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 2013  gennaio 26 Sabato calendario

VITA DI UN CALCIATORE MUSULMANO

[Ishak Belfodil]

Ma che fine ha fatto Belfodil? Era qui mezz’ora fa, ha detto che mangiava un boccone e tornava, adesso dov’è andato? «In camera mia a pregare. Lo faccio cinque volte al giorno, come prescrive il Corano. L’orario cambia in base al sorgere e al calare del sole. In inverno la prima preghiera è alle 6 e mezza del mattino, la seconda a mezzogiorno e mezza, poi alle 3 del pomeriggio, alle 5 e alle 8 di sera. Ognuna dura 4 minuti, solo le ultime due sono un pochino più lunghe».
Inizia da qui, da un frammento della confessione, è il caso di dire, su quale sia il motore della sua esistenza, il racconto che di se stesso fa Ishak Belfodil, calciatore con un cognome da medicina. Peraltro assai amara per i portieri avversari: li ha sdraiati 7 volte in 19 gare di campionato giocate finora (ma solo 12 da titolare e soltanto 6 per tutti i 90’), il centravanti franco-algerino di 21 anni, che nel Parma, quando non sposta i difensori puntando sulla solidità dei suoi 191 centimetri e 86 chili, li stecchisce a colpi di dribbling.
Sei mesi di apprendistato a Bologna, lo scorso anno, l’esplosione in questa stagione 90 km più in là, un mondo da scoprire. Il suo.
Scusi, ma non le succede mai che l’ora della preghiera coincida con quella dell’allenamento o della partita?
«Sì, ma non c’è problema. Non posso interrompere l’uno o l’altra quando voglio. Perciò, a chi svolge una professione particolare come la mia, è concesso di inginocchiarsi verso la Mecca con un po’ di ritardo».
Frequenta la moschea di Parma?
«Tutte le volte che posso».
Coi suoi compagni ha mai affrontato la questione religiosa?
«Mai. E comunque, qui e a Bologna sono sempre stato rispettato da tutti. Al massimo, scherzano sulla mia abitudine di mettermi in ginocchio per ringraziare Dio anche dopo un gol».
E cosa le dicono?
«Ishak, mio figlio a casa ha cominciato a fare come te!».
Ishak: cosa vuol dire?
«Corrisponde a Isacco. È il nome di un profeta presente in tutte le religioni».
Lei è nato in Algeria, poi si è trasferito in Francia. Quando?
«A 7 anni. Giocavo già a pallone, una passione ereditata da papà. Ho continuato a Élancourt, il sobborgo a ovest di Parigi dove eravamo andati a vivere».
Di cosa si occupa suo padre?
«Ha una ditta di trasporti. Mamma prima lavorava in ospedale, poi ha cresciuto noi figli. Siamo sei, tre femmine e tre maschi. Uno, Iacob, gioca a Rimini».
In famiglia le donne portano il velo?
«Mamma e una sorella».
Una scelta o un’imposizione?
«Hanno deciso loro. Portare il velo è una cosa che devi sentire dentro, non puoi farlo per ubbidire al padre o al marito».
In Francia è vietato indossare il velo nelle scuole e il burqa nei luoghi pubblici: è giusto?
«Secondo me no. Sono solo donne che non fanno del male a nessuno».
Oggi direbbe che la sua famiglia si è ben integrata in Francia, nonostante le differenze religiose e culturali?
«Sì. Però all’inizio è stato difficile adattarsi, soprattutto perché la convivenza tra francesi e stranieri in periferia è difficile. Nelle banlieue parigine, e in generale nei sobborghi francesi, si vive male. Brutte case, miseria, i giovani extracomunitari non vedono futuro. Io ho sempre avuto in testa il calcio, e questo mi ha salvato, anche se ho concluso il liceo a indirizzo informatico. Ma tantissimi miei amici di allora sono disoccupati e altri sono finiti male».
La Francia è un Paese razzista?
«Non direi, anche se a volte ho avvertito razzismo nei miei confronti. Hanno più immigrati di voi, e non sono contenti. Ma ora che sono un calciatore conosciuto, sta a me dare una buona immagine del mondo musulmano».
Ha detto di essere stato una testa calda. Cioè?
«Da ragazzo ero poco sereno, mi accendevo subito, alle provocazioni rispondevo con la violenza. Nel quartiere la regola era risolvere le cose non col dialogo, ma a pugni. Ma non sono mai finito in guai seri».
E poi cosa è cambiato?
«Ho trovato la fede. È successo a 15 anni, dopo che un mio amico ha rischiato di morire per un incidente con la macchina. Ho capito che la vita è breve e non bisogna sprecarla. Prima pregavo senza crederci davvero».
I musulmani in Occidente chiedono libertà di culto, ma in molti Paesi islamici i cristiani vengono perseguitati e uccisi. Cosa risponde?
«Soltanto questo: la religione islamica insegna a rispettare tutte le altre».
Osserva il Ramadan, il periodo di digiuno arabo?
«Certo. Ogni tanto diventa difficile conciliarlo con la mia attività, ma in viaggio, per esempio, posso interromperlo».
È fidanzato?
«Sì, con una ragazza francese di origini algerine, come me».
La sua fidanzata è mai venuta a trovarla in Italia?
«Mai. Sono io che la incontro quando torno in Francia, e sempre in presenza di qualcuno della sua famiglia o della mia. All’inizio ci siamo visti da soli, poi ho capito che non è bene, per la nostra religione e le nostre tradizioni. Così, oggi, o vado a casa sua oppure, quando usciamo, c’è qualcun altro con noi».
Non resta che sposarla...
«Quando chiederò la sua mano al padre dovrò essere accompagnato dal mio».
E cosa aspetta?
«Quando avrò tempo, ci andrò» (ride).
Nella famiglia italiana comanda la donna, in quella algerina?
(ride) «Un po’ più l’uomo, anche se le donne oggi contano più che in passato. Il 30 per cento degli eletti in Parlamento è di sesso femminile».
Cosa guarda alla tv italiana?
«Il campionato francese su Sportitalia. Poi ho visto Spiderman nella vostra lingua e ho capito quasi tutto».
Mangia italiano o francese?
«Cinese. Ma la pasta mi piace».
Passatempi?
«PlayStation. E poi la spesa al supermercato. Ci vado col berretto di lana calato sugli occhi, anche se non mi dispiace essere fermato dai tifosi».
A Bologna, lo scorso anno, non è andata benissimo: solo 8 spezzoni di partita e nessun gol. Era lei a non essere pronto, o sono stati gli altri a non darle fiducia?
«Forse tutte e due le cose. Non l’ho mica capito. In allenamento tutti i giorni mi dicevano che avevo tante qualità, poi però non giocavo mai. Forse avevano paura di lanciare in una squadra che lottava per la salvezza un giovane alla prima esperienza in A. Hanno rischiato poco, diciamo così».
Ora si sente un titolare di questo Parma?
«Impossibile. Con mister Donadoni nessuno è titolare».
La cosa che le dice più spesso?
«Non accontentarti, Ishak».
Un mese e mezzo fa, contro la Lazio, a Roma, dopo un gol segnato entrando dalla panchina, rivolse un gesto polemico verso l’allenatore, che negli spogliatoi disse: «Belfodil deve crescere». Si riferiva all’uomo e non al calciatore: lo ha fatto?
«Sì, sì, sono cresciuto. Ma dopo la partita gli chiesi subito scusa e lui non mi rimproverò. Ha un figlio più o meno della mia età e sa che certe reazioni emotive in un giovane ci possono stare. Lui capisce che si può sbagliare».
E cosa le ha insegnato del nostro calcio che ancora non sapeva?
«A lavorare forte in allenamento per fare bene in partita. Io prima pensavo che in allenamento bisognasse riposare, per avere più energie alla domenica (dice proprio così, con aria candida e convinta, ndr). Donadoni mi ha spiegato che se non faccio bene le ripetute durante la settimana, non ho poi la forza per scattare in gara. Che avesse ragione lui, l’ho scoperto due o tre mesi fa».
Lei somiglia molto a Benzema, pure franco-algerino, tecnicamente e fisicamente, persino nei tratti del viso. Perché, ogni volta che glielo chiedono, risponde che non è vero?
«Perché Karim non è grosso come me e in campo fa più movimento, anche se adesso non gioco più soltanto guardando la porta, ma sono disposto a correre senza ricevere la palla, se questo può liberare un mio compagno. Il mio modello di centravanti è Ronaldo, quello brasiliano. Per me, il migliore di tutti i tempi. Oggi guardo molto Ibrahimovic».
Conferma che il suo sogno è giocare nel Real?
«Guardavo il Real da piccolo, ma qui ho scoperto Juve, Inter, Milan. Il Real mi piace ancora, ma lo guardo meno».
Lei ha giocato nelle rappresentative giovanili della Francia, poi ha scelto la nazionale algerina. Perché?
«Perché vi sono nato e per rispetto verso i miei genitori. Ma anche la Francia è il mio Paese».