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 2013  febbraio 09 Sabato calendario

PERCHÉ GOVERNARE L’ITALIA È SEMPRE UNA FATICA DI ERCOLE

Parlare male della classe politica italiana è oggi secondo me, un po’ come sparare sulla Croce Rossa. Banale e scontato. Ma è davvero soltanto colpa di chi ci rappresenta se da decenni nel nostro Paese non si riesce a cambiare nulla?
Se quando era al governo, nessuno degli schieramenti è riuscito veramente a realizzare il proprio programma? Ma se il centrosinistra non ha mai concretizzato la legge sul conflitto di interessi, la Lega Nord il suo mitizzato federalismo e Silvio Berlusconi quella riforma elettorale che consenta il bipartitismo, non è che, a prescindere dalla capacità e dalla volontà di costoro, il problema sia e stia altrove?
Mario Taliani
Noceto (Pr)
Caro Taliani, proverò a suggerire almeno quattro ragioni che rendono i partiti italiani, quando vanno al governo, «insolventi». La prima è istituzionale. Il presidente del Consiglio non è né un Primo ministro né un cancelliere. Non può zittire i suoi ministri quando rilasciano interviste in cui contraddicono la linea del governo. Non può revocarli quando si rivelano incompetenti o inefficienti. Non può sciogliere le Camere: un provvedimento che serve in altre democrazie a mantenere in fila i deputati della maggioranza.
La seconda è la struttura corporativa della società nazionale. Il Paese è un arcipelago di isole e isolotti che resistono fieramente contro ogni norma suscettibile di intaccare i loro privilegi. Penso agli ordini professionali, alle associazioni di categoria, alle rappresentanze sindacali (fra cui vi è, naturalmente, anche Confindustria), a poteri che hanno acquistato una forte autonomia come l’ordine giudiziario o la Conferenza episcopale. E penso a quelle famiglie criminali e affaristiche che controllano voti e territori. Il potere in Italia è di tutti e di nessuno.
La terza è il divario fra il Nord e il Sud del Paese. Le leggi utili alle regioni settentrionali non piacciono al Sud o non si adattano alle sue condizioni economiche. Le leggi preferite dal Sud sono spesso quelle che frenano il dinamismo della parte più produttiva dell’Italia. Questa dualità incide sulla politica nazionale. Nessun partito può occupare Palazzo Chigi senza conquistare anche i voti del sud. E nessun partito, se vuole conservare il potere, potrà ignorarli. Il risultato è spesso una combinazione di compromessi, soluzioni zoppicanti e occhi che si chiudono per non guardare.
La quarta non è solo italiana, ma sembra manifestarsi da noi in modo più grave. Lo sviluppo dell’Unione europea ha progressivamente eroso la sovranità dei singoli Stati e la globalizzazione ha esposto tutti i governi nazionali all’esame quotidiano dei mercati. In Gran Bretagna (forse il Paese più euroscettico dell’Ue) le leggi del Regno Unito scritte a Bruxelles sarebbero ormai, secondo i giornali britannici, il 70% della legislatura nazionale. I programmi elettorali che non tengano conto di questa realtà sono difficilmente applicabili e le promesse non mantenute finiscono per intaccare la credibilità dell’esecutivo e della classe politica. L’alternanza dei partiti al governo è una caratteristica delle buone democrazie. Ma troppa alternanza, come è accaduto in Italia dal 1994 a oggi, dimostra che ogni governo delude i propri elettori. Quanto ai mercati, caro Taliani, il loro giudizio è senza appello. La legge Fornero sul mercato del lavoro è stata materia di un negoziato che ha diluito lungo la strada molte delle sue caratteristiche iniziali. Le soluzioni largamente concordate piacciono alla cultura politica italiana. Ma se gli investitori internazionali giungeranno alla conclusione che il nuovo art. 18 non ha reso il mercato più flessibile, la legge sarà stata inutile.
Sergio Romano