Giampaolo Pansa, Libero 10/2/2013, 10 febbraio 2013
GRILLO HA GIÀ VINTO I COMPLICI TREMANO
Comunque si concluda la guerra elettorale, un vincitore c’è già: Beppe Grillo. Non ha molta importanza quanti grillini porterà in Parlamento. Sarà di certo un gruppo molto robusto. Alla Camera ne vedremo come minimo sessanta, come massimo un centinaio su 630 deputati. Una presenza estranea al ceto dei partiti. E pronta a tutto?
Neppure Grillo è in grado di rispondere a questa domanda. Ma è facile prevedere che l’arma più usata sarà la protesta continua. Romperanno i santissimi, vorranno aprire molti cassetti chiusi da sempre, cercheranno di impedire che la legislatura diventi una preda docile della Casta. Sul Movimento 5 Stelle si è scritto molto. Ma il grillismo resta un pianeta sconosciuto. Un sondaggista di primissimo rango, mio vecchio compagno di studi, l’altro ieri mi ha messo in chiaro alcuni aspetti del problema Grillo. Prima di tutto, il partito del comico genovese è sempre stato sottostimato dalle indagini sulle intenzioni di voto. Nel senso che gli sono stati attribuiti meno consensi di quelli che in realtà aveva. Per quale motivo? Neppure il Super Sondaggista ha saputo spiegarmelo. Non c’è stato alcun complotto. E meno che mai l’intenzione di non seminare scoramento nei competitori di Grillo. Forse il motivo primario è che molti elettori non vogliono dichiararsi grillini. Ammetterlo non è elegante e ti consegna a una tipologia disdicevole. Quella dell’elettore anarchico che vuole soltanto il crollo della democrazia parlamentare e di qualsiasi governo. Infine i sondaggi non li legge nessuno, se non i vertici dei partiti e noi dei giornali.
UN PUNTO A SETTIMANA
Eppure la sensazione più diffusa è che all’avvicinarsi del voto i consensi per Grillo, dopo uno stop abbastanza lungo, crescano a vista d’occhio. Di quanto? Un punto alla settimana. Di questo passo, i Cinque stelle potrebbero arrivare al 17 per cento. Ossia diventare il terzo partito italiano, dopo la sinistra di Bersani e la destra di Berlusconi.
Il merito è tutto di Grillo. Se ci fermiamo a quanto vediamo in tivù, il Napoleone stellare sembra soltanto un formidabile imbonitore con una stressante capacità di urlare senza un attimo di pausa. In realtà è un astuto leader politico che ha compreso una verità: le piazze contano molto. E se vengono usate insieme al web, il risultato è un’arma killer, così l’ha definita il mio sondaggista.
Gli ho ricordato che cosa sosteneva Pietro Nenni, il padre del socialismo italiano: «Piazze piene, urne vuote». Voleva dire che l’avere di fronte a sé un comizio molto affollato può illuderti di vincere e invece sei destinato a perdere. Però mentre citavo la buonanima del vecchio Pietro, mi sono chiesto quanti dei possibili elettori di Grillo sapessero di chi stavamo parlando.
In realtà il grillismo rimane un mondo oscuro. A cominciare dal suo leader. Chi è? In una delle rarissime interviste concesse alla carta stampata, Grillo si è dipinto così: «Sono vent’anni che giro il mondo, visitando laboratori, intervistando ingegneri, economisti, ricercatori, premi Nobel. Ho rubato conoscenze ai grandi della terra. Mi sono informato, mi sono fatto un culo così, anche se molti mi prendono per un cialtrone improvvisatore…».
Balle? Non lo so. Anche adesso non conosciamo quasi nulla di lui. L’unico dato certo è l’età: 64 anni, tre più di Bersani. Un vecchio da rottamare, direbbe Matteo Renzi. Un tantino più giovane è l’altro socio della ditta grillesca: Gianroberto Casaleggio, 58 anni. Dicono che ami il mistero anche a proposito di se stesso. Soltanto oggi cominciano ad apparire ritratti non apologetici. Come la videoinchiesta del blogger Antonio Amorosi citata venerdì dal Foglio. Titolo: «Le verità choc su Casaleggio. Tutto quello che Grillo non dice».
Ma l’oscurità è l’ambiente più adatto a far crescere la protesta. Chi vuole vendicarsi di torti subiti, promesse mancate, delusioni patite, non ha bisogno di conoscere niente. Vota a occhi chiusi, sperando che i cattivi vengano puniti e il bene trionfi. Tuttavia anche contare su un habitat favorevole a votare «contro» e non «per» qualcosa, può non bastare. È necessario disporre di complici che aiutino nell’impresa.
I complici di Grillo li conosciamo. Sono i partiti grossi. Di destra e di sinistra. È inutile che elenchi i loro errori. I lettori di Libero li conoscono quanto me. Il giorno che si metterà nero su bianco un atto d’accusa definitivo, l’elenco delle colpe risulterà davvero lungo. Al primo posto ci sarà l’ostinazione della Casta a non riformarsi. E al secondo il rifiuto di varare una legge elettorale in grado di garantire che il voto degli italiani qualunque non venga tradito.
Tuttavia quello della Casta non è il regno dell’oscurità. Sul suo conto sappiamo tutto ed è inutile tornarci sopra per l’ennesima volta. Serve assai di più riflettere su quanto può accadere dopo il voto del 24-25 febbraio. Qualunque sia il risultato, l’Italia avrà l’assoluto bisogno di essere governata. È una barca sulla quale stiamo tutti. Lasciarla andare alla deriva è una scelta folle che segnerebbe la fine della nostra nazione.
Scrivo da anni sulla politica italiana. E ho raccontato molte campagne elettorali. In qualche caso mi sono abbandonato anch’io alla faziosità o agli eccessi polemici. Questo mi obbliga a non giudicare con severità gli estremismi odierni. Fare il tifo per un partito o per un altro non è soltanto lecito, ma risulta inevitabile. Ho appena pubblicato un libro sul potere di Repubblica. Eugenio Scalfari sosteneva, e penso lo sostenga ancora, che tutti i grandi giornali italiani, a partire dal mitico Corriere della sera di Luigi Albertini, hanno sempre sposato una causa politica.
Eppure mi ha colpito il titolo che apriva Libero di ieri: «Disastro totale. Monti ha già perso». Non credo che la sorte del Professore sia così nera. Ma se anche lo fosse, il problema italiano non cambierebbe. Infatti il «disastro totale» non riguarda il premier tuttora in carica, ma l’insieme della baracca Italia. Questa banale verità rende obbligatoria una domanda: siamo una nazione che rischia ancora molto?
UNA NAZIONE A RISCHIO
Il Bestiario pensa di sì. La mia opinione è che il governo tecnico di Monti ci abbia messo al riparo dalla crisi più immediata, quella finanziaria. Ma lo stesso premier ci ricorda che le nostre emergenze non sono finite. Dobbiamo scalare due montagne: quelle della crisi economica e sociale, che ci impongono di trovare la strada per sottrarre alla povertà gli italiani che hanno perso il lavoro e i giovani che non riescono a trovarne uno.
È un compito immane. Non penso che possa affrontarlo da solo il Partito democratico e il suo alleato Nichi Vendola, un signore che si sente già scivolare ai margini per colpa di un Ingroia più sinistro di lui. Ma vorrei sapere dal direttore di Libero, Maurizio Belpietro, se crede davvero in una medicina miracolosa: il ritorno sulla scena di Silvio Berlusconi a braccetto di una Lega sempre più divisa.
Non bisogna mai mettere il carro davanti ai buoi. Quindi conviene aspettare l’esito del voto. Però il buon senso suggerisce che soltanto una limpida coalizione che veda insieme sinistra e destra è in grado di tenere a galla la nostra piccola barca. Gli esperti che non truccano le carte ci hanno già spiegato che la crisi globale durerà ancora qualche anno. Dovremo tirare la cinghia. Staremo a lungo sotto le bombe. E non ci saranno rifugi antiaerei in grado di garantirci una sicurezza vera.
Vogliamo diventare tutti complici della protesta anarchica alla Grillo? Anche lui rischia molto. E può essere sopraffatto da avventure assai più pericolose della sua. Qualcuno un giorno ha ammonito: temete l’ira dei calmi. Ecco l’inferno che dobbiamo scongiurare a tutti i costi. Sperando che dalle parole non si passi alle armi.