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 2013  febbraio 08 Venerdì calendario

BIG DEL PETROLIO AD ALTO RISCHIO TANGENTI


La chiamano "oil curse", ovvero la maledizione delle risorse naturali: petrolio, gas e altre materie prime sono concentrate in Paesi dalla governance estremamente opaca, per lo più autoritari, e ne ostacolano lo sviluppo democratico e la diversificazione economica. Lì i funzionari governativi hanno la più ampia discrezionalità nell’assegnare contratti alle società straniere e, in un contesto simile, cresce un sottobosco di mediatori che vantano accesso privilegiato a chi ha un potere decisionale che travalica ogni regola (ancor di più nell’impiantistica e servizi connessi). La conseguenza è che le inchieste sulle tangenti versate all’estero per facilitare il business riguardano in buona parte questo settore e, d’altra parte, quando scattano accertamenti, l’opinione pubblica tende quasi istintivamente a credere alla colpevolezza degli indagati, in procedimenti che a volte risalgono fino ai vertici societari.
Ne sa qualcosa, ad esempio, l’amministratore delegato del gruppo Total, Christophe de Margerie, che proprio martedì scorso ha dovuto difendersi in tribunale nell’ambito del processo in corso contro 18 imputati (compreso l’ex ministro degli interni Charles Pasqua) nella versione francese dello scandalo «oil-for-food» nell’Iraq sotto embargo di Saddam Hussein.
In teoria, Margerie rischia fino a 5 anni di carcere e una multa di 375mila euro (la società potrebbe altresì essere multata per un paio di milioni di euro). Secondo l’accusa, Margeirie – allora capo delle attività nel Medio oriente - avrebbe "sponsorizzato" presso la divisione trading un avvocato d’affari libanese ben introdotto alla corte del dittatore, nella consapevolezza di indurre il gruppo a violare le regole sull’embargo. De Margerie non ha negato di aver conosciuto e presentato ad altri questo mediatore, ma ha sostenuto di non aver saputo nulla del sistema secondo il quale individui influenti a Baghdad avevano in sostanza a disposizione quote di petrolio da distribuire con profitti personali illeciti (da condivide poi con accoliti, a beneficio del regime).
Se poi è normale paventare l’inchiesta su Paolo Scaroni rischi di protrarsi nel tempo, "all’italiana", con grave danno per lui e per il gruppo Eni, va considerato che De Margerie fu messo sotto inchiesta formale per l’«oil-and-food» nel lontano 2006, il che peraltro non gli impedì di diventare qualche mese dopo chief executive del colosso petrolifero transalpino. Un magistrato istruttore ha ottenuto che si andasse a processo contro il parere della pubblica accusa (in sostanza dipendente dal ministero della Giustizia di Parigi), che propendeva per l’archiviazione. Co-imputato di Total è Vitol, il principale trader mondiale di petrolio, di cui è stata respinta l’eccezione di improcedibilità in quanto già giudicata e condannata a New York in relazione allo scandalo «oil-for-food».
A proposito di Stati Uniti, sul cane a sei zampe potrebbe in qualche modo pesare il precedente del 2010, quando incappò nei rigori extraterritoriali della giustizia americana nell’applicazione del Foreign Corrupt Practices Act (Fcpa): Eni e la controllata Snamprogetti pagarono 365 milioni di dollari per un settlement con la Securities and Exchange Commission (cifra di poco inferiore ai 579 milioni versati l’anno prima dall’Halliburton per un patteggiamento analogo). Le società italiane erano accusate di aver pagato tangenti (attraverso un avvocato londinese e una trading company giapponese) a funzionari del governo nigeriano allo scopo di ottenere contratti sulla costruzione di impianti per il gas naturale liquefatto a Bonny Island per la joint venture Tskj (con Kellog Brown & Root, Technip e Jgc). Nel filone italiano di questa vicenda, il processo a cinque manager è andato incontro alla prescrizione nel febbraio dell’anno scorso. L’ultimo rapporto di Transparency International sui progressi nella lotta alla corruzione internazionale nei Paesi firmatari della relativa convenzione Ocse, in effetti, critica esplicitamente l’Italia per l’abbreviamento dei termini di prescrizione introdotto dalla ex-Cirielli del 2005 e invoca un loro allungamento o quantomeno un maggior ricorso a meccanismi di sospensione del decorso dei termini. Transparency International, comunque, include il nostro Paese tra quelli più attivi nell’enforcement in base al numero delle inchiste fatte e in corso. Sul piano globale, però, sottolinea che il livello complessivo di applicazione della convenzione resta «inadeguato» e spesso non fornisce un efficace deterrente contro la pratica delle tangenti.
Negli Stati Uniti, comunque, il Dipartimento della Giustizia e la Sec hanno rafforzato il giro di vite negli ultimi anni e da soli hanno in corso inchieste in proposito (quasi un centinaio) in numero superiore all’intero resto del mondo. Molti, peraltro, non hanno mancato di notare che le autorità Usa sono particolarmente vigili – e severi nelle sanzioni – nei confronti di società non americane.