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 2013  febbraio 11 Lunedì calendario

REGIONI, LA RIFORMA DIMENTICATA

Nella brutta campagna elettorale in corso, caratterizzata da troppe acri polemiche, se non da incredibili sparate demagogiche, sembra che ci si sia quasi del tutto dimenticati dei programmi o – meglio – dei problemi della nostra società a cui cercare di dare risposte praticabili e convincenti, anche secondo quanto si era largamente promesso.

Fra questi problemi che sembrano improvvisamente scomparsi, salvo qualche implicita minaccia separatista, ci sono addirittura le Regioni, grandi ed autorevoli soggetti rappresentativi, responsabili di politiche e servizi pubblici fra i più importanti per i cittadini e per la stessa funzionalità complessiva del nostro sistema istituzionale: basti pensare che dal loro funzionamento dipende in larga parte il nostro sistema sanitario e quello assistenziale, le scelte urbanistiche, i trasporti locali (solo per fare pochi esempi). Tutti però concordano che, così come sono, le Regioni sono non poco in crisi, perché a vecchi elementi di disfunzionalità si sono venuti sommando tutti i problemi del mancato decollo delle riforme costituzionali che fra il 1999 ed il 2001 hanno profondamente modificato il Titolo V della Costituzione, che appunto disciplina l’ordinamento regionale e locale.
Per evidenti motivi politici queste riforme costituzionali sono state abbandonate a se stesse, mentre avrebbero richiesto molteplici leggi statali specificative ed attuative; ci si è in sostanza limitati a progettare un complesso sistema di finanziamento «federale», che peraltro è restato largamente sulla carta, mentre troppo spesso lo Stato centrale ha preteso di operare come se le riforme costituzionali non fossero intervenute: da tutto ciò l’esplosione della conflittualità fra Regioni e Stato (nel 2012 le sentenze della Corte costituzionale relative ai conflitti Stato/Regioni sono state pari al doppio di tutte le altre sentenze, relative ai cittadini ed ai gruppi sociali).

Sembra evidente che il nostro sistema istituzionale non possa continuare a funzionare in una situazione di permanente ed irrisolta conflittualità, se non di radicale incomprensione, fra istituzioni nazionali e istituzioni locali: i poteri esercitati a livello regionale sono troppo ampi e rilevanti perché possano essere ancora sopportati gravi difetti e disfunzionalità che mettono seriamente in gioco il nostro Stato sociale, se non la qualità della nostra democrazia. Occorre perciò uscire, una volta per tutte, dall’inconcludente ed ormai pericolosa guerriglia fra autonomisti ed anti-autonomisti, fra sedicenti federalisti e centralisti fuori tempo, ricercando precise prospettive da perseguire e l’effettiva piena organicità dei processi correttivi dell’esistente. Ciò anche ripensando alle stesse motivazioni di fondo di queste istituzioni, dal momento che enormi sono state le trasformazioni sociali, economiche, tecnologiche intervenute nelle realtà locali rispetto al momento in cui le Regioni sono state progettate.

Ma ciò senza farsi travolgere da critiche semplicistiche, che sono giunte perfino a proporre di sopprimere le Regioni, quasi che si potesse ipotizzare di attribuire a nuove burocrazie statali tutto ciò che si è in qualche misura finora dato loro e fosse anche concepibile eliminare la selezione da parte del corpo elettorale di rappresentanti a livello regionale. Le stesse critiche che si fondano sui gravi episodi di malcostume di parte delle classi politiche regionali, dovrebbero considerare che purtroppo qualcosa di analogo è emerso in tante altre istituzioni pubbliche e private.

Occorre, invece, avere il coraggio di una nuova configurazione delle nostre istituzioni nazionali e regionali, correggendo decisamente i maggiori difetti emersi, senza peraltro negare il superamento dello Stato burocratico accentrato. Mi permetto di indicare tre sole linee di fondo praticabili in questa direzione: in primo luogo, occorre adeguare l’assetto del nostro Parlamento (la cui composizione deve essere comunque ridotta) alla presenza di forti autonomie territoriali, lasciando alla Camera la natura di Camera politica e caratterizzando il Senato come Camera rappresentativa anche delle autonomie regionali e quindi essenzialmente destinata ad essere la sede autorevole delle necessarie intese fra gli interessi nazionali e quelli esercitabili localmente (nessuna elencazione delle diverse competenze di Stato e Regioni, anche migliore di quella attuale, può da sola ridurre drasticamente la conflittualità!).

In secondo luogo, occorre configurare seri meccanismi di bilanciamento fra l’autonomia finanziaria regionale, i finanziamenti perequativi ed i poteri di controllo statali, nonché procedure di effettivo controllo ed autocontrollo su quanto viene attribuito alla discrezionalità delle Regioni, al fine di tutelare pienamente la piena legalità del loro operato.

In terzo luogo, infine, occorre farsi carico delle specialità e differenziazioni che siano motivatamente richieste dalle diverse comunità regionali, superando le arcaiche e dubbie normative attuali, che distinguono troppo rigidamente alcune Regioni dalle altre.