Filippo Ceccarelli, la Repubblica 9/2/2013, 9 febbraio 2013
PERCHÉ SANREMO FA PAURA A SILVIO
IL REGIME degli spettacoli politici, di cui proprio in questa campagna elettorale si ha l’espressione più diffusa e compiuta, riserva sorprese e lezioni non sai bene se più crudeli o istruttive. Per cui il Festival di Sanremo, e quindi il Grande Spettacolo per antonomasia, finisce per oscurare e annichilire i continui spettacoli piccolini e furbetti che i leader vanno mettendo in scena ormai da più di un mese – ma in fondo da anni. Si ha qualche scrupolo di fare di tutt’erba un fascio.
PERCHÉ diverse sono le responsabilità nella spettacolarizzazione e quindi nell’imbuffonimento del potere. Il fatto, però, è che oggi Berlusconi, Bersani e Monti siano stati condannati a ripetere i loro numeri in un normale studio davanti a pochi telespettatori mentre su un’altra rete, la principale, vanno in onda le luminarie del teatro Ariston, e gli artisti, le canzoni, gli attori, i presentatori, i comici, gli imprevisti e compagnia bella, beh, è uno di quegli eventi che di colpo ha il potere di sollevare e forse anche di strappare il velo su una autentica nemesi.
Che sarà pure un’entità abusata, nel giornalismo di questi tempi sciaguratelli. Ma stavolta è come se il vero Circo nazional popolare avesse di fatto rivolto ai protagonisti della politica, circensi della domenica, l’impronunciabile invocazione: fuori i pagliacci! Che per qualche giorno bastiamo noi; sottinteso: noi professionisti.
E la questione non è tanto che i leader politici siano dei dilettanti dell’intrattenimento. Berlusconi per esempio non lo è affatto. A parte lo sketch della sedia e quello della lavagnetta, quell’altro del matrimonio gay con Fiorello e quell’altro ancora della cagnolina da sbaciucchiare, il Cavaliere s’è inventato “il Trio Sciagura”, che davvero sembra il nome di un gruppo di clown; e ieri ha perfino imitato Bersani. Ma non ha un po’ stufato?
Anche Bersani, bisogna ammettere, ci sta dando dentro. I suoi oltretutto trovano carino pubblicizzarlo secondo moduli intensamente spettacolari: dai Simson ai Fantastici 5 passando per i Blues Brothers. Con la scusa dell’ironia — mai così abusata e fraintesa — al termine del comizio fiorentino con Renzi una pietosa mano ha fornito il segretario del Pd di un paio di occhiali da sole Ray-ban vintage mentre la macchina musical-emotiva intonava la colonna sonora del film di John Landis (1980), «Everybody needs somebody to love». E Bersani, lo sventurato, se li è messi.
Monti, d’altra parte, ci ha preso un gusto spropositato. Prima polemizza con Crozza, poi risponde a Geppi Cucciari se la signora Elsa abbia o no letto “Cinquanta sfumature di grigio”. Nell’autunno del 2012 s’era capito
che l’Italia versava in condizioni drammatiche, stava per fare default, la ministra del Welfare scoppiava a piangere pensando ai sacrifici imposti ai pensionati, ma l’altra sera, fatta salva l’ulteriore adozione canina, siamo
arrivati al tele-brindisi con la birra. E vabbè, tutto cambia molto in fretta.
Eppure, la faccenda non è nemmeno che per tre giorni gli italiani saranno privati di queste più o meno ragguardevoli rappresentazioni — il che potrebbe perfino giovare ai politici. Il vero insegnamento e terribile è che solo levandosi di mezzo per le tre serate di Sanremo si capisce come il vero nemico di Berlusconi, Bersani o Monti non sono i loro rispettivi avversari politici, ma il mondo degli spettacoli e dei consumi che essi stessi hanno vampirizzato per conquistare attenzione; e che adesso gli presenta il conto. Non potendolo pagare, delle due l’una: o vanno anche loro a fare i comici al teatro Ariston, oppure finiranno mestamente a chiedere il voto sulle loro poltroncine nell’indifferenza generale. E siccome per la prima soluzione è ormai troppo tardi, le trasmissioni solo ed esclusivamente politiche, e perciò gelide, che attendono Berlusconi, Bersani e Monti sembrano destinate a diventare una sorta di pietra miliare nel cortocircuito tra potere e spettacolo.
In altri termini: chi di circo fruisce, dal circo, quello vero, è trafitto. A questo esito, a tale degradazione nell’interesse collettivo porta infatti entrare in concorrenza con le icone dell’industria culturale. Non impunemente, in questi anni, la politica si è svestita delle proprie identità gettando alle ortiche ideologie, programmi, imperativi e linee di emancipazione per farsi merce fra le merci e assumere le vesti del seduttore e/o del pagliaccio.
Se la posta in gioco si alza, il pubblico, o meglio l’emozione pubblica si difende cambiando canale. Compri Balotelli per solleticare le tifoserie e al momento opportuno quelle si guardano la partita e non gli importa un fico secco delle elezioni.
In precario equilibrio fra il disastro e l’entertainment, il potere tira la corda senza nemmeno accorgersi di essere macinato nell’ingordo e nevrotico ciclo della produzione-consumo. E anche così Sanremo resta sempre Sanremo — e la sua longeva storia politica conosce un altro capitolo.