Giovanni Pacchiano, Sette 8/2/2013, 8 febbraio 2013
DIMENTICATE COLIANDRO ORA VI RACCONTO L’ARTE DI SEDURRE
«Studiavo Legge», mi racconta sorridendo questo ragazzo napoletano dalla faccia intelligente, che pare più giovane dei suoi 38 anni: diverso da chi l’ha reso famoso, l’ispettore televisivo Coliandro, il cocciuto Coliandro, l’imbranato, il bellone ma buffo e un po’ rozzo, quello che alla fine, però, risolve i casi più intricati puntualmente innamorandosi delle donne coinvolte nelle storie. «Mio padre era magistrato e mi sembrava la scelta più ovvia. Poi mi sono accorto che non faceva per me. Mi interessava di più capire il mondo, le persone e me stesso. Se pensavo al mio destino, mi vedevo psicologo. Oppure attore, o scrittore. Così mollai Legge a pochi esami dalla laurea e mi iscrissi a Psicologia. E però nel 2001 Carlo Vanzina mi chiamò per South Kensington, il mio primo film da protagonista, e piantai lì con gli studi. Tuttavia credo che ci sia un dato comune a psicologo, attore e scrittore: la ricerca della verità profonda della persona, o del personaggio». Alla fine, dunque, ha vinto l’attore. Ma a suo modo Giampaolo Morelli psicologo lo è stato, una sola volta, nell’originale cortometraggio di Elisabetta Rocchetti, L’ultima seduta (2006); recitando, in un gioco serrato con l’attrice e regista, la parte del terapeuta imbambolato, muto di fronte alle domande incalzanti della paziente. E, seguendo la linea del destino, è altresì, da un paio d’anni, scrittore di romanzi: nel 2011 Un bravo ragazzo, una storia di adolescenza (Fazi); mentre è di questi giorni l’uscita in libreria di Sette ore per farti innamorare (Piemme, pp. 210, 14,50 euro): per il clima di San Valentino il libro giusto, di cui è facile davvero che, a nostra volta, ci si innamori.
Tormentone d’autore. Ma facciamo un passo indietro: il Morelli di South Kensington è un attore giovane perfetto per il ruolo del partenopeo «cazzaro senza una lira», in vacanza a Londra più per cercare avventure amorose che per imparare l’inglese. Qualche anno dopo, il Morelli della serie L’ispettore Coliandro, che riprende il personaggio dalla narrativa di Carlo Lucarelli, è ben altra cosa. È anche merito degli sceneggiatori, lo stesso Lucarelli e Giampiero Rigosi, nonché della regia di Marco e Antonio Manetti, i “Manetti Bros.”, estrosi, geniali, forse non ancora riconosciuti per ciò che valgono, benché abbiano all’attivo il più bel thriller italiano degli anni Duemila, Piano 17 (2005): un vero cult, cui partecipa da protagonista, nella parte di un ruvido gangster dal cuore tenero, lo stesso Morelli. Uscita in tv in pieno agosto 2006 – ovvero come cercar di ammazzare un prodotto – dopo essere rimasta bloccata per due anni, la prima serie di Coliandro comunque sfonda. Seguono, di qui al 2010, altre tre, oggi tutte reperibili in dvd. È il successo. Piace il carattere anticonvenzionale dell’ispettore, in una Bologna nerissima che fa da sfondo, piacciono i suoi tic verbali ripetuti con un’aria da finto duro: «minchia», «tranquilla, bambina», «bestiale!»; e il tormentone della frase di Per un pugno di dollari, cui ricorre nei momenti difficili: «Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto».
