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 2013  febbraio 09 Sabato calendario

WATSON, COMPUTER IN CORSIA. DAI QUIZ ALLA CURA DEI TUMORI —

«Vede la scheda di questa paziente colpito da tumore polmonare?» chiede Mark Kris, capo del dipartimento di Oncologia toracica dello Sloan-Kettering Cancer Center, l’ospedale di New York celebre per le sue terapie avanzatissime, «porto della speranza» dove approdano molti ammalati di cancro da tutto il mondo. «Noi inseriamo nel supercomputer, che ha assimilato milioni di pagine di manuali medici e ha nella sua memoria decine di migliaia di casi clinici risolti, i dati del malato: ciò che sappiamo di lui, della sua patologia, i risultati dei test clinici. La macchina — che ha potenzialità straordinarie grazie alla sua capacità di comprendere il cosiddetto "linguaggio naturale", le parole con le quali ci esprimiamo abitualmente — risponde con la diagnosi e diverse proposte di terapie, ancora approssimative. Indica anche le percentuali di successo che ha calcolato sulla base della sua esperienza. Man mano che andiamo avanti, che si manifestano nuovi sintomi e arrivano altri test e i primi dati sull’effetto delle cure, Watson aggiorna tutto in tempo reale e diventa più preciso. Le probabilità che la terapia suggerita sia quella giusta superano il 90%. La paziente mi chiama e mi dice che al mattino ha espettorato saliva mista a sangue. Inserisco il dato e il sistema mi offre un adeguamento della cura».
Watson, il supercomputer dell’Ibm che due anni fa ha sbancato «Jeopardy», il telequiz più popolare d’America, è diventato adulto: il gigante americano dell’informatica, che ha concentrato su questa macchina il più grosso investimento della sua storia, ne ha sviluppato versioni per applicazioni industriali e per la finanza di Wall Street. Ma quella più importante e rivoluzionaria riguarda la medicina.
Sempre più potente e veloce, ma anche sempre più piccolo, il «dottor Watson» che, finita la fase sperimentale, è pronto per essere venduto sul mercato (per ora quello ospedaliero americano, coi servizi offerti a distanza attraverso la «cloud», una nuvola digitale), ha ora le dimensioni di un frigorifero alto quasi due metri. Dall’autunno scorso Watson viene usato sperimentalmente in alcuni centri specializzati nella lotta al cancro: dallo Sloan-Kettering e il Columbia Medical Center di New York alla Cleveland Clinic. «Abbiamo cominciato a metà 2011» racconta il general manager Ibm per il «public sector», Dan Pelino, «e ci siamo imposti un basso profilo. Inutile illudere, abbiamo deciso di stare zitti finché non eravamo sicuri. Ma i risultati sono spettacolari e ora possiamo uscire allo scoperto: questa è roba che cambia il panorama della medicina. Non deve credere ai nostri comunicati stampa: chieda ai medici».
E i medici concordano, anche perché Ibm ha avuto la preveggenza di associarsi ai centri oncologici più avanzati d’America e del mondo e alla WellPoint, la più grossa mutua privata degli Stati Uniti che ha 36 milioni di assicurati, un americano su nove. Ma davvero l’era della sanità digitale, tante volte annunciata e mai materializzatasi, sta arrivando? I medici, fin qui non troppo aperti al cambiamento, non temono di diventare schiavi del computer e magari, in futuro, dei semplici intermediari?
«A oggi non ho visto niente di simile» risponde il direttore esecutivo della Cleveland Clinic, Chris Coburn. «Per i nostri medici Watson è un assistente che aiuta a non sbagliare. Inquadri il caso, ma nessuno può essere sempre aggiornato su tutto». Ci sono mutazioni genetiche rare rispetto alle quali qualcuno nel mondo ha scoperto che quel certo farmaco non è efficace. Il medico può non saperlo, ma nel database di Watson l’informazione c’è. «E poi» aggiunge Coburn, «Watson raccoglie e aggiorna la storia clinica, prepara le richieste di autorizzazione dei trattamenti da inviare alle assicurazioni. Tempo risparmiato che il medico può destinare al paziente. È essenziale in una struttura d’eccellenza come la nostra che riceve malati da tutti i Paesi».
Ma chi garantirà l’infallibilità di Watson? Chi tutelerà la «privacy» del paziente? E quale medico, che ha pur sempre l’ultima parola, oserà prescrivere terapie diverse da quelle suggerite della macchina onnisciente? «Dubbi legittimi, si troveranno correttivi e garanzie, ma la strada è questa e va percorsa speditamente» tira dritto Lori Beer, vicepresidente di WellPoint. «La famiglia americana media guadagna 50 mila dollari l’anno con spese mediche per 18 mila, coperte solo per metà dalle assicurazioni. È insostenibile, dobbiamo trovare rimedi nella tecnologia. Negli Stati Uniti ogni anno abbiamo 1 milione e 600 mila nuovi casi di tumore. E il costo delle cure anticancro cresce a velocità tripla rispetto alle altre patologie. Oltre a medici e pazienti, Watson aiuta anche noi. Ci fa risparmiare, se evita di duplicare test clinici e trova la terapia giusta».
Massimo Gaggi