in dovere di esprimergli un affettuoso attestato di garanzia per conto dell’occidente: «Presidente, il suo popolo la ama!». Tra parentesi: quello ricambiò con un paccata di documenti dei servizi segreti. Era il dicembre del 2010 e almeno qui in Italia non passò inosservato il commento dei dissidenti di Minsk che proclamarono Berlusconi: “liubitel dictatorov”, amante dei dittatori.
La qualifica trova purtroppo ulteriore, persistente e articolata conferma nell’amicizia e negli elogi riservati a Nusurltan Nazarbayev, che ormai da 23 anni detiene il potere nel Kazachistan: «Ho visto i sondaggi fatti da una autorità indipendente che ti hanno assegnato, Nursultan, il 92% di stima e amore del tuo popolo. È un consenso che non può non basarsi sui fatti». E che il Cavaliere volle condire con una lode alla generosa vitalità dei maschi caucasici e la promessa di portare il Milan ad Astana, capitale di Grandi Opere finalmente realizzate come si deve.
E si tratterà anche di affari privati. Ma pare di cogliere, nella seduttiva rincorsa verso tutti questi ceffi, un sogno anche ingenuo di immedesimazione e concorrenza al tempo stesso inconfessabili e frustrate. Megalomania, idolatria, cartelloni nelle strade, statue da vivi, palazzi dotati di sotterranei segreti, harem a disposizione, elisir di lunga vita.
Magari esagera Gianpi Tarantini che in un’intercettazione si sbilancia nella seguente estasiata definizione dopo una notte a Villa La Certosa: «E’ malato, eh, è un dittatore proprio!». E per quanto Confalonieri abbia invocato a più riprese Piazzale Loreto, in verità Berlusconi non ha tutte le stigma del leader totalitario novecentesco.
Semmai, «gli italiani non vogliono un dittatore - notava anzitempo Leo Longanesi - aspettano un impresario».
E a un certo punto l’impresario è arrivato, con le sue barzellette. Una diceva: «C’era una volta un uomo troppo cattivo, un dittatore, un tiranno che dominava l’Italia. Aveva il governo, tv, giornali, una squadra di calcio. Il bambino allora domanda: “E adesso?” E adesso c’è ancora», concludeva Berlusconi tra gli applausi. Ma per quanto, possibilmente senza arrivare a Ceausescu?