Vittima e antieroe. Ma è la gestualità il suo gran punto di forza. «Coliandro», spiega Morelli, «ha un modo tutto suo di camminare un po’ dinoccolato e ridicolo. L’idea era di esasperarne gli atteggiamenti da bullo pur mancandogli l’indole. Imita i poliziotti alla Serpico ma resta un bonaccione che si atteggia a macho. Sicché a volte appare pieno di orgoglio mentre ostenta il tesserino, petto in fuori e spalle larghe; mentre a volte lo vediamo camminare con le spalle incassate, come quando prende una batosta con una donna o le indagini sembrano a un punto morto». Piace anche il suo essere insieme un eroe-antieroe e una vittima: vittima soprattutto del sostituto procuratore Longhi (Veronika Logan), bella e sottilmente sensuale, che non perde occasione per umiliarlo. Eppure, nonostante gli appelli accorati dei tantissimi fan, per ora la serie si è fermata lì (l’ultima, tra l’altro, dopo due puntate). «La Rai si è accorta un po’ tardi di Coliandro», aggiunge Morelli, «solo quando ne ha visto la fortuna. Ora dicono di esserne fieri, ma sono sempre stati cauti e a un certo punto hanno stoppato tutto. C’era molta paura perché in tv ti aspetti il poliziotto formato standard, serio e ineccepibile, e non erano preparati ad affrontare un tipo fuori dalle righe come lui. Però il pubblico sì: Coliandro mi ha dato tanta popolarità». C’è da chiedersi se lo possa aver guastato il successo, ma non è così: perché alla sera, dopo l’intervista, con le ragazze che, in una vineria di Milano, lo avvicinavano, chiedendo di essere fotografate con lui, è emersa la sua gentilezza senza ostentazioni. «Il successo», dice ridendo, «come ricordava Troisi, è una cassa amplificatrice di quello che sei».
Dopo l’ingresso nella narrativa con Un bravo ragazzo – gradevole ma con qualche debolezza nella scrittura – il suo humour, ironico e autoironico, si è trasferito integralmente nella commedia romantica di Sette ore per farti innamorare. Qui, in una Napoli brulicante di figure e figurine, Paolo, sui 35 anni, giornalista alle pagine di economia del Mattino, è il classico bravo ragazzo, e il rovescio di Coliandro: è carino, serio, laborioso, «un po’ troppo ipercontrollato», commenta Giampaolo, com’è vero che porta sempre un k-way antipioggia nella borsa. Vive con Giorgia, «corpo alto e sottile», «occhioni verdi da gattina», maniaca degli arredamenti firmati. Stanno quasi per sposarsi. Lei lo chiama (ahimé) «il mio Tontolone». «Giorgia è la donna che non ascolta l’uomo con cui sta», dice Morelli. E magari non lo ascoltasse e basta. Una sera il caporedattore di Paolo, Alfonso, decide di mandarlo d’urgenza a Milano per una serie di interviste e lui, da bravo soldatino, obbedisce, ma all’aeroporto non riesce a partire per via di un overbooking. Torna a casa senza avvisare la sua bella, e la scopre a letto con (ovviamente) Alfonso. È la fine di un amore. Molla il giornale e, dopo un vano tentato suicidio, trova lavoro, lui così inappuntabile, in un piccolo settimanale di attualità per uomini, dal nome, viceversa, appuntabile, Macho Man: delegato obtorto collo a intervistare trainer, estetisti e simili. Finché un giorno, in vista di un articolo, lo spediscono a frequentare un corso per uomini sull’“Artista del Rimorchio”, che è tenuto da Valeria, una bruna magnifica, sensuale, gli occhi «neri e lucenti». «C’è, in giro, una rete internazionale di seduttori seriali maschi», racconta Morelli. «All’inizio mi sembrava un mondo di stupidotti, persuasi che la seduzione fosse una scienza esatta. Li ho cercati attraverso Internet, conosciuti e filmati in azione. E mi sono accorto che le tecniche funzionano». Ma perché una donna a far da maestra? «Mi piaceva così: chi meglio di una donna sa come si conquista una donna? E però in genere le donne non ti dicono tutta la verità, invece Valeria sì». E la verità di Valeria è cruda: siamo macchine biologiche il cui scopo è sopravvivere e riprodursi. La parola d’ordine, dunque, è «Attrazione».
La magia dell’amore. Ma, se gli uomini sono allettati dall’aspetto fisico, le donne hanno altri interruttori di attrazione. Come accenderli in poche ore? Semplice, insegna lei, ecco le regole: superare la paura del rifiuto, mai mostrare, all’inizio, interesse sessuale per la donna che ci piace, frequentare i luoghi per eccellenza dell’abbordaggio, centro commerciale, supermarket, mai discoteca! Inventarsi pretesti non banali per avvicinarla: per esempio coinvolgerla nella scelta di un profumo. Farla anche ingelosire mostrandosi in giro con altre. Paolo è scettico, ma va da sé che fra lui e Valeria, dopo molte scaramucce, esploda l’attrazione. O avverrà qualcosa di più importante? «Gloria Bellicchi, la mia compagna», miss Italia nel 1998, «mi ha chiesto in modo spiritoso se fosse stata la mia cavia per queste tecniche. Le ho detto: “Sì, un po’ sì”. Ma c’è anche una magia della vita e dell’amore, che non è, questo è certo, un gioco di prestigio».