Claudio Antonelli, Libero 10/2/2013, 10 febbraio 2013
CHAVEZ SVALUTA ANCORA LA MONETA IL VENEZUELA ORA RISCHIA LA FAME
Era l’undici gennaio del 2010 quando il presidente venezuelano Hugo Chavez annunciò la svalutazione della valuta locale, il bolivar, con l’intento di stimolare la crescita economica. Da 2,15 per dollaro a 4,3. La scelta, la quinta in sette anni, si impose per tre motivi. Rafforzare il business del petrolio che da solo rappresenta il 96% dell’intero export. Ridurre il deficit e consentire un nuovo flusso di entrate. Ovviamente l’inflazione schizzò sopra il 25% e il rapporto col cambio nero rimase quattro volte tanto. Ora Chavez, da otto settimane ricoverato a Cuba in condizioni disperate, avrebbe autorizzato i due reggenti, il vicepresidente Nicolas Maduro e il ministro dell’economia Jorge Giordani, a svalutare il bolivar di un altro 46%. Da 4,3 a 6,3 bolivares per dollaro. Non è ancora dato sapere di quanto salirà l’inflazione o quale crisi alimentare si produrrà nei prossimi mesi. Il prezzo di un Big Mac al tavolo di un qualunque McDonald’s venezuelano era arrivato la scorsa settimana a 70 bolivares, praticamente 16,2 dollari americani. Come se da noi in Italia il panino costasse più o meno 14 euro, 10 in più di quanto lo paghiamo. Dunque anche con le minacce ai commercianti nessuno potrà evitare i prezzi di mercato. Zucchero, carta, carne bianca arrivano dall’estero. Non vengono prodotti in Venezuela. Dunque spariranno dai banchi dei supermercati. La svalutazione e le emissioni di bond locali in valuta americana al contrario continueranno a favorire la speculazione finanziaria. Un rapporto di Bloomberg fa notare come con la «rivoluzione socialista » in Venezuela il generale presidente abbia dato vita dal 1999 ad almeno 1000 processi di nazionalizzazione. Che hanno fatto lievitare i rendimenti dei bond venezuelani del 681%. Bond venezuelani che hanno inciso sul Fondo di Goldman Sachs «Growth & Emerging Markets Debt Fund» - del valore di 2,9 miliardi - per il 6,7%. È stato proprio grazie ai titoli di stato del Paese - terza maggiore partecipazione - che il fondo del colosso di Wall Street ha assicurato un ritorno del 12,8% negli ultimi tre anni, registrando una performance superiore ad altri bond del 90%. Al contrario, per fare due esempi, Telefonica, che vede il 7% dei propri ricavi legati al Venezuela, e Parmalat hanno dovuto tagliare gli utili a ogni giro di svalutazione. Basti questo per capire che gli investimenti diretti esteri andranno ad azzerarsi e, per il dopo Chavez, i venezuelani avranno due possibilità: la peggiore crisi alimentare o il default. Una situazione simile (anche se opposta) a quello che potrà accadere in Argentina dove il cambio fisso e lo sgoverno economico stanno trasformando l’avanzo di partite correnti in deficit. La massa monetaria in pesos è cresciuta in un anno del 31%, mentre i depositi in dollari sono diminuiti di un terzo nonostante i divieti di transazioni. Il governo ha imposto ai supermercati prezzi calmierati, eppure la presidenta Cristina de Kirchner continua a negare la presenza di inflazione galoppante.