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 2013  febbraio 11 Lunedì calendario

LA PRIMA VOLTA FUORI DAL PALAZZO SENZA STIPENDIO E VITALIZIO

[Sono 186 gli ex parlamentari che dovranno aspettare i 60 o 65 anni per la pensione] –
Chiamarli esodati, anche se col paracadute, potrebbe suonare offensivo per gli esodati veri, dunque il paragone è improprio pure se l’istituzione per la quale hanno prestato il loro impegno, cioè il Parlamento, li ha lasciati senza stipendio e senza pensione in attesa di raggiungere i nuovi limiti di età. Ma attenzione: loro stessi l’anno scorso hanno votato questa riforma, ben sapendo che se cambiavano le regole per tutti gli italiani, stessa cosa doveva valere a maggior ragione per la cosiddetta Casta. Dunque c’è chi dovrà aspettare due anni, come Livia Turco o Veltroni, chi un anno come Rutelli e chi dieci, come Isabella Bertolini del Pdl.

E in ogni caso sono molti quelli che non avranno difficoltà a ricollocarsi, anche se costretti a tornare indietro nel tempo. Uno di questi e’ l’Udc Renzo Lusetti, classe 1958: comincerà a ricevere la sua pensione nel 2018 e ora tornerà al lavoro nell’azienda dove si mise in aspettativa dal 1987.

Conta comunque 186 nomi questa schiera di onorevoli non ricandidati e rimasti pure senza pensione, grazie alla riforma che l’anno scorso cambiò i vitalizi: fissando a 60 anni l’età per poter riscuotere l’assegno, 65 anni per chi con una sola legislatura. «Non potevamo certo permettere che in Italia ci fossero 300 mila esodati veri e infuriati e che i politici potessero riscuotere il loro vitalizio a 50 anni», spiega infatti uno degli estensori della riforma. Uno dei volti noti incappati nelle maglie di questa riforma fu la Pivetti, oggi ricandidata alla Regione Lazio e quindi in predicato di rielezione, che quest’anno avrebbe avuto diritto al vitalizio in base alle vecchie regole. Lei alla fine non presentò ricorso, ma lo fecero una trentina di onorevoli intenzionati ad aver conto e ragione dei cosiddetti diritti acquisiti. Che furono ripagati con una sonora bocciatura del loro ricorso da parte del consiglio di Giurisdizione della Camera, presieduto dal finiano Consolo.

E così dunque, scremate le liste, spuntate le varie ricandidature dei 945 parlamentari uscenti, grazie allo screenig fatto dall’istituto Hume si vede che in questa terra di mezzo resta un nutrito numero di deputati e senatori. Quasi sempre in grado di rientrare in gioco senza problemi, visto che la schiera di professionisti nei rami del parlamento è alta: avvocati, notai, commercialisti, medici, giornalisti, ma anche molti docenti e lavoratori dipendenti. Ma ci sono i casi più disparati: due ambientalisti come Della Seta e Ferrante, non ricandidati anche se dopo una legislatura provenienti dalle fila di Legambiente, dovranno convertire il loro impegno politico in altre forme. Francesco Pionati, candidato nel Lazio, potrà invece rientrare in Rai, mentre Andrea Sarubbi non essendo negli organici, perché lavorava a contratto, resta fuori.

Ma a parte tutto va detto che – come per chiunque lasci un posto di lavoro ognuno di questi 186 non dovrà ripartire proprio da zero: tutti riceveranno un assegno di fine mandato (quello che in Germania e Francia viene chiamato sussidio di reinserimento lavorativo), pari all80% dell’importo mensile lordo dell’indennità per ogni anno di mandato effettivo: circa 46 mila euro per una legislatura, 140 mila per tre mandati, importi ricavati dal monte di contributi versati ogni mese da ogni singolo deputato.

E in questa lista dei 186 figurano comunque i nomi più disparati, da Franco Frattini a Massimo Calearo, dallo scrittore Gianrico Carofiglio a Marco Follini, da docenti universitari come Giovanni Bachelet, Stefano Ceccanti o Salvatore Vassallo, all’ex capogruppo leghista Marco Reguzzoni, fino agli ex An, come Adolfo Urso e Andrea Ronchi. E dai non ricandidati finiti nella tagliola delle liste pulite, come Papa, Cosentino, Milanese del Pdl, Luongo o Papania del Pd, fino a Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita.