Fabio Martini, La Stampa 11/2/2013, 11 febbraio 2013
QUANDO TRIBUNA ELETTORALE TRASFORMÒ I POLITICI IN STAR
[Oggi il ritorno della storica trasmissione Rai: meno spettacolo dei talk show, ma più imparzialità] –
C’ era una volta - e oggi sembra incredibile una stagione nella quale i leader si giocavano tutte le chances elettorali in uno spazio televisivo ridottissimo: novanta minuti e finiva tutto lì, il politico si rivedeva in tv un anno dopo. Erano i tempi della “Tribuna elettorale” della Rai, per decenni l’unica trasmissione di politica e della quale, stasera alle 21 su RaiDue, inizia una nuova serie: sotto la denominazione di “Conferenza stampa” di Rai Parlamento. Ma l’erede delle vecchie Tribune è soltanto una delle tantissime trasmissioni dedicate alle elezioni, destinata a confondersi in un mare magnum di appuntamenti che - mai come quest’anno proliferano su tutte le reti. Una striscia ininterrotta che inizia alle 7,50 e prosegue fino all’una di notte: una non-stop di circa 100 ore a settimana, un assalto ai telespettatori senza precedenti nella storia italiana, una presenza dei leader dai tratti quasi ossessivi.
Eppure, l’epopea lontana delle Tribune Rai è una parte di storia patria che racchiude episodi sconosciuti, gustosi e premonitori, ma anche uno stile informativo in gran parte disperso e ancora attuale. Tutto ebbe inizio la sera dell’11 ottobre 1960, nell’era del bianco e nero e del canale unico e fu una concessione di Amintore Fanfani ai socialisti che chiedevano una tv più aperta. Fino a quel giorno il viso e la voce dei leader erano quasi sconosciuti agli italiani che non frequentasseero i comizi in piazza e l’avvio di quel ciclo di “Tribune elettorali” fu un evento: si presentò il ministro dell’Interno Mario Scelba, vestito di grigio, un po’ impacciato ma con un incipit a suo modo profetico. I politici - disse - non possono «avere le qualità fisiche di coloro che sono così popolari tra i telespettatori» e quindi Scelba invitò gli italiani ad accontentarsi e ad «accettare tutti, belli o brutti che siamo, e così come siamo fatti». L’affettata modestia espressa da Scelba (inamidato come tutti i suoi contemporanei, che erano abituati a gestire le folle e non le telecamere), venne ribadito tre settimane dopo da un personaggio come Palmiro Togliatti: «Voglio scusarmi se la mia esposizione...». Ma l’epifania del segretario comunista fu un evento nella plumbea Rai dell’epoca: né lui né il socialista Pietro Nenni né il missino Arturo Michelini si erano mai visti prima di allora in tv. E anche grazie agli altri leader, la Tribuna fu un grande, inatteso successo: 14 milioni di spettatori di media. Uno scrittore corrosivo come Achille Campanile scrisse: «La temuta barba si è rivelata il maggior successo televisivo della stagione»
Al successo contribuì una formula ben pensata e innovativa nella tv conformista di quei tempi: vi partecipavano giornalisti estratti a sorte, alcuni dei quali protagonisti di strepitosi numeri, come il socialdemocratico Romolo Mangione che prendeva di mira Togliatti e una volta si sentì rispondere: «Lei si chiama Mangione, ma di politica ne mangia poca». Ma il successo delle Tribune era legata anche ad uno stile, alla conduzione di giornalisti che restituivano una sensazione di affidabilità: l’antesignano Giorgio Granzotto, Ugo Zatterin, Giorgio Vecchietti, Luca di Schiena, Dino Basili, Willy De Luca, Luciana Giambuzzi, tutti sotto la regia di Jader Jacobelli: «E proprio lui era il dominus, il principale artefice di quell’understatement - racconta Basili, uno degli ultimi testimoni-protagonisti di quella stagione - Jacobelli era talmente autorevole da non subire l’influenza dei direttori generali né dei leader politici». Naturalmente il successo di “Tribuna elettorale” (e della sorella “Tribuna politica”) era legata alla mancanza di concorrenza, almeno fino alla fine degli anni Settanta, con i primi talk show in casa Rai e l’apparizione delle tv private. Molto giocava anche un fatto: ogni segretario aveva a disposizione un unico “colpo” e questo trasformava le Tribune in occasioni che non si potevano sbagliare. Racconta Dino Basili: «Arrivavano quasi tutti molto nervosi. Craxi, sotto il tavolo, aveva una sorta di ballo di San Vito, muoveva senza sosta le gambe, non vedeva l’ora di finire. Una volta avevamo terminato i due giri di domande, dissi che c’era tempo ancora per farne qualche altra ma lui mi bloccò: no, la Tribuna è finita qui! Berlinguer? Pur risultando alla fine preciso, arrivava molto teso, diffidente, come se temesse trabocchetti e infatti quando arrivava la domanda, subito dopo era come rilassato. Una volta gli offrii una caramella e lui, così schivo, accettò e poi me ne chiese un’altra». I democristiani Moro, Fanfani, De Mita? «In genere molto freddi, sapevano di dover dar conto dell’azione del governo, mediamente si presentavano preparati». E da stasera? Nella stagione dei talkshow “caldi” ma spesso faziosi - gli eredi della gloriose Tribune Rai, si concedono una promessa: «Le regole sono diverse - dice il direttore di Rai Parlamento Gianni Scipione Rossi - e se ci sarà meno spettacolo, possiamo garantire imparzialità e contenuti».