Giulia Zonca, La Stampa 11/2/2013, 11 febbraio 2013
ALESSIA E I SUOI FRATELLI: L’ATLETICA CAMBIA FACCIA
[Altra vittoria nell’alto della Trost, stavolta davanti alla campionessa Hellebaut Nuovi metodi e meno pressioni: dietro di lei un settore in crisi si è risvegliato] –
Vista dall’alto dei due metri l’atletica azzurra ha tutta un’altra faccia ed è quasi strano accorgersi che esiste un mondo di giovani promettenti capaci di competere, di reggere la concorrenza, di migliorarsi. Eravamo fermi a «i ragazzi non vogliono fare atletica, troppa fatica», «non si pratica sport nelle scuole, difficile reclutare futuri campioni» e adesso guardiamo una diciannovenne vincere a ogni uscita e dei calciatori mancati che fanno risultati e dicono: «meno male che ho lasciato il pallone». Cambio di mentalità o momento felice?
A trainare il movimento c’è Alessia Trost, stella dell’alto reduce da un altro successo: ieri, al meeting indoor di Gent, in Belgio, ha battuto l’oro olimpico 2008 Tia Hellebaut. E non ci ha neppure messo tanto, a 1,95 era già da sola, poi ha provato i 2,01, un centimetro sopra il personale che ha realizzato solo a fine gennaio. Ha 19 anni ed è gia la donna da battere e non solo per le misure notevoli, per il fisico importante e per il talento evidente, l’azzurra ha carattere: «La risolleviamo quest’atletica, non vi preoccupate». Specialista in fuga dal materasso (di gara), è ossessionata dall’asticella e da qualsiasi minimo movimento che potrebbe farla cadere, così scappa letteralmente appena si rialza. A casa non parla di gare, «vietato» perché i genitori sono felici delle sue scelte ma non vogliono vederla sopraffatta dalla tensione. E così si scopre che l’ultima generazione non ha paura della fatica, è stanca delle pressioni, delle fissazioni «da vecchia scuola». Spiega meglio il concetto Michael Tumi, altra nuova leva. È uno sprinter, ha 22 anni e in febbraio ha corso i 60 metri in 6”53, tempo di tutto rispetto che lo piazza tra i migliori. Ha archiviato il calcio, da mezza punta del Montecchio si è trasformato in velocista. Passa la maggior parte del tempo in pista eppure non vuole sentir parlare di sacrifici: «Li facciamo sì, ma non li chiamerei così. È una visione cupa e mette tristezza. Abbiamo un approccio metodologico più brillante, ai tempi di Mennea era tutta mole di lavoro, adesso non si fanno più tante ripetute e ci si mette qualità: meno, ma meglio. Può anche diventare uno slogan di vita».
Anche Andrea Lalli, diventato a dicembre campione europeo di cross, ha lasciato il pallone per uno sport meno considerato. Aveva persino un contratto da professionista davanti, solo che la mamma gli ha impedito di firmare e lui non ha messo il muso: si è messo a correre. È un tipo alternativo che passa mesi in Kenya e sente il mal d’Africa però pure lui sorride davanti a certe definizioni di fatica: «Guardate che a me piace anche andare a ballare, c’è posto per più di una cosa nella mia vita». Ecco, è finita l’era dei monomaniaci, di quelli che inseguono il primo posto a tutti i costi, di quelli che si chiedono troppo e poi sbandano come Alex Schwazer. Non si sa di cosa è veramente capace questa nuova ondata, di che farà quando tutto il mondo entrerà in competizione e le gare diventeranno importanti ma di certo hanno un altro modo di guardare il mondo. E lo sport.
Ad accompagnarli c’è anche una gestione diversa, è cambiato il presidente e lo staff. Comanda Alfio Giomi, subentrato a Franco Arese che è rimasto in carica dal 2005 alle Olimpiadi di Londra, e a capo del settore tecnico c’è Massimo Magnani che lavora a stretto contatto con Stefano Baldini, oro nella maratone ai Giochi di Atene. Sembra quasi uno scherzo, da quando si sono insediati gli azzurri hanno dato segni di vita: Trost, Tumi, il record italiano indoor dell’asta della diciottenne Roberta Bruni, Giamarco Tamberi che nell’alto sale a 2,30, tanti personali, miglioramenti diffusi e fiducia inedita. «Lo so che più di un amico, chiamiamolo così, pensa che sia solo fortuna, ma la buona sorte devi andartela a cercare e soprattutto offrirle le condizioni giuste», parla il responsabile tecnico Magnani, ex atleta, già allenatore «sempre rimasto dentro l’atletica, ma prima fuori dalle istituzioni». Le «istituzioni» hanno assecondato il bisogno di un atteggiamento più rilassato e sono partite dal dialogo con gli atleti. Colloqui personali, ognuno con il suo appuntamento e accompagnato dal proprio allenatore per parlare di calendario, esigenze e aspettative: «Abbiamo dato delle linee guida chiare su quando e come fare prestazioni di alto livello. Abbiamo chiesto lavoro e offerto tranquillità perché solo così ci si prepara al meglio. Questa serenità ha fatto sì che la gente si sentisse a proprio agio e fosse disposta a dare il meglio. Non la chiamerei fortuna». Il nuovo corso non parla di soldi, «tanto sono sempre pochi, noi però vogliamo darne di più ai tecnici che sono il centro del nostro progetto. Apriremo nuovi centri per raccogliere diversi atleti, ma abbiamo abolito i capi settori. Ognuno deve sentirsi sicuro dell’appoggio dell’allenatore che lo segue da sempre».
A inizio marzo ci sono gli Europei indoor, primo appuntamento internazionale della stagione e primo test in cui si mescoleranno gli ultimi arrivati e i veterani, per Magnani un’intesa studiata: «Quelli come Donato e Di Martino, che si ripresenterà in pedana in estate, devono essere un esempio, passare il testimone in campo. Ne ho parlato con loro e ho trovato la massima disponibilità». L’erede di Fabrizio Donato, bronzo olimpico nel triplo, unica medaglia del settore a Londra, è Daniele Greco che ai Giochi è arrivato quarto e adesso scalpita spinto dalle vittorie altrui e dall’atmosfera contagiosa: «Apprezzo il nuovo corso e anche il fatto che certi parametri adesso sono molto chiari: se fai il minimo per una competizione ci vai e basta. Non devi continuamente stare stressatoper ripeterti fino a che non ti chiamano davvero. Così puoi gestirti meglio, cambia il modo di interpretare le gare», altro sostenitore della filosofia «meno pressioni». Il caso Schwazer ha lasciato il segno: sentire il marciatore raccontare che ormai non si godeva più niente e che il doping gli sembrava l’unica certezza li ha spiazzati. Hanno deciso di girarsi dall’altra parte. Quella dove ci si diverte ancora.