Guido Ruotolo, La Stampa 9/2/2013, 9 febbraio 2013
“LA STORIA DEL MONTE È TUTTA FATTA DI SCONTRI INTERNI ALL’EX PCI”
[La difesa di Denis Verdini: vogliono mettermi in mezzo] –
Vogliono tirarmi dentro una storia che non esiste. Solo gli ignoranti possono credere a una intrusione politica o affaristica esterna. Insomma, per capire i problemi di Mps bisogna aver presente che nascono e muoiono dentro i confini di Siena. E’ la senesità portata all’eccesso, la causa di questa disfatta». E prima Andrea Pisaneschi, ex cda Monte dei Paschi e primo presidente di Antonveneta appena comprata. E adesso il senatore Paolo Amato che dal Pdl è passato al gruppo misto. Poi gli atti dell’inchiesta di Firenze sul Credito cooperativo fiorentino. Denis Verdini, il numero uno dell’organizzazione del Pdl, non ci sta a essere trascinato dentro questa storia. Vede stringersi il cerchio della Procura di Siena attorno a sé, avverte una strumentalizzazione elettorale e vuole giocare d’anticipo: nei prossimi giorni convocherà una conferenza stampa nella quale si difenderà e accuserà.
Intanto, con i suoi collaboratori, sta ricostruendo la trama di questa vicenda. Quella che segue è appunto la sua autodifesa fatta con i suoi collaboratori. E qualche sassolino dalla scarpa è pronto a togliersi: «Capisco il Capo dello Stato e il Governatore della Bce, ma francamente è azzardato sostenere che Bankitalia abbia vigilato con celerità. Sono passati più di due anni dalla scoperta delle anomalie di Mps e non è stata comminata neppure una sanzione. Alla mia banca sono arrivati gli ispettori a maggio, la Banca è stata commissariata a luglio e subito dopo sono arrivate le sanzioni».
«Non esistono rapporti tra Denis Verdini e Monte dei Paschi di Siena. Neppure un conto corrente. Nel 2008 fu il Mps a guidare alcune banche per un prestito di 150 milioni di euro alla Btp del suo amico Riccardo Fusi. A un certo punto mancavano 10 milioni e Fusi si rivolse a Verdini. Effettivamente il Credito cooperativo fiorentino (la banca di Verdini, ndr) ha aderito al pool e successivamente ha chiesto all’Mps di riaccollarsi quei 10 milioni, come si evince dalle telefonate e dalla lettera a Mussari, si tratta di rapporti istituzionali che però non diedero alcun frutto». La procura di Firenze ha depositato gli atti con l’accusa di un giro di false fatturazioni per operazioni inesistenti. Sul punto Verdini si difenderà nell’aula del tribunale di Firenze. Tra gli indagati c’è un gruppo di avvocati tra cui Andrea Pisaneschi.
E’ evidente che l’attenzione degli inquirenti senesi e del Valutario della Finanza, in questa fase delle indagini, sia rivolta al ruolo di Andrea Pisaneschi e agli intrecci con il Credito cooperativo fiorentino di Denis Verdini. E l’esponente nazionale del Pdl respinge questa «suggestione», come sottolinea il suo collaboratore: «Non è vero che Pisaneschi fu messo nel Cda di Mps da Verdini o dal Pdl. E’ vero invece che fu indicato da quei circoli senesi estranei al Pci poi diventato Pds, Ds e oggi Pd». Ancora una volta ribadisce che per leggere gli eventi di Mps «occorre inforcare le lenti della senesità. Solo quando fu rinominato ai vertici di Mps si creò un rapporto con il Pdl». Quante volte Verdini ha incontrato Pisaneschi? «Al massimo quattro». Quante volte l’ha sentito al telefono? «Meno di cinque». E’ vero, non avevano un rapporto di amicizia ma è ingiusto che «Pisaneschi abbia sostenuto che Verdini lo odiasse». Tra loro «c’era una convivenza civile».
Questa storia della «senesità» rischia di apparire fuorviante. Ma lui insiste sul punto. I suoi collaboratori si trasformano in pedagoghi: «Attraverso la Fondazione si orienta la politica di Mps. E la Fondazione viene nominata dagli enti locali. Su 16 membri solo uno è espressione del centrodestra. E’ un ex giornalista della Nazione prima politico di An e poi entrato in fondazione, Enrico Bosi. E’ indipendente e non può essere equiparato a un funzionario di partito, come si può affermare per altri componenti della Fondazione. Il partito, l’ente locale, la banca. E poi il Palio. E’ questa la senesità figlia di una politica del partito comunista diventato oggi Pd che soffoca la vita della città. Unico caso al mondo, una città strana che in un secolo produce un esercito di banchieri».
Da banchiere, si potrebbe dire da «collega», Denis Verdini, ha le idee molto chiare su quanto accaduto a Siena e nel Mps: «Tutto ha inizio una decina di anni fa quando il sindaco Piccini, molto popolare, funzionario di Mps, doveva diventare presidente della Fondazione. Tra i Ds scoppiano contrasti interni, e anche Massimo D’Alema partecipa alla disputa. Piccini viene defenestrato e al suo posto viene nominato il suo migliore amico, Giuseppe Mussari, giovane studente-funzionario del Pci. E’ la stagione delle operazioni sballate, a partire da Banca 121 e i suoi prodotti discutibili. Nel 2007-2008 il mondo internazionale delle banche si trasforma: Mps vuole giocare la partita, uscendo dall’uscio di Siena. E l’unica possibilità che si ritrova per diventare la terza banca italiana è quella di comprare Antonveneta».
Operazione sballata? Troppo onerosa? Fanno riflettere tre miliardi di plusvalenze in due mesi appena. Denis Verdini, infierisce fino a un certo punto: «Che si dovesse pagare un prezzo superiore alla banca fu accettato come sacrificio sull’altare dell’unica e ultima occasione. Diventando la terza banca del Paese, Siena pensava di proiettarsi in Europa con la consapevolezza dei rischi che questo comportava. Ma quello che abbiamo appreso oggi è che oltre ad essere una operazione troppo onerosa, fu fatta con negligenza perché senza uno straccio di “due diligence”. Fu comprata a scatola chiusa. Sicuramente un’anomalia. Per Antonveneta si indebita la Fondazione, altra anomalia, si inventano operazioni con scambio di titoli (svalutati che si comprano a rate) per nascondere i buchi in bilancio. Si svendono titoli che poi si rivalutano, si comprano titoli che poi crollano». Il resto è cronaca giudiziaria di queste ore.