Notizie tratte da: Edward N. Luttwak # Il risveglio del drago. La minaccia di una Cina senza strategia # Rizzoli 2012 # pp. 280, 18 euro., 9 febbraio 2013
Notizie tratte da: Edward N. Luttwak, Il risveglio del drago. La minaccia di una Cina senza strategia, Rizzoli 2012, pp
Notizie tratte da: Edward N. Luttwak, Il risveglio del drago. La minaccia di una Cina senza strategia, Rizzoli 2012, pp. 280, 18 euro.
(vedi anche biblioteca in scheda 2230617
e libro in gocce in scheda 2243288)
Negli ultimi anni il prodotto interno lordo cinese ha sempre registrato una crescita superiore al 9 per cento annuo: il doppio di crescita sostenibile dell’economia statunitense e quasi il triplo di quello delle economie europee mature.
La spesa militare cinese, a quanto si dice, è aumentata di pari passo con l’economia nel suo insieme, con stime nell’ordine del 9 per cento annuo in termini reali: un tasso fenomenale alla luce del periodo di stagnazione o anche di declino registrato in tutto il mondo, Stati Uniti compresi (se si escludono i costi delle guerre in corso).
Con una serie di negoziati bilaterali, la Cina ha concesso all’Afghanistan il 100 per cento del territorio rivendicato, l’82 per cento al Laos, il 66 per cento al Kazakistan, il 65 per cento alla Mongolia, il 94 per cento al Nepal, il 60 per cento alla Corea del Nord, il 98 per cento al Tagikistan e il 50 per cento al Vietnam (ciò in netto contrasto con l’intransigenza in materia di rivendicazioni marittime). I cinesi consideravano i territori in questione beni negoziabili: uno degli obiettivi dei cinesi era spianare la strada al commercio transfrontaliero, che non aveva importanza economica per il Paese, ma ne aveva di politica a livello locale, per arricchire e rendere stabili le irrequiete popolazioni di confine. Nello stesso tempo miravano a togliere ostacoli alla cooperazione per la sicurezza in quelle aree, le cui popolazioni sconfinano nei Paesi limitrofi.
I massimi leader cinesi non si fidano di chi li protegge. Esempio: lo Zhongnanhai, vasto complesso al centro di Pechino, che ospita padiglioni per riunioni, edifici del partito e residenze dei leader. La sua porta principale è protetta da tre forze di polizia totalmente separate tra loro, che indossano uniformi diverse: nera la polizia di Stato, verdi la polizia paramilitare, bianche gli agenti di sicurezza. Ognuna con i propri ufficiali, che rispondono a uffici ministeriali diversi. Nessuna delle tre forze gode della piena fiducia.
Quando i residenti della zona attorno allo Zhongnanhai si svegliarono, il 25 aprile 1999, trovarono per le strade circa 10.000 manifestanti del movimento Falun Gong: un raduno impossibile senza la complicità della polizia, o almeno senza la sua passività intenzionale.
Le relazioni estere della Cina, da sempre fondate sulla politica dei tributi. Il più grande beneficio concesso dall’impero ai vicini barbari tributari a lui assoggettati era la loro inclusione nella sua sfera etica e politica (Tianxia), il cui centro era l’imperatore. Essere accolti nel Tianxia significava essere elevati al di sopra dei barbari che ne restavano fuori. I tributari a loro volta confermavano la supremazia etica e politica dell’imperatore con la loro obbedienza deferente.
Liu Ching, consigliere imperiale, nel 199 a.C. formulò le tecniche da utilizzare quando si ha a che fare con i barbari (in particolare con i resistenti nomadi a cavallo Xiongnù). Prima la “dipendenza”: i barbari dovevano essere resi dipendenti dai beni raffinati prodotti dalla Cina Han, forniti prima gratuitamente, sotto forma di tributo non richiesto, avrebbero potuto continuare a essere forniti più tardi, in una posizione di maggiore forza, e solo in cambio di servizi resi. Poi “l’indottrinamento”: i barbari devono essere persuasi ad accettare il sistema di valori dell’imperatore (ciò capitava, per esempio, dando in moglie una figlia dell’imperatore a un capo barbaro).
Questo è anche il tipo di rapporti instaurati dalla Cina con le altre potenze, per esempio gli Stati Uniti: all’inizio concedere alla potenza superiore tutto quello che deve essere concesso per evitare danni e trarre tutti i vantaggi possibili; avviluppare il capo o la classe di governo della potenza superiore in reti di dipendenza materiale; infine, quando la potenza superiore di un tempo risulta sufficientemente indebolita, ritirare tutti i segni di uguaglianza e imporre la subordinazione.
Moltiplicarsi degli interventi geo-economici contro la crescita cinese. Esempi: negli Stati Uniti l’importazione dalla Cina di apparecchiature per impianti di telecomunicazione è stata proibita dal dipartimento della Difesa minacciando di non sottoscrivere contratti di servizio pubblici con le società di telecomunicazioni; stesso divieto nel 2010 in India, che allora era già il maggiore mercato mondiale per la Cina in quel campo; in Argentina e Brasile nel 2011 è stata vietata la vendita agli stranieri di terre da destinare all’agricoltura e all’allevamento (misura mai presa quando gli acquirenti erano americani o europei, ma subito realizzata al comparire dei cinesi). Inoltre: il Brasile, quando si è accorto che negli scambi con la Cina stava diventando semplicemente fornitore di materie prime e importatore di prodotti (il che provocava la deindustrializzazione), ha deprezzato i valore del real per bilanciare la sottovalutazione dello yuan.
In Australia sono state proibite ai cinesi le acquisizioni di quote in tutti i tipi di imprese, che invece restano ancora libere per europei, americani e giapponesi.
In Mongolia, Paese che possiede il più vasto giacimento di carbone a basso tenore di zolfo non ancora sfruttato, nel 2011 il governo ha deciso di costruire un collegamento ferroviario con il nord, verso la Federazione russa, piuttosto che verso sud, proprio per limitare la dipendenza economica dalla Cina.
Percentuali dei giudizi negativi sul ruolo economico della Cina nel 2005 e nel 2011: Francia dal 31 al 53 per cento; Canada dal 37 al 55 per cento; Germania dal 44 al 55 per cento; Italia dal 47 al 57 per cento, Stati Uniti dal 45 al 54 per cento. L’ostilità è aumentata anche in due Paesi in cui nel 2005 era inferiore alla media: Regno Unito dal 31 al 41 per cento; Messico dal 18 al 43 per cento.
L’emergere della Cina come potenza militare è giudicato negativamente dal 76 per cento delle persone in Corea del Sud e dal 63 per cento nelle Filippine. Anche il 76 per cento degli australiani ha in proposito un parere negativo, così come l’88 per cento dei giapponesi. Tra i vicini della Cina, solo Pakistan (11 per cento di negativi) e India (24 per cento) vedono la cosa favorevolmente. Tra i Paesi lontani, che dunque non hanno motivo di temere dispute territoriali, le percentuali di negativi sono ugualmente alte: 88 per cento in Germania, 81 in Italia, 69 per cento in Inghilterra e Russia, 82 per cento in Canada, 79 per cento negli Stati Uniti.
La Cina, nonostante ripetute sconfitte ricevute in passato da parte di invasori tutto sommato primitivi, è convinta della superiorità delle proprie abilità strategiche enunciate negli scritti millenari sull’arte del governo e della guerra, che sono anche materia d’esami (tra questi il più noto è L’arte della guerra attribuito a Sun Tzu).
Seguendo gli esempi dei testi antichi, i cinesi sono convinti che le dispute di lunga durata con gli altri Paesi si possano risolvere provocando deliberatamente una crisi, per poi avviare negoziati. Se ne ebbe un esempio nel 2007, nell’ambito dell’antica disputa irrisolta con l’India, relativa alla regione dell’Arunachal Pradesh, il “Tibet meridionale”. Mentre era già stato negoziato un accordo, la Cina rifiutò all’improvviso di concedere il visto d’ingresso a un funzionario indiano: siccome era nato nell’Arunachal Pradesh che, secondo i cinesi, faceva parte della Cina, il funzionario non avrebbe avuto bisogno di un visto per entrare in Cina, che era il suo Paese. Volendo provocare una reazione e le conseguenti trattative, la Cina ottenne solo la chiusura del negoziato con l’India e un piccolo avvicinamento di questa agli Stati Uniti.
«La leadership cinese intende insistere nel perseguire obiettivi incompatibili: una rapidissima crescita economica e una rapidissima crescita militare e un proporzionale aumento dell’influenza globale. E la logica stessa della strategia a dettare l’impossibilità di progressi simultanei in tutti e tre i campi: inevitabilmente, il potenziamento militare della Cina sta già suscitando reazioni – ancor più, com’è ovvio, per via della sua rapidità. Tali reazioni, a loro volta, stanno già ostacolando, e lo faranno sempre più, il contemporaneo progresso nei tre ambiti – economico, militare e diplomatico , sia pure certamente in diversa misura. Tutto ciò è assiomatico finché continuano a esistere Stati indipendenti tra i vicini e i pari a livello mondiale della Cina».
Alcune risposte all’ascesa della Cina sono già in corso, malgrado non ci sia coordinamento internazionale. Qualche esempio: avvio di dialogo tra India e Giappone che ha già portato alla presenza reciproca nelle scuole militari e alla cooperazione di intelligence focalizzata sulla Cina; il sostegno del Giappone al Vietnam in funzione anticinese, soprattutto per questioni marittime; la visita in Giappone, nel 2011, del primo ministro australiano con un’agenda strategica indirizzata al contenimento cinese.
«Quando uno Stato delle dimensioni e dell’importanza della Cina persegue il potenziamento militare [...], provoca un riallineamento generale delle forze contro di esso, poi ché gli alleati si fanno cauti e si ritirano su posizioni neutrali, chi prima era neutrale diventa un nemico e i nemici vecchi e nuovi si coalizzano in alleanze formali o informali contro la potenza cresciuta troppo in fretta».
«A parte tutti i Paesi minacciati dalle rivendicazioni marittime cinesi massimaliste e l’India, il cui oggetto del contendere sono i confini terrestri, l’influenza cinese è diminuita anche altrove nel mondo, a dispetto dell’aumento costante d’importanza della sua economia e dei tangibili benefici che ne conseguono, dal momento che Paesi tanto diversi come Australia e Myanmar si sono mossi per resistere alle pressioni cinesi, spesso cercando un rapporto più stretto con gli Stati Uniti ma anche con la Federazione Russa».
Il fallimento strategico della Cina è evidente nell’accresciuta influenza degli Stati Uniti in tutta l’Asia orientale: hanno ripreso vita antiche alleanze (per esempio con le Filippine e il Giappone), e sono nati legami simili ad alleanze (per esempio una cooperazione in ambito militare firmata con il Vietnam, ma anche accordi limitati ed embrionali con l’India e l’Indonesia). Se si aggiungono Paesi in cui l’intesa con gli Stati Uniti non si è mai indebolita (Singapore e Australia), si può vedere che è atto una resistenza al rafforzamento della Cina.
La capacità economica della Cina e il suo potenziale militare sono cresciuti enormemente negli ultimi trent’anni. Ma è anche vero che tre soli Paesi tra quelli che la Cina si è inimicata con la sua politica a partire dal 2008 (India, Giappone e Vietnam) messi insieme la uguagliano o superano in termini di popolazione, Pil e capacità tecnologica complessiva.
Allo stato attuale, la crescita militare della Cina e la sua recente propensione ad assumere una condotta minacciosa hanno cominciato a pregiudicare l’atmosfera commerciale molto favorevole che ha permesso il rapido sviluppo della sua economia. In alcuni mercati i consumatori mostrano segnali di antipatia verso i prodotti cinesi. E le scelte dei consumatori alla fine includono esplicite scelte politiche, quando si tratta di acquisti delle autorità centrali o locali. «Negli Stati Uniti e in alcuni altri Paesi adesso è meno probabile di un tempo che le autorità acquistino beni pubblici di evidente provenienza cinese, come i ponti di acciaio».