Gaia Scacciavillani e Silvia Truzzi, Daniele Martini, il Fatto Quotidiano 9/2/2013, 9 febbraio 2013
GIORNALI IN CRISI, TAGLI A RCS GUAI ANCHE AL SOLE 24 ORE
[Lunedì il piano per la società editrice del “Corriere” ma sono finiti i fondi per i pre-pensionamenti dei giornalisti] –
Milano
L’anno zero dell’editoria è arrivato. Non solo per il disastrato Corriere della Sera della Rcs, che si appresta a fare definitivamente i conti col passato che lo vogliano o meno i suoi numerosi (e bellicosi) azionisti. Mentre i lettori comprano sempre meno giornali, come testimoniano gli ultimi dati Ads (non fanno sconti a nessuno), la crisi che dal 2008 si è abbattuta sui media con una fortissima contrazione degli investimenti pubblicitari è arrivata a un punto cruciale. Quello per cui tagliare i costi del personal, prepensionando frotte di giornalisti come vorrebbero gli editori, è diventato sempre più difficile perché i fondi dell’ente di previdenza della categoria, l’Inpgi, destinati a questo scopo sono agli sgoccioli. Complici i massicci utilizzi degli ultimi anni, le risorse a disposizione per il 2013 non dovrebbero bastare per più di un centinaio di persone, ma le richieste sul tavolo superano già quota cinquanta. Somma che include soltanto la dozzina di prepensionati dell’ Espresso di Carlo De Benedetti, la trentina di cui La Stampa di casa Fiat vorrebbe disfarsi e la decina del quotidiano della Cei, Avvenire. Con l’aria che tira tra gli editori, quindi, il rischio è che si scateni una gara a chi arriva prima, perché le alternative sono la cassa integrazione e i contratti di solidarietà, che sono sempre a carico dell’ente di previdenza privato della categoria, ma che a causa della perdita di reddito sono fonte forte di malcontento. Una cosa che piace poco, specie nei giornali sotto elezioni.
NATURALE quindi che chi ha tanto atteso e rimandato il problema si stia mangiando le mani. Come la Rcs, l’editrice del Corriere stretta appunto tra la necessità di tagliare tra 500 e 700 persone e ricapitalizzare rapidamente (le cifre in campo oscillano tra 400 e 700 milioni di euro) e le rimostranze di un azionariato attraversato da forti contrasti: banche (Intesa e Mediobanca), ma anche industriali come la Fiat e Pirelli oltre a Della Valle, Rotelli e Pesenti, che devono già far quadrare i proprio conti. Alla finestra i giornalisti di via Sol-ferino che fino ad ora avevano avuto rassicurazioni su una pax elettorale che però non potrà essere rispettata. Nel mezzo c’è un amministratore delegato che alla luce dell’andamento dei conti deve dare un segno concreto alle banche, creditrici per oltre 800 milioni (in prima fila la stessa Intesa). Il prossimo appuntamento è per lunedì quando l’azienda fornirà i numeri alle rappresentanze sindacali, mentre il giorno dopo sarà il cda a tirare le somme. L’idea è che solo al Corriere debbano andarsene, nell’arco di tre anni, tutti gli over 58. Il che significa, tutti quelli che compiono 57 anni nel 2013. Il direttore dovrebbe aver cinque bonus, cioè cinque persone tra quelle potenzialmente pre-pensionabili che potranno restare. In via Solferino la riduzione sarà pesante: se ne andranno tra 70 e 80 dipendenti, di cui 55-60 giornalisti. Ma incombe la barriera dei fondi Inpgi.
STESSO PROBLEMA alla Mondadori della famiglia Berlusconi, dove nonostante le promesse elettorali, i tagli riguarderebbero oltre 50 persone (in agguato anche il trasferimento dalla storica e onerosa sede di Segrate), mentre Repubblica è alla finestra in attesa delle mosse dei concorrenti. Meno strutturale, ma sempre più difficile la situazione del Sole 24 Ore, che da un anno ha messo in contratto di solidarietà tutto il personale. La liquidità incassata con la discussa quotazione in Borsa del 6 dicembre 2007 (gestione Montezemolo) è agli sgoccioli e anche per il gruppo editoriale della Confindustria è arrivato il tempo di indebitarsi, con la speranza di rientrare entro un anno. Nel frattempo si tratta con i dipendenti. Ai giornalisti di Radiocor, l’agenzia di stampa del gruppo, è stato chiesto di portare al 35% i contratti di solidarietà attualmente al 14%, mentre per il quotidiano si pensa a un prolungamento extra dell’ammortizzatore. Ammesso e non concesso che l’Inpgi ce la possa fare. E in tutto questo il socio Confindustria non sembra intenzionato a versare liquidità nell’editrice, anche perché la stessa associazione non ha registrato un bilancio brillantissimo nel 2011 e a pesare sui conti è stato proprio il gruppo editoriale. Intanto le copie calano e le indiscrezioni sul bilancio del 2012 parlano di un rosso superiore ai 45 milioni di euro.
IL CAVALIERE PROMETTE POSTI, MA LICENZIA –
Quattro milioni di posti di lavoro meno 15. Proprio il giorno in cui Silvio Berlusconi promette assunzioni a vagonate, mettendo a dura prova la tetragona credulità dell’adorante curva sud, la sua Mondadori si accinge a mandare a casa 15 giornalisti di Panorama, circa un terzo di un organico di 48 persone. Di questi 15 addirittura 9 solo a Roma dove lavorano 14 cronisti e dove la redazione in pratica viene coventrizzata. Quindici sono meno di una briciola rispetto ai 4 milioni di posti annunciati (e come al solito smentiti), ma è il valore simbolico che colpisce. Prima di tutto perché se davvero il Santone di Arcore è capace di moltiplicare i pani e i pesci, viene spontaneo incitarlo a non trascurare le sue aziende. E poi perché Panorama non è un giornale qualsiasi. Chi scrive ci ha lavorato quasi 23 anni e si ricorda di quando era una corazzata, un settimanale libero e autorevole, capace di far tremare mezzo Palazzo ogni volta che arrivava in edicola. Di successo in successo i dirigenti puntavano allora al milione di copie, che non era una berlusconata, ma una mèta a portata di mano, considerati i ritmi di crescita prima che la cura Berlusconi producesse i suoi effetti.
LE VENDITE ora sono un pianto. Quanto siano le copie acquistate davvero in edicola è un mistero custodito con più cura di quelli di Fatima. Non ci sono cifre recenti ed ufficiali, ma «radio corridoio» informa che quando si raggiungono le 30 mila copie è festa. Il giornale sta in piedi con gli abbonamenti, vecchio zoccolo duro ereditato dal passato, e comunque quest’anno per la prima volta dopo mezzo secolo il bilancio chiude in passivo. Dai tempi d’oro ad oggi è cambiato tutto, non solo a Panorama e alla Mondadori, ma in Italia dove la carta stampata soffre le pene dell’inferno, e nel mondo, considerato che perfino il blasonato Newsweek deve traslocare su Internet abbandonando l’edizione cartacea. Ovunque, però, gli editori si leccano le ferite, si rimboccano le maniche e men tre tagliano non vanno in giro a promettere posti di lavoro a milionate. Con Panorama e la Mondadori sarà davvero difficile per Berlusconi scolorire le sue colpe nell’indistinto della crisi mondiale o esercitarsi nella nobile arte dello scarica-barile di cui è campione, sostenendo magari di essere stato pugnalato alle spalle. Su quella storia ci sono le sue impronte. Quando molti anni fa si impossessò dell’azienda giurò ai giornalisti che avrebbe rispettato la loro autonomia e che entrava in punta di piedi solo per proteggere benevolo con un ombrello di libertà gli azionisti-parenti Leonardo Mondadori e Luca Formenton sottraendoli alle grinfie dell’odiato Carlo De Benedetti. Dopo un attimo i due poveri cugini furono ridotti a tappezzeria e ora la casa editrice è affidata alle cure di gente di famiglia, la figlia Marina, che è la copia del padre, ma in gonnella, e l’acquiescente amministratore Maurizio Costa. A Panorama fu avviato un inesorabile ricambio di sangue, goccia dopo goccia: da parte i «comunisti», largo agli «affidabili